16 Gennaio

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Wade era seduto sul pavimento, con le ginocchia strette al petto e le mani che tremavano leggermente. L'appartamento sembrava un labirinto di caos, ma in quel momento, i suoi pensieri erano ancora più confusi. Ogni tanto portava la mano alla fronte, come se volesse schiacciare via i ricordi, ma era inutile. Quel giorno, il 16 gennaio, era come un marchio a fuoco nella sua mente. Ogni anno, lo sentiva avvicinarsi con lo stesso terrore che aveva provato quando era bambino.

Le immagini della sua infanzia si facevano strada nella sua testa, e per un attimo tutto tornava indietro di vent'anni. Aveva sei anni la prima volta che sentì il rumore delle chiavi girare nella serratura con quell'intonazione cupa e metallica che aveva imparato a temere. Ogni sera sembrava una scommessa su quale lato del padre sarebbe tornato a casa: l'uomo stanco che si rifugiava in silenzio davanti alla televisione, oppure l'ubriaco aggressivo, pieno di rabbia e insoddisfazione che non aspettava altro che un pretesto per sfogarsi.

Quella sera, il pretesto fu una banale macchinina lasciata sul pavimento. Wade stava giocando nella sua stanza, ignaro della burrasca che stava per abbattersi su di lui. Suo padre era rientrato dal lavoro con il solito passo pesante, e quando il giocattolo gli capitò sotto i piedi, inciampando leggermente, fu come se il mondo si fosse fermato. Le urla arrivarono come un tuono, e poco dopo le mani di quell'uomo lo afferrarono con una violenza che sembrava impossibile. Wade ricordava solo l'improvviso contatto con il pavimento freddo, il dolore pungente alla schiena, e quella sensazione di impotenza assoluta che lo pervase mentre suo padre lo strattonava e lo colpiva con furia cieca.

"Sei inutile, Wade! Sei solo un peso morto!" le parole gli risuonavano ancora nelle orecchie, come un'eco di condanna che non l'aveva mai lasciato. Ogni insulto e schiaffo sembravano inchiodarlo a un ruolo da cui non riusciva a liberarsi: quello di una nullità, di un bambino incapace, privo di valore.

Le cicatrici fisiche guarirono con il tempo, ma quelle invisibili rimasero radicate in lui, intrise nel suo essere in modo tanto profondo che spesso si chiedeva se sarebbe mai riuscito a liberarsene.

Più crescevano le cicatrici, più si intensificava il suo bisogno di fuggire dalla realtà. L'alcol era stato il primo rifugio, poi arrivarono altre abitudini autodistruttive che riempivano il vuoto lasciato da quelle parole. E ora, a 26 anni, ogni 16 gennaio, cercava di annegare la memoria di quei giorni in una bottiglia, sperando che almeno per qualche ora il passato smettesse di pesargli addosso.

Quel giorno, la bottiglia era stata più convincente del solito, tanto da spingerlo a mandare quel messaggio sconnesso a Peter. Non era neanche sicuro di ciò che stava facendo, ma aveva bisogno di una voce familiare, di una presenza che lo tirasse fuori dall'abisso in cui stava precipitando. E ora Peter era lì, seduto accanto a lui, con una mano sulla sua spalla, come a voler trasferire una parte della sua forza al ragazzo spezzato davanti a lui.

Wade poteva percepire la sincerità negli occhi grandi di Peter, ma non riusciva a immaginare come qualcuno potesse veramente aiutarlo. Non quando era lui stesso il nemico peggiore.

Peter guardava Wade con una sorta di disperazione muta, come se stesse cercando di trovare le parole giuste ma non sapesse da dove cominciare. "Hai bevuto troppo," disse infine, quasi sottovoce. "Potresti farti male."

Wade abbassò lo sguardo, sentendo una stretta alla gola. "È quello che volevo fare," mormorò con un sorriso amaro, quasi una confessione a sé stesso più che a Peter.

"Non dire così," replicò Peter, il tono carico di angoscia. Si sporse verso di lui, stringendogli la mano. "Non è la soluzione. Wade, non devi..."

"Non devi cosa?" lo interruppe Wade, la voce che si fece improvvisamente più forte. "Non devo distruggermi? Non devo sentirmi un fallimento?" Si scostò da Peter, lasciando ricadere il corpo contro il divano, lo sguardo rivolto al soffitto. "Ti illudi se pensi che io possa essere diverso da così. lo... non sono niente."

La frustrazione di Peter esplose, ma in modo diverso da come si aspettava.
Non era rabbia, ma un'urgenza disperata. "Non sei niente?" ripeté con incredulità. "Wade, tu... non puoi vederti come ti vedo io, ma tu sei qualcuno. E io non voglio lasciarti credere il contrario. Sei più forte di quanto pensi."

Wade lo guardò per un lungo istante, come se non fosse in grado di comprendere ciò che aveva appena sentito. Poi chiuse gli occhi, lasciando uscire un respiro tremante. Peter non sapeva niente del passato di Wade, delle cicatrici che portava dentro di sé.

Ma in qualche modo, anche senza conoscere quella storia, sembrava intuire la profondità della sua sofferenza.

Senza dire una parola, Wade si lasciò scivolare giù dal divano, finendo sul pavimento, le ginocchia al petto e le braccia che le circondavano strette. Non voleva piangere, ma si sentiva sul punto di crollare.

Peter scese accanto a lui, lo abbracciò di nuovo, stringendolo con tutta la forza di cui era capace. "Non ti lascio solo," gli sussurrò all'orecchio. "Qualunque cosa succeda."

Era un inizio, forse, o un passo verso un luogo meno oscuro. E, per la prima volta dopo tanto tempo, Wade si permise di sperare che fosse davvero così.

allora
no allora
parliamone

la spideypool sta diventando un ossessione
la mia galleria non ce la fa più
i miei amici non ce la fanno più
(poracci)

comunque è un capitolo abbastanza inutile, sono impegnata con lo studio però non mi andava di lasciare la storia :)

in più oggi stavo riguardando spiderman no way home e ho avuto un'idea, ancora da definire, per un'altra storia quindi top 🔝

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⏰ Ultimo aggiornamento: 20 hours ago ⏰

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