4. Bisturi (2025's version)

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Dopo il pranzo, ritorniamo in classe per le lezioni del pomeriggio. Prossima fermata: trigonometria. Un'altra materia che richiede concentrazione e nervi saldi, soprattutto considerando che i numeri non mentono mai, a differenza delle persone. Non è il mio argomento preferito, ma posso gestirlo. Quello che mi preoccupa di più è avere Debby Williams in classe. Pensavo che la sua presenza avrebbe reso tutto più complicato, ma ultimamente le cose sembrano diverse.
Entro in aula e prendo posto al mio solito banco, cercando di nascondere il mio disagio. Debby arriva qualche minuto dopo e, con mia sorpresa, si siede proprio accanto a me. Non è la prima volta che siamo vicine in questa classe, ma oggi c'è un'aria diversa tra noi. Dopo il pranzo, sembra quasi che qualcosa sia cambiato.
"Trigonometria... il mio incubo," mormora Debby, appoggiando la testa sul palmo della mano e guardando la lavagna come se fosse un mostro a tre teste.
Non riesco a trattenere un sorrisetto. "Non è così terribile, se ci fai l'abitudine."
Debby mi lancia uno sguardo da sotto le ciglia. "Per te, forse. Io non capisco nulla di tutto questo. Siamo onesti: questi numeri non mi entreranno mai in testa."
Sorrido un po' più apertamente stavolta. "Beh, forse posso aiutarti, se vuoi."
Lei mi guarda con un misto di sorpresa e sollievo. "Davvero? Sarebbe fantastico. Non so nemmeno da dove iniziare." Si lascia andare a una risata leggera, che per la prima volta mi sembra genuina. Forse c'è più di quanto pensassi dietro il suo personaggio da cheerleader perfetta.
Mentre il professore inizia a spiegare, noto che Debby è completamente persa. I suoi occhi seguono il gesso che traccia i grafici sulla lavagna, ma è chiaro che non sta capendo niente. A un certo punto, mi sporgo verso di lei e le sussurro: "Sta parlando del teorema di Pitagora, lo ricordi?"
Lei mi guarda, sconcertata. "Vagamente... qualcosa con i triangoli, giusto?"
Annuisco. "Sì, i triangoli rettangoli. Te lo spiego meglio alla fine della lezione, se vuoi."
Debby mi sorride, e stavolta il suo sorriso sembra completamente sincero. "Grazie, Liz. Non avrei mai pensato che tu fossi così... gentile. Voglio dire, non che pensassi male di te, solo... non ti conoscevo."
Le sue parole mi sorprendono. Sono abituata a non essere notata, a essere la "ragazza invisibile". Sentirmi riconosciuta da qualcuno come Debby è quasi surreale.
"Non preoccuparti," rispondo, stringendomi nelle spalle. "Non c'è molto da conoscere."
"Non dire così," replica lei, scuotendo la testa. "Dopotutto, stai già riuscendo a farmi capire più cose sulla trigonometria di quanto abbia mai fatto il professore."
Ridiamo piano entrambe, e mi accorgo che, contro ogni aspettativa, sto iniziando a trovarla simpatica. Certo, non è un genio della matematica, ma c'è qualcosa di disarmante nella sua semplicità, nella sua capacità di ammettere quando è persa.
Durante il resto della lezione, continuo a darle una mano, spiegandole i passaggi più difficili mentre il professore parla. Lei ascolta attentamente, ogni tanto annuendo con la fronte corrugata mentre cerca di seguire il mio ragionamento. Non siamo certo diventate migliori amiche in un giorno, ma qualcosa tra noi si sta smuovendo.
Alla fine della lezione, quando la campanella suona, Debby mi guarda con gratitudine. "Liz, grazie davvero. Sapevo che c'era un motivo se mi sedevo vicino a te," dice con un tono scherzoso.
Sorrido, mentre raccolgo i miei libri. "Figurati, non è niente."
Debby mi fa l'occhiolino. "Per te forse, ma per me... sei una salvezza."

La campanella suona, e la scuola comincia a svuotarsi rapidamente. Cammino verso l'uscita con il solito flusso di studenti che si dirigono verso casa, quando sento una voce familiare alle mie spalle.
"Ehi, Murphy!"
