CAPITOLO DODICESIMO - parte 1

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La porta della stanza di Tim restò chiusa per più di due ore.
L'attesa fu terribile per Asya; fu di certo uno dei momenti più brutti della sua vita.
Starsene lì impalata ad aspettare mentre i medici tentavano disperatamente di salvare la vita di quel ragazzo, senza poter fare assolutamente niente per aiutarlo, era una delle sensazioni più terribili che avesse mai provato.
Sentiva la testa girare vertiginosamente, complici anche le gocce di Valium che le erano appena state messe nel bicchiere, ed aveva continue fitte di dolore allo stomaco dovute alla pressione.
Nella sua mente continuava a ripetere una singola frase, fino allo sfinimento: "Ti prego Tim, non morire"; ed ogni secondo che scorreva sembrava essere lungo un'intera eternità.
Quando finalmente la porta si aprì, Asya balzò in piedi con le palpebre spalancate. Guardò in faccia i medici, con gli occhi gonfi e rossi; ma non ebbe il coraggio di chiedere come stesse Tim.
Se le avessero risposto che...
Non poteva neanche pensarlo.
-Signorina- disse uno dei dottori.
La ragazza lesse un profondo dispiacere negli occhi dell'uomo in camice, e questo le fece mancare un battito al cuore.
-È...è...-. Non riusciva neanche a dirlo. Tim era morto?
No.
Non poteva essere morto.
Non poteva.
-Signorina, siamo riusciti a stabilizzarlo- disse poi il medico sospirando -Ma...purtroppo è accaduta proprio la cosa che temevamo...-.
Asya continuò a fissare il volto dell'uomo, incapace di comporre una frase di senso compiuto. Era talmente scossa da non riuscire a parlare; i suoi occhi erano spenti, la sua mente ridotta ad un cumulo di pensieri che non riusciva a controllare.
-È caduto in coma- disse infine il dottore accanto, che ebbe un approccio certamente più diretto.
-E non sappiamo se...si risveglierà-.
Quelle parole, per la ragazza, furono come una mazzata sul collo.
Tim era...in coma?
E forse non si sarebbe più svegliato?
Era una cosa troppo grossa da elaborare in così poco tempo.
-No-non...non si sveglierà...più?-. Questa fu l'unica frase tremante che riuscì a pronunciare, mentre lasciava cadere le braccia lungo i fianchi, psicologicamente distrutta.
-Non lo sappiamo ancora- rispose uno dei medici, cercando di addolcire un pò la pillola -Se vuole può entrare a vederlo, ma...credo sarebbe meglio per lei mettersi un pò a riposo-.
La ragazza scosse la testa. -Entro- disse, mentre si stava già avviando verso la porta.
La sua mente era quasi del tutto fuori controllo, tanto che ricordava a malapena dove si trovasse e come fosse arrivata fino a lì; l'unico suo pensiero, fisso e costante, era che non voleva che Tim morisse.
Varcò la soglia e posò subito gli occhi sul corpo del ragazzo disteso sul letto. Era ancora attaccato al respiratore, ma adesso avevano messo un'altra flebo al braccio che prima era libero. Non sembrava cambiato quasi nulla, se non avesse saputo che adesso era in coma.
Si avvicinò barcollante, e dovette sedersi ancora una volta per non rischiare di cadere.
Allungò un braccio ed afferrò con dolcezza la mano di Tim, stringendola nella sua.
Avrebbe tanto voluto sentirla muoversi; avvolse le dita attorno a quelle di lui, mentre poggiava la testa sul lato del materasso.
Ascoltava il rumore piatto e sempre uguale dell'aria che entrava ed usciva dal respiratore, e non poteva fare a meno di sentirsi uno straccio.
La peggiore persona sulla faccia della terra.
Tim era in coma. E la colpa era da accreditare solo e soltanto a lei.
Se solo non fosse corsa verso la strada.
Se solo avesse notato prima quel camion in arrivo.
Ma anche piangersi addosso era inutile, ormai.
Il medico la osservava in piedi in un angolo sella stanza, con le mani intrecciate dietro alla schiena. Non intendeva lasciarla sola perché temeva per la sua salute; doveva essersi reso conto anche lui delle condizioni psichiche in cui versava quella ragazza.
Asya strinse più forte la mano di Tim, e si disse che da quel momento non l'avrebbe abbandonato mai.

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