Domenica

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Da quando era passato Natale, Peter aveva iniziato a sentirsi inquieto. L'atmosfera calorosa delle feste si era dissolta velocemente, lasciando spazio a un senso di vuoto che non riusciva a scrollarsi di dosso. La presenza di Mark, che in passato aveva trovato così rassicurante, ora sembrava opprimente.

Era come se il loro rapporto, solido e affettuoso, avesse iniziato a mostrare delle crepe sottili ma significative. Mark cercava di farlo sorridere, di coinvolgerlo nelle sue attività quotidiane, ma Peter si accorgeva che la sua mente vagava sempre altrove.

E quel "altrove" aveva un nome ben preciso: Wade.

Dopo quel messaggio di Natale, Peter non aveva mai smesso di pensare a lui.
Continuava a mandargli messaggi ogni giorno, con domande semplici e dirette:
"Come stai?" "Che cosa stai facendo?"
"Va tutto bene?" Erano tentativi goffi di mantenere un contatto, ma Peter sentiva che era l'unico modo per non lasciarlo scomparire del tutto.

Le risposte di Wade erano sporadiche, e quando arrivavano, erano brevi e impersonali, come se volesse mantenere la distanza. Eppure, Peter non si arrendeva. Continuava a scrivergli lo stesso, quasi ossessivamente, come se quegli scambi rappresentassero un filo sottile che li teneva legati. Mark se ne accorse presto, e una sera, mentre stavano cenando insieme, lo affrontò direttamente. "Peter, stai bene?" chiese, cercando di non far trapelare la preoccupazione dalla voce. "Ultimamente sembri... distratto."

Peter evitò il suo sguardo, concentrandosi sul piatto davanti a sé. "Sì, sto bene," rispose, ma sapeva che era una bugia. Il pensiero di Wade occupava troppo spazio nella sua mente, lasciando sempre meno posto per Mark e per tutto il resto. Il senso di colpa cominciò a scavare in lui, ma non abbastanza da fermarlo. Ogni volta che Wade rispondeva, anche solo con un "sto bene" o un "tutto ok", il cuore di Peter si alleggeriva, come se avesse compiuto una piccola impresa. Eppure, col passare dei giorni, Wade iniziò a rispondere sempre meno, e i suoi silenzi si fecero più lunghi e preoccupanti.

***

Era ormai arrivato gennaio, erano passati giorni da quando Wade si era degnato di rispondere a uno dei suoi messaggi e l'inquietudine di Peter si era trasformata in vero e proprio panico. Mark tentava di distrarlo in tutti i modi, ma Peter era ormai troppo distante per essere raggiunto. Era preoccupato in modo insopportabile, e si rendeva conto che non poteva più ignorare quel senso di allarme che lo tormentava ogni giorno. Non si trattava più di un semplice pensiero preoccupato, ma di una voce insistente nella sua testa che gli diceva che qualcosa non andava.

Quella domenica sera, Peter prese la decisione di andare a vedere Wade di persona. Sentiva di non poter aspettare oltre. Prese il suo giubbotto e uscì senza nemmeno avvertire Mark, il cuore che batteva furiosamente nel petto. Era stanco di restare fermo, di inviare messaggi che restavano senza risposta. Aveva bisogno di sapere se Wade stava bene. Sapeva dove abitava, in quella vecchia casa malconcia nel Queens, dove il tempo sembrava essersi fermato e le pareti trasudavano decadenza.

Raggiunse l'edificio in pochi minuti e si fermò davanti alla porta dell'appartamento di Wade, respirando profondamente per calmarsi. Bussò diverse volte, aspettando con ansia una risposta. "Wade, sono io, Peter!" chiamò, tentando di farsi sentire oltre il silenzio che sembrava avvolgere tutto l'edificio. Aspettò, ma non ottenne alcun segnale. Con un groppo in gola, provò a spingere la maniglia. La porta era chiusa, ma sentiva che non poteva andarsene. In preda alla disperazione, colpì la porta con la spalla finché non cedette, aprendosi con un rumore sordo.

La scena che gli si presentò davanti lo lasciò senza fiato. L'appartamento era in un disordine totale: bottiglie vuote sparse sul pavimento, mobili rovesciati, tende chiuse che bloccavano ogni raggio di luce. In mezzo a quel caos, Wade giaceva sul pavimento del soggiorno, immobile. Peter corse immediatamente verso di lui, il terrore che lo stringeva come una morsa. "Wade, svegliati!" urlò, scuotendolo per le spalle, ma Wade non rispose. Il suo volto era pallido, le labbra quasi livide. L'odore pungente di alcol era così forte che gli fece girare la testa.

"Ti prego, Wade," mormorò, sentendo le lacrime affiorargli agli occhi. Peter sapeva che doveva agire in fretta. Sollevò Wade a fatica, trascinandolo verso il bagno. "Devi vomitare," sussurrò con voce tremante, guidandolo verso il water. Con delicatezza, gli fece inclinare la testa in avanti, sperando che il suo corpo reagisse. Ci volle qualche minuto, ma alla fine Wade iniziò a rigettare violentemente il contenuto del suo stomaco.

Quando Wade finì, sembrava svuotato, privo di forze. Peter lo sollevò di nuovo e lo portò verso il letto, dove lo distese con attenzione. Gli tolse le scarpe e lo coprì con una coperta logora, cercando di fargli ritrovare un po' di calore. Peter si sedette accanto a lui, con il respiro affannoso e il cuore ancora in gola. Era stanco, esausto, ma non avrebbe mai potuto lasciarlo lì da solo.

La notte avanzava, ma Peter non si mosse dal suo posto. Ogni tanto, Wade emetteva qualche gemito o si girava nel sonno, e Peter si avvicinava per bagnargli la fronte con un panno umido o per accertarsi che respirasse regolarmente. Sentiva la fatica pesargli addosso, ma restava vigile, parlando a Wade con un filo di voce per cercare di mantenere un contatto, anche solo emotivo.

Dopo ore di veglia, Wade sembrò finalmente risvegliarsi. Aprì gli occhi con difficoltà, fissando Peter con uno sguardo confuso. "Cosa ci fai qui?" mormorò con voce roca, cercando di capire se fosse ancora in preda a un sogno o se quello che vedeva fosse reale.

Peter lo guardò con un sorriso stanco, sollevando appena le spalle. "Non potevo restare a guardare," rispose, stringendogli la mano fredda con la sua. "Sono qui per te, Wade. Sempre."

Fleeting Shadows // SpideypoolDove le storie prendono vita. Scoprilo ora