11. Nel buio della notte

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Il giorno dopo la sveglia suonò presto. Mi alzai dal letto con adagio, per non svegliare Stacy che teneramente dormiva sulla mia spalla. Andai in bagno e, dopo essermi sciacquata il viso, mi guardai allo specchio: ero davvero impresentabile. I miei occhi erano gonfissimi e rossi a causa delle numerose lacrime versate il giorno prima. Cercai di non pensarci e iniziai a prepararmi velocemente: indossai dei semplici shorts di jeans e una T-shirt bianca. Successivamente mi recai in cucina, cercando di fare piano per non svegliare nessuno, e uscii senza fare rumore. Presi velocemente un taxi e arrivai all'aeroporto dove, all'esterno, Daniel m i aspettava già. Alzò una mano per salutarmi e io ricambiai con l'accompagnamento di un sorriso. Non appena mi avvicinai scrutò i miei occhi ambrati con i suoi.

«Ehi! Stai bene?».

«Sì, certo. Perché?», dissi cercando di celare i miei veri sentimenti.

«Sei sicura. I tuoi occhi sono così rossi. Chi ha osato far piangere una ragazza così carina come te?», disse accarezzandomi delicatamente la guancia.

Sorrisi tristemente, «tranquillo Daniel, sto bene. Non è nulla di grave».

«Sicura? Sai che se vuoi parlare...»

«Tu ci sei. Sì, lo so. Ma sto bene, tranquillo», dissi interrompendolo.

Sorrise. «Okay, va bene. Passeggiamo un po'? Il mio aereo partirà a breve».

Io annuii.

Parlammo del più e del meno mentre giravamo per l'aero­porto, ma a me fece davvero bene. Avevo bisogno di distrarmi da tutti i problemi: da mio padre, da mia madre, dalle sue parole la sera prima e tutte le sue conseguenze. Capivo perfettamente le sue ragioni, ma il mio cuore ormai apparteneva a William. Come potevo cancellare quel sentimento? Era impossibile farlo per me! Daniel non chiese più nulla riguardo al mio stato e di questo fui felice: non mi andava di parlare della questione in cui mi trovavo. Tuttavia, quando ci fermammo al bar, i suoi occhi si incupirono.

«Daniel? Tutto okay?», chiesi ad un tratto.

«C-certo, perché me lo chiedi?», disse balbettando.

«No, è solo che... sicuro che vada tutto bene?».

«Sì, cioè no io... cavolo... non so neanche come dirlo», sbuffò.

«Dire cosa?».

«Katie... so che non è il momento. A breve salirò su quell'aereo e non so neanche quando ti rivedrò, ma proprio per questo devo dirti quello che sento. È giusto che tu sappia che mi hai stregato, ammaliato, chiamalo come vuoi. L'unica cosa che so è che non faccio altro che pensarti: ogni giorno penso a come stai a cosa stai facendo, penso che voglio vederti, parlarti, io... credo di provare qualcosa di più. Non posso dire che sia amore perché ti prenderei in giro. L'amore è tutta un'altra cosa. Ma non è amicizia, di que­sto ne sono sicuro».

La mia esistenza (IN REVISIONE✍🏻🗒️) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora