C'è un antidoto?

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Wade barcollava lungo il marciapiede deserto, con il freddo pungente che gli graffiava il volto. Le strade di Queens erano immerse in un silenzio innaturale, rotto solo dal rumore sordo dei suoi passi incerti e il tintinnio dei frammenti di vetro che ancora si annidavano nelle sue tasche. L'alcol che gli scorreva nelle vene sembrava avere la meglio su di lui, confondendo la realtà e offuscando ogni pensiero, tranne uno: suo padre.

Ogni volta che chiudeva gli occhi, il volto di James Wilson si sovrapponeva alla sua mente, un fantasma che non aveva mai smesso di perseguitarlo. Quel viso rugoso, contorto dalla rabbia e dalla disperazione, lo aveva seguito per tutta la vita, come un'ombra che Wade non poteva scrollarsi di dosso, per quanto ci avesse provato. Scosse la testa, come se quel semplice gesto potesse liberarlo dai ricordi che lo tormentavano, ma non funzionava mai. Nulla funzionava mai.

Arrivò davanti al suo appartamento, un vecchio edificio malandato che sembrava rispecchiare perfettamente lo stato della sua anima. Le pareti erano scrostate, i gradini rovinati dal tempo e dalle intemperie. Wade si fermò davanti alla porta, cercando di infilare la chiave nella serratura, ma le sue mani tremavano così tanto che gli ci vollero diversi tentativi prima di riuscirci. Quando finalmente la porta si aprì con un cigolio, barcollò all'interno, chiudendola dietro di sé con un calcio distratto.

Fece appena in tempo a raggiungere il lavandino della cucina prima che lo stomaco gli si ribellasse. Vomitò violentemente, stringendo i bordi del lavello come se fossero la sua ancora di salvezza. Il sapore acre del liquore misto a bile gli bruciava la gola, e per un istante fu sopraffatto da un'ondata di nausea così intensa da fargli girare la testa. Respirava a fatica, con il corpo scosso dai conati, mentre le lacrime gli scendevano lungo le guance senza controllo. Quando finì, Wade rimase lì, con la testa china sul lavello, incapace di muoversi, il respiro pesante e irregolare.

Era così che suo padre era morto. Wade lo ricordava come fosse successo ieri. Aveva solo diciassette anni quando era tornato a casa quella sera, dopo aver passato qualche ora fuori con degli amici. La porta dell'appartamento era rimasta socchiusa, un dettaglio che Wade non aveva notato subito. Era entrato con la solita cautela, cercando di non fare rumore per evitare di attirare l'attenzione di suo padre. Ma non c'era stato bisogno di farlo. L'odore acre di vomito e sudore lo aveva investito appena aveva varcato la soglia, e il suo cuore aveva iniziato a battere furiosamente nel petto.

James Wilson era disteso sul pavimento del salotto, il corpo contorto in una posizione innaturale, il volto coperto di vomito. I suoi occhi erano aperti, ma spenti, fissi su un punto nel vuoto, senza vita. Wade si era avvicinato lentamente, il respiro bloccato in gola, incapace di accettare ciò che vedeva. Quando si era inginocchiato accanto a lui, scuotendolo debolmente per cercare di svegliarlo, il corpo di suo padre era rimasto immobile. Il freddo della morte si era già impadronito di lui.

Aveva cercato di urlare, di chiamare aiuto, ma la voce gli si era spezzata in gola. Aveva vomitato accanto al cadavere di suo padre, il corpo sconvolto dall'orrore, mentre la realtà lo travolgeva con una brutalità inimmaginabile.

James Wilson era morto di overdose, soffocato nel suo stesso vomito, e Wade non era riuscito a fare nulla per impedirlo. Quel pensiero lo aveva perseguitato per anni, logorandolo dall'interno, facendolo sentire impotente, come se la sua stessa esistenza fosse un fallimento.

E non era solo la morte di suo padre a tormentarlo, ma anche tutto ciò che era accaduto prima. Le botte, gli abusi, le notti passate a cercare di nascondersi dall'ira di quell'uomo che avrebbe dovuto amarlo, proteggerlo. Invece, suo padre aveva trasformato ogni giorno in un incubo.

L'ombra di James Wilson aleggiava su di lui da quando aveva cinque anni. Fu in quell'età che Wade capì cosa significasse vivere nella paura.

Suo padre era un uomo distrutto dalla vita, un ex militare che non aveva mai trovato pace una volta tornato a casa. La guerra l'aveva cambiato, trasformandolo in una versione contorta e violenta di sé stesso, e Wade ne era diventato il bersaglio.

