CAPITOLO UNDICESIMO - parte 2

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Asya avanzò timorosa verso la porta. Il cuore sembrava voler balzare fuori dal suo petto, e le gambe che tremavano come foglie secche in autunno reggevano a stento il peso del suo corpo.
Dove avrebbe trovato il coraggio di guardarlo?
Con quale presunzione sarebbe entrata in quella porta adesso?
-Prego, entri- le disse il medico spingendo la maniglia e spostandosi di lato per liberarle il passaggio.
La ragazza abbassò la testa e varcò lentamente la soglia; subito un forte odore di disinfettante e medicinali raggiunse le sue narici, ma non fu questo che la lasciò scossa. Tim era disteso su un letto bianco, con le braccia lungo i fianchi. La sua bocca era interamente coperta dal respiratore, ed aveva una flebo attaccata al braccio sinistro. Gli occhi erano chiusi, e tutto il corpo immobile.
Sembrava così... Debole.
Asya si avvicinò a lui, trattenendo a stento le lacrime. Lo guardò con un'espressione profondamente triste, vagando con lo sguardo lungo il suo corpo ancora sporco di sangue in più punti. Aveva l'impressione di fargli male solo guardandolo, tanto era mal ridotto.
Avvicinò una mano al viso del ragazzo, e passò con delicatezza le dita sulla sua guancia.
Se ci fosse stato un modo per mettersi al suo posto, in quel momento, probabilmente l'avrebbe fatto.
Si sarebbe presa tutto quel dolore, l'avrebbe reso suo pur di cacciarlo via dal corpo di quel ragazzo.
Perché non lo meritava.
Non meritava tutto questo.
-Tim..- balbettò.
Quanto era brutta quella sensazione di impotenza.
Tutto ciò che poteva fare era starsene lì a guardalo mentre lui lottava per la sua vita.
Niente, niente di ciò che era in suo potere avrebbe mai potuto aiutarlo; e questo era, per la ragazza, qualcosa di assolutamente insopportabile.
Silenziosamente riprese a piangere, e si portò le mani alla testa; aveva la sensazione che sarebbe svenuta da un momento all'altro. Indietreggiò di un passo e mise a sedere nella sedia posta accanto al letto, perché il suo corpo era improvvisamente diventato troppo pesante, e le gambe facevano fatica a reggerlo.
Passarono circa due minuti, poi accadde. Accadde esattamente ciò che non doveva accadere: la macchina a cui era collegato Tim, e che controllava i suoi parametri vitali, iniziò a suonare.
Emetteva una sequenza di rapidi Bip.
Asya si alzò in piedi di scatto, e si voltò spaventata verso la porta. Nello stesso tempo quest'ultma si aprì, ed entrarono due medici.
-Cosa succede?!- gridò la ragazza.
Dopo di loro giunse sul posto anche una infermiera, che afferrò Asya per le spalle. -Deve uscire, lasci lavorare i dottori- le disse mentre la spingeva.
-Sta morendo?!- gridò ancora la ragazza in preda al panico.
-La prego, deve uscire- ripetè l'infermiera, che nel frattempo era riuscita a spingerla fin oltre la porta. -I dottori faranno del loro meglio- continuò a dire, per rassicurarla.
Asya afferrò la donna per le spalle, e piantò i suoi occhi lucidi in quelli di lei. -Deve dirmi se sta morendo!-.
L'infermiera le afferrò i polsi e la allontanò con delicatezza. -La macchina ha indicato una preoccupante ricaduta. Ma faremo del nostro meglio-.
La domanda, nella mente di Asya, nacque inevitabilmente.
Il vostro meglio sarà sufficiente a salvare Tim?
Ma chiederlo era inutile. Doveva solo aspettare e sperare. Non aveva alcun potere, anche adesso.
Ma la sofferenza era diventata insopportabile. Non poteva reggere oltre.
"Tim sta morendo".
Si lasciò cadere sulla sedia della sala d'aspetto, e posò la testa contro al muro bianco. Non aveva più neanche la forza di piangere.

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