Mi giro e vedo Jacob avvicinarsi, con lo zaino su una spalla e il solito sorrisetto sulle labbra. "Stai andando a casa?"
"Sì," rispondo, cercando di capire dove vuole andare a parare.
"Perfetto," dice con un tono casuale, come se fosse la cosa più naturale del mondo. "Ti accompagno."
Lo guardo, sorpresa. "Accompagnarmi?"
"Sì, ti porto a casa. È sulla mia strada," risponde, come se non ci fosse nulla di strano nella sua offerta. Sembra così sicuro di sé, come se fosse già deciso.
Sto per dire qualcosa, ma proprio in quel momento vedo Greg avvicinarsi dall'altra parte del cortile. Jacob lo vede anche lui e il suo sorriso si smorza leggermente. Sbuffa appena, chiaramente infastidito dall'arrivo di Greg.
"Oh, giusto... Greg," dice, come se fosse un ostacolo improvviso ai suoi piani.
Greg arriva accanto a noi e mi guarda con il suo solito sguardo tranquillo. "Pronta per andare?"
Annuisco, cercando di non sembrare imbarazzata dalla situazione. "Sì, andiamo."
Jacob, che fino a quel momento sembrava deciso a portarmi lui a casa, ora si trova di fronte a Greg, e posso vedere la frustrazione nei suoi occhi. Per un attimo sembra voler dire qualcosa, poi però sbuffa di nuovo e si arrende.
"Va bene," dice, sollevando le mani come se si arrendesse. "Greg vince anche oggi." Cerca di farla sembrare una battuta, ma capisco che non è del tutto contento.
Greg gli lancia un'occhiata e sorride leggermente. "Sembra proprio di sì."
Jacob mi guarda ancora una volta, poi sorride con un misto di ironia e rassegnazione. "Un'altra volta, allora."
Annuisco leggermente, senza sapere bene cosa rispondere. "Sì, forse."
Con un cenno del capo, Jacob si allontana, lasciandoci lì. Greg mi guarda e mi sorride. "Pronta?"
"Sì," rispondo, finalmente rilassata ora che la strana situazione è finita. Ci incamminiamo verso casa, con il solito silenzio confortevole che accompagna i nostri viaggi insieme.
Greg guida in silenzio per un po', finché non rompe il ghiaccio con una delle sue solite osservazioni taglienti. "Non so se quel tipo mi sta simpatico o se voglio ficcargli un bisturi in fronte."
Sorrido, guardando fuori dal finestrino. "Oh, non dirlo a me."
Mi dà un'occhiata di sbieco, sollevando un sopracciglio. "Hai una cotta?"
Scuoto la testa con decisione. "Ti pare? Per quello? Non esiste!"
Greg ridacchia, scuotendo la testa. "Stronzetta, ti conosco da quando avevi dieci anni. So riconoscere le sensazioni su quella faccia buffa."
Mi volto verso di lui, cercando di mantenere la calma, anche se dentro di me so che ha già capito più di quanto io voglia ammettere. "Non è una cotta. È solo... lui è insopportabile, ecco tutto."
Greg ride, come se la mia risposta lo divertisse ancora di più. "Già, certo. Perché ogni volta che qualcuno ti irrita, ti fa anche arrossire, vero?"
Lo colpisco scherzosamente sul braccio. "Basta, Greg! Non è come pensi."
Ma lui scuote ancora la testa, con un sorriso sornione. "Sei così trasparente, Liz. Non so quanto tempo pensi di poter fingere."
"Beh, mettiamo che mi piaccia," dico, rassegnata, incrociando le braccia. "Cosa dovrei fare? Praticamente non so rapportarmi con gli esseri umani al di fuori di te e dei miei genitori.
Greg scuote la testa, ridendo sottovoce. "Sì, lo so. Il tuo cerchio sociale è piuttosto... ristretto."
"Non è una novità," rispondo, sentendo un leggero senso di frustrazione crescere dentro di me. "Ma sul serio, Greg, cosa dovrei fare? Jacob Garrett non è esattamente un normale essere umano. È... è Jacob Garrett." Solo dire il suo nome sembra far sembrare tutto più complicato.
"Se ti piace davvero," risponde Greg con un tono più serio, "puoi cominciare con qualcosa di semplice. Parla con lui, vedi dove va a finire. Non devi per forza saltare nei suoi pantaloni domani, Liz. Si tratta solo di conoscerlo."