Le prime botte arrivarono senza preavviso, una sera in cui il padre era tornato a casa ubriaco. Wade era in soggiorno, intento a giocare con i suoi soldatini di plastica, quando l'ombra del padre si stagliò davanti a lui. Il viso di quell'uomo era contorto dalla rabbia, il fiato puzzava di alcol, e gli occhi sembravano bruciare di odio.

Senza motivo, lo colpi. Wade volò all'indietro, sbattendo contro il tavolino del soggiorno. Il dolore fu fulmineo, ma non abbastanza da superare la paura.

Ricordava ancora quel senso di shock, quella domanda che non smetteva di ripetersi nella sua testa: Perché?

Aveva solo cinque anni, troppo giovane per comprendere la profondità del male che gli stava venendo inflitto. Quella notte non riuscì a piangere. Il dolore era come una lama, tagliente e confuso, ma ciò che lo spezzò davvero fu la consapevolezza che nessuno sarebbe venuto a salvarlo. Sua madre? Era sparita da anni. Non c'era nessuno, solo lui e quell'uomo che chiamava padre.

Le botte continuarono nei giorni, nei mesi e negli anni seguenti. Ogni volta che suo padre perdeva il controllo, Wade diventava il sacco da boxe. Non c'era un motivo specifico: una parola sbagliata, un piatto rotto, o semplicemente l'esistenza stessa di Wade sembravano essere motivi sufficienti per scatenare la furia dell'uomo.

La violenza fisica divenne una parte regolare della vita di Wade, ma non fu solo quella a distruggerlo. Il vero inferno cominciò quando il padre iniziò ad abusare di lui in modi che la sua giovane mente non avrebbe mai neanche immaginato.

Wade aveva solo otto anni la prima volta che accadde. Ricordava ancora l'odore della stanza quella notte: l'alcol mischiato al sudore, e quel soffocante odore di tabacco che impregnava le pareti. Suo padre era entrato in camera sua, barcollando come faceva sempre quando era troppo ubriaco per camminare dritto.

Wade sapeva che qualcosa non andava, lo sentiva nelle viscere, ma non poteva fare nulla. Era paralizzato dal terrore.

Suo padre si era seduto sul bordo del letto, troppo vicino, il suo respiro pesante e carico di alcol. Gli aveva detto che lo amava, che era il suo bambino speciale, ma le parole erano prive di calore. Erano fredde, distorte, velenose. Poi arrivarono le mani.

Mani che non avrebbero dovuto toccarlo in quel modo. Wade ricordava ogni dettaglio di quella notte, il dolore, le lacrime, le urla soffocate, ogni secondo che sembrava durare un'eternità. Aveva chiuso gli occhi, cercando di allontanarsi con la mente, di rifugiarsi in un luogo sicuro, ma non c'era scampo. Non per lui.

Quell'abuso non si fermò a quella sola notte. Divenne un ciclo orribile, un segreto che Wade si portava dentro come una ferita aperta che non riusciva a rimarginarsi. Aveva imparato a isolarsi, a costruirsi una corazza per sopravvivere, per evitare di impazzire. Il suo corpo diventò una prigione, un luogo di dolore e disgusto, e ogni volta che suo padre entrava nella sua stanza, Wade si sentiva morire un po' di più. Ma non poteva dirlo a nessuno.

Chi avrebbe creduto a un bambino? E se l'avessero creduto, cosa sarebbe successo?

Avrebbe perso l'unica famiglia che gli era rimasta, per quanto malata e violenta fosse.

E così, le notti come quelle divennero più frequenti negli anni successivi, ogni volta un pezzo della sua anima veniva strappato via.

Anche ora, a ventisei anni, con suo padre morto da tempo, quelle notti continuavano a perseguitarlo. Wade si era sempre chiesto come fosse riuscito a non impazzire del tutto, a non distruggersi completamente. Forse, in un certo senso, lo aveva fatto.

Era bloccato nei suoi pensieri, imprigionato in quel ciclo di ricordi che non gli dava tregua. Ricordi che non sarebbe mai riuscito a cancellare, né con un turno in più al bar, né con qualche sigaretta in più.

Quante volte si era chiesto se fosse possibile sfuggire al passato? Se esistesse un modo per cancellare tutto quel dolore, per ripartire da zero?

Ma ogni volta la risposta era la stessa: non c'era via di fuga. Il suo passato era una parte di lui, incisa nella carne e nell'anima, e non importava quanto lontano cercasse di andare, lo avrebbe sempre seguito.

// e niente è più forte di me, se almeno un personaggio della storia non ha problemi mentali seri non è una mia storia

(scusate)

(wade ti amo)

Fleeting Shadows // SpideypoolDove le storie prendono vita. Scoprilo ora