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«... Sei riuscita in quello in cui tutte le altre hanno fallito: tu... mi hai insegnato ad amare»
Katie Smith é una giovane ragazza di origini inglesi trasfer...
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Il suono squillante della campanella si irradiò nei corridoi e nelle aule colme di ragazzi.
«Bene, ci vediamo lunedì. Mi raccomando fate gli esercizi che vi ho assegnato, lì correggeremo insieme la prossima settimana», urlò la professoressa Iavarone, ma inutilmente.
Gli schiamazzi dei miei compagni e le sedie e i banchi che si muovevano, generavano un frastuono che metteva alla prova anche le mie orecchie. Tutti uscirono dall'aula fin quando non rimasi da sola tra le quattro pareti bianche della classe ormai vuota, rigorosamente impiastricciate di scritte anonime dipinte a matita o a penna. La mia preferita raffigurava un gatto con sopra una vignetta che recitava: "me cagat o Cats". Ricordo che quando la vidi per la prima volta feci subito una foto per mostrarla a mia sorella Maddy; ridemmo tantissimo.
Raccattai velocemente le mie cose e silenziosamente uscii anche io. Percorsi il primo corridoio e girai per le scale antincendio tagliando direttamente verso il parcheggio. L'aria era fredda e silenziosa, riuscivo a sentire, in lontananza, solo le voci distanti dei miei compagni che erano usciti dall'uscita principale dell'edificio. Percorsi la strada asfaltata e intravidi l'auto grigio metallizzato che spiccava tra le altre. Senza perdere tempo la raggiunsi e mi infilai silenziosa sul sedile del passeggerò.
«Ehi!», disse con un sorriso stampato sul viso.
Cercai di ricambiare e ci riuscii alla perfezione. Ormai erano giorni, mesi, che fingevo di sorridere, mesi che fingevo di essere felice. I miei muscoli erano così allenati che non mi sforzavo neanche più di farlo.
«Ehi!», risposi.
«Come va?»
Domanda a cui ero altrettanto abituata. «Bene»
«E...?», chiese incitandomi.
«E cosa?»
«Novità?»
Sospirai, «Stacy... ti prego»
«Ti prego cosa Katie?! Sono mesi che stai... così! Tua madre, tua sorella e persino tuo padre sono preoccupati. E anche io lo sono in realtà»
«Sto benissimo okay?», dissi guardandola per un secondo. I suoi occhi azzurri misero a dura prova il mio controllo e alla fine fui costretta a distogliere lo sguardo, tornando a guardare il vetro dell'auto davanti a me in silenzio. In quell'istante, però, mi accorsi di quanto fossi inevitabilmente cambiata: tre mesi fa non avrei guardato il parabrezza dell'auto, avrei guardato il meraviglioso panorama che vi era davanti; avrei guardato il sole, non il buio costante della mia stanza alimentato dalle tapparelle della finestra chiuse; tre mesi fa sarei stata la prima ad uscire dall'aula, sarei stata quella che si perdeva in chiacchiere con i suoi compagni facendo arrabbiare Stacy perché voleva tornare a casa; sarei stata quella che usciva dall'entrata principale dell'edificio sorridendo e scherzando con tutti.