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«... Sei riuscita in quello in cui tutte le altre hanno fallito: tu... mi hai insegnato ad amare»
Katie Smith é una giovane ragazza di origini inglesi trasfer...
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La luna lattescente risplendeva abbagliante e i teneri raggi che accarezzavano i sottili filamenti delle onde illuminavano l'oscurità di quella notte. Osservai il cielo dalla verandina della mia stanza ripensando a tutti gli avvenimenti di quell'estate. Dalla famosa uscita con Riccardo e Stacy, il tempo era praticamente volato. L'ultimo mese estivo aveva fatto il suo corso e portando con sé tutti i momenti più belli che avevo vissuto nella piccola cittadina genovese.
Il giorno dopo sarei tornata a casa, alla mia vita di sempre, e fui invasa da una nefasta onda di malinconia. La percepivo salire lungo le gambe e arrivava al mio stomaco stritolandolo. I polmoni si comportavano come una molla: ispirando sembrava si restringessero più del normale; espirando, invece, sembravano chiudersi in una morsa, quasi come se volessero accumulare quanta più aria possibile ed evitare di espellerla. Il cuore sembrava avvolto da un sottile strato di tessuto, che aderiva stretto intorno al muscolo e ne ostacolava il battito naturale. Respirai a fondo mentre i miei occhi, rivolti al cielo, ammiravano la strabiliante quantità di puntini luminosi che risaltavano sul sottile strato di velluto blu. Era curioso lo strano modo con cui esso inglobava quella piccola porzione di mondo che riuscivo ad osservare; mi dava l'impressione di trovarmi sotto la cupola di una chiesa: niente navata, niente altare, solo una grande cupola. Tempo fa vidi un film di natale che parlava di una ragazza che finiva all'interno di una palla di vetro: in quel momento ebbi proprio quella sensazione. Mi sembrò che per tutta l'estate ero stata catapultata in un'altra dimensione, un piccolo angolo di universo dove tutto è meraviglioso - un po' come le Cronache di Narnia – e adesso che il viaggio era finito, a malincuore, dovevo tornare a casa. Mi sentivo triste, malinconica, come se avessi la sensazione che una volta tornata a casa tutto sarebbe finito. La mia testa era un castello infinito di "sé" e di "ma" che, con l'avanzare del tempo, continuava a mettere mattoni, tegole e piccole torrette.
«KATIE! KAT... AHH!», esclamò Maddy, entrando spaventata dalla porta che dava accesso alla veranda. Portò una mano sul petto mentre respiri profondi fuoriuscivano dal suo naso e dalla sua bocca. «Stai qua?! Cavolo ti sto chiamando da tre ore e tu stai lì, come una cogliona!»
«Ma se sto qua da mezz'ora!»
«E allora rispondi!» ribadì.
«Questa è la stanza più lontana: non si sente nulla da dentro figurati da qui fuori»
Aggrottò le sopracciglia portandosi una mano sulla fronte stizzita. «Va bene! Sti cazzi! Tanto io mi sono cagata sotto, fa nulla! In tutto ciò perché ti cercavo...?», disse cercando di ricordare una cosa che solo lei poteva sapere. «Ah! Giusto! SEI PRONTA!»
«Ma certo, stavo aspettando Stacy che ancora non ha intenzione di uscire dal bagno»
«Dai, ma che cavolo. Stacy, muoviti siamo in ritardo», si lamentò entrando nella stanza.