Prologo

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And that's the thing about illicit affairs
And clandestine meetings and stolen stares
They show their truth one single time
But they lie, and they lie, and they lie
A million little times
And you wanna scream
Don't call me "kid"
Don't call me "baby"
Look at this godforsaken mess that you made me
You showed me colors you know I can't see with anyone else
Don't call me "kid"
Don't call me "baby"
Look at this idiotic fool that you made me
You taught me a secret language I can't speak with anyone else.

È questa la cosa degli affari illeciti
Degli incontri clandestini e degli sguardi rubati,
Mostrano la verità solo una volta,
Ma poi mentono, mentono, mentono
Ogni milione di piccole volte
E tu vuoi urlare
non chiamarmi "bambina"
Non chiamarmi "piccola"
Guarda la stupida scema che mi hai fatto diventare
Mi hai insegnato un linguaggio segreto che non posso parlare con nessun altro.

Se pochi mesi prima mi avessero chiesto cosa avrei fatto nella vita, avrei detto il medico, ma se me lo chiedessero ora non saprei cosa dire.

La maggior parte delle persone sanno cosa faranno fin da quando sono piccole. C'è chi dice l'ingegnere, l'insegnante, conoscevo un ragazzo che sapeva di voler fare l'apicoltore.

Io invece rientravo nella categoria che io chiamavo  "cuccioli smarriti", un branco di adolescenti allo sbaraglio che non avrebbero concluso nulla nella vita. Almeno quelle erano le mie convinzioni, perché così come loro avevo avuto 18 anni per pensarci, nel mio caso 19 ed ero arrivata alla stessa conclusione.

Non so che diavolo fare della mia vita.

Era la frase che mi ripetevo quando lavoravo il pomeriggio nella gelateria. Quando mi allenavo per la corsa campestre. Quando Jordan, il mio fidanzato mi chiedeva di uscire. Quando le mie amiche mi dicevano di essere state accettate ad Harvard, alla NYU e alla Boston University.

E quando loro mi chiedevano a che punto fossi, io dicevo di aver mandato la richiesta a Yale, Harvard e un sacco di altre università famose, che erano ben oltre la possibilità economica della nostra famiglia, solo per finire per dire, che non mi avevano ancora risposto.

Se fossi stata onesta con loro o con me stessa, avrei ammesso che quel plico di fogli era ancora sulla mia scrivania, incartato e pronto per la spedizione, ma che non l'avevo mai fatto e che ormai il tempo per fare domanda era finito.

Ero alla mia cerimonia di diploma e l'unica cosa che pensavo era quel mantra che mi ripetevo da qualche mese, che mi impediva di dormire, studiare o inviare il plico di domande.

-Megan Bennet-chiamarono.

La bionda cheerleader sul palco si era aggiudicata una borsa di studio per Stanford, avrebbe studiato psicologia dello sport.

La ragazza dopo di lei era un genio della matematica e di certo avrebbe studiato alla Pen university.

Il ragazzo dopo di lei era entrato alla Stanford per una borsa di studio sul football, evidentemente non si erano ancora accorti che era un incapace che faticava a fare due più due. Se non altro, era bravo a prendere le palle.

-Jane Franklin- la mia migliore amica mi salutava dal palco con il pezzetto di carta che affermava che aveva finito il liceo. Ci mandò un bacio volante e poi tra le urla e gli applausi scese.

Jane era famosa per i suoi splendidi capelli, neri come l'antrace e un paio di brillanti occhi verdi. Era nella squadra di nuoto, questo purtroppo non le aveva assicurato una borsa di studio, lo faceva più per diletto che per bravura.

Era stata la prima tra noi quattro ad enunciare ciò che avrebbe voluto fare.

La traduttrice.

Da bambina aveva frequentato una scuola di lingue e parlava così bene il francese da mettere in imbarazzo l'insegnante.

Ci piaceva dire che io avrei scritto i libri e lei gli avrebbe tradotti in tutte le lingue che riusciva ad imparare.

Si era aggiudicata una borsa di studio per Stanford partecipando ad un complicato concorso.

-Hazel Lee -

Hazel si incamminò verso il preside e prese la sua pergamena diventando rossa come un peperone.

Hazel era la persona più calma della terra, più timida e anche più profonda. Stava ad ascoltarti parlare dei tuoi problemi per ore, e quando tu provavi a fare lo stesso con lei si chiudeva a riccio, ma qualche volte ti lasciava entrare e aveva permesso di farlo a tutte noi.

Lei fu la seconda ad annunciare la sua carriera. Voleva diventare infermiera. Il padre, anche lui infermiere, era morto molto prima che noi ci incontrassimo, e anche se lei non l'aveva mai detto attribuivo la sua scelta a ciò che era successo.

-Alina Mayers-

Salì sul palco poco dopo Hazel sfoggiando un minuscolo sorriso e un accenno di ringraziamento.

Ci salutò con un energico CIAO. Negli ultimi mesi sembrava sbocciata. Aveva scurito i capelli ed i suoi occhi castani brillavano più che mai. Aveva iniziato a vestirsi meglio, a capire cosa la valorizzasse e ad acquisire più sicurezza. Si era innamorata di un ragazzo che non la ricambiava e in parte sentivo che era colpa mia. Avevo insistito io a farglielo conoscere e ora lei ci stava male.

Poche settimane fa aveva annunciato di aver fatto domanda alla Boston University per legge e gestione aziendale, i suoi possedevano una catena di ristoranti e lei voleva contribuire. Anche se non lo aveva mai detto avevo la sensazione che quello non fosse il percorso che avrebbe scelto per sé stessa, ma credevo anche per senso del dovere avrebbe fatto ciò che era giusto fare. Entrare nel business di famiglia.

La fila scorreva avanti a me. I miei genitori erano in terza fila. Avevano una telecamera enorme e mia madre fissava attentamente chi mancasse prima di me.

Dovevo essere felice di raggiungere quel traguardo. Dopo così tanta fatica ce l'avevo fatta, ce l'avevamo fatta.

-Carrie White-

Quando chiamarono il mio nome ero completamente presa dai miei pensieri che il ragazzo dietro di me dovette darmi una spinta.

Mi costrinsi a camminare in avanti, a salire gli scalini. A raggiungere il preside. A stringergli la mano. A fare una foto, a sorridere. E finalmente, scendere.

Avevo finito.

Dopo tanto tempo sono tornata con una nuova storia. Fatemi sapere cosa ne pensate.
XOXO Marty

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