"Parlare?" ripeto, come se fosse la cosa più difficile al mondo. "Mi sta già addosso da giorni, non credo che parlare sia un problema. È solo che... non so come gestire questo tipo di situazioni. Di solito preferisco essere ignorata, sai?"
Greg sorride, scuotendo la testa. "Sì, ma Liz, il problema è che non sei più invisibile. Almeno non per lui. E onestamente, non credo che voglia ignorarti tanto presto."
Lo guardo, sospirando. "Quindi la tua grande strategia è... parlare con lui?"
Greg mi dà un'occhiata, poi sorride sornione. "Parlare funziona sempre, te lo assicuro. O vuoi che prenda io il bisturi e lo faccia sparire per te?"
Rido, scuotendo la testa. "No, no. Nessun bisturi. Per ora."

Greg mi lascia davanti casa, salutandomi con il solito sorriso. Entro nella mia villetta, che sembra insolitamente silenziosa. Mio padre è al lavoro, come sempre. In casa c'è solo mia madre, e questo significa che pranzeremo insieme, come al solito.
La cucina è già apparecchiata con precisione, ogni cosa al suo posto. Mia madre è una donna meticolosa, fredda, con un controllo costante su tutto. È sempre stata così, ma negli ultimi anni il suo atteggiamento si è irrigidito ulteriormente. La mia malattia l'ha cambiata, costringendola a vivere con la paura di perdermi. Ha dovuto alzare delle barriere, diventare più forte di quanto volesse. E questo ci ha allontanate.
Mi siedo al tavolo e inizio a mangiare in silenzio. Non c'è molto da dire, e lei non è mai stata una di quelle madri che chiacchierano durante i pasti. Poi, all'improvviso, sento il mio telefono vibrare. Lo prendo rapidamente e lo giro, senza guardare chi fosse.
"Perché lo nascondi?" chiede mia madre, sollevando appena lo sguardo dal suo piatto. La sua voce è calma, ma quel tono tagliente mi colpisce comunque.
"Non lo sto nascondendo, mamma," rispondo, cercando di sembrare naturale. "Non si usa il telefono a tavola."
"Mhm..." risponde, come se non fosse affatto convinta. "Chi era?"
Deglutisco, cercando di sembrare noncurante. "Il gruppo di scienze."
"Ah, davvero? E cosa dicono?" insiste lei, con un tono più indagatore, come se stesse cercando di cogliermi in fallo.
"Mamma, non lo so," rispondo un po' più brusca di quanto vorrei, cercando di mantenere il controllo della situazione.
Non sembra soddisfatta della mia risposta. "Non è mica un ragazzo?" chiede, quasi in modo casuale, ma la domanda mi colpisce come una freccia.
"No, mamma," mento, abbassando lo sguardo sul piatto.
Lei sospira, posando la forchetta con un gesto lento. "Sai che non è bene iniziare una relazione nella tua..."
"Nella mia condizione, sì, lo so," la interrompo, senza voler sentire di nuovo quel discorso. Quante volte devo ricordare a me stessa che sono "diversa", che non posso vivere le stesse esperienze di tutti gli altri? "Non ho più fame." Mi alzo dalla tavola prima che la conversazione possa andare oltre, senza nemmeno aspettare la sua risposta.
Mi dirigo verso la mia stanza, cercando di trattenere il senso di frustrazione che mi stringe lo stomaco.
Una volta in camera, mi butto sul letto e finalmente decido di leggere i messaggi. Sono solo due, e come immaginavo, è Jacob.
Jacob: Ehi, Murphy, tutto bene?
Jacob:Allora, che fai stasera?
Sospiro. Niente di strano, niente di insistente. Lui è semplicemente... Jacob. Decido di rispondergli in fretta, giusto per mettere le cose in chiaro.
Io: Non posso uscire stasera.
Faccio scorrere il dito sullo schermo, rileggendo il mio messaggio prima di premere invio. Non aggiungo altro, non ho bisogno di spiegazioni. Sistemo il telefono sul comodino, sperando che basti per chiudere lì la questione, almeno per oggi.

Finché il cuore batte (2016+2025's version)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora