CAPITOLO DICIASSETTESIMO - parte 2

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Asya abbassò lo sguardo senza dire altro. Non le andava affatto di discutere con lui, tantomeno dopo quello che aveva appena passato. Sospirò, portandosi le mani dietro alla nuca, e socchiuse gli occhi.
Tim affondò la testa nel cuscino, tornando a fissare il soffitto bianco sopra alla sua testa. Sembrò pensare, restò completamente in silenzio per una lunga serie di minuti.
Infine, muovendosi molto lentamente, girò il capo verso di lei. 
-Scusa-.
La ragazza sollevò lo sguardo ed incrociò quello di lui, con aria sorpresa. Non si aspettava affatto che le avrebbe chiesto scusa per aver parlato in quel modo; non lo aveva mai fatto prima d'ora.
-Solo...Non avvicinarti mai più a quel bosco, intesi?- disse ancora Tim. La sua voce non era nervosa o arrabbiata; al contrario adesso era molto rilassata, ma sembrava anche piuttosto preoccupata.
Era più che evidente che conosceva quell'essere abbastanza bene da sapere che era molto pericoloso.
La ragazza scrutò il volto di Tim, poi annuì semplicemente. Avrebbe voluto chiedere di più, dirgli "perchè non dovrei?" oppure "cosa accadrebbe se invece ci tornassi?"; tuttavia, sapeva bene che lui non le avrebbe fornito alcuna risposta.
Spostò lo sguardo sulla maschera poggiata sul comodino, e Tim parve accorgersene perché improvvisamente si irrigidì. Sospirò, e disse ancora: -Lo so che vorresti capire, ma ti prego, non farmi domande. Devi restare fuori da questa faccenda-.
Asya poggiò i gomiti sulle gambe. -Ho capito, non preoccuparti.... Solo che...-. Non fece neanche in tempo a finire la frase, perché lui la interruppe bruscamente:
-Asya, ti prego. Non devi preoccuparti, sappi solo che per il tuo bene devi starne fuori-.
La ragazza annuì ancora, e le parole che avrebbe dovuto dire soffocarono nella sua gola.
Non poteva chiedergli questo, chiedergli di ignorare ciò che aveva visto, e di non fare domande. Più che la curiosità e la volontà di capire, comunque, era la preoccupazione che la spingeva ad insistere. Aveva la netta sensazione che quel mostro non fosse una figura positiva, neanche per Tim. Nonostante non avevesse la più pallida idea di cosa fosse né di quale collegamento avesse con quel ragazzo, lo sentiva.
E se gli stesse facendo del male? Non poteva neanche pensarci, dopo quello che era appena successo la paura di perderlo era enorme.
Dunque raggruppò tutto il suo coraggio e disse: -Credo che lui ti abbia salvato... Sono stata io a pregarlo e...-. Si interruppe. L'espressione sul volto di Tim era cambiata nuovamente nel giro di un secondo, ed ora la guardava con la fronte aggrottatae lo sguardo truce. 
-Smettila. Ti ho detto di non nominarlo mai più-.
Disse solo questo, prima di distogliere lo sguardo.
Asya abbassò la tetsta. Che stupita. Forse avrebbe dovuto stare zitta.
Il solito cigolio ormai familiare generato dalla porta attirò l'attenzione di entrambi; entrò un giovane medico, il quale accennò un sorriso mentre si avvicinava al letto di Tim.
-Come si sente?- chiese rivolgendosi al ragazzo.
-Sto bene- rispose lui frettolosamente. In realtà non era affatto vero: le ossa ed i muscoli facevano male ad ogni più piccolo movimento, i tagli bruciavano, e gli faceva male la testa. Tuttavia non voleva farsi vedere sofferente, soprattutto non in presenza di Asya. Sapeva che doveva aver sofferto molto per lui, quella povera ragazza.
-Ne sono felice- esclamò ancora il dottore -Ma lo sa che è proprio fortunato ad avere un'amica come questa?- continuò, indicando Asya con un cenno del capo.
Lei si irrigidì, sorpresa da quella esclamazione inaspettata.
-È rimasta al suo fianco tutto il tempo, mentre era in coma. Non ha mangiato neanche una volta, ed ha dormito accanto al suo letto ogni notte...Non sa che strazio è stato anche per noi vederla piangere così tanto, è un vero sollievo che le cose siano andate per il meglio, penso proprio che lo meritiate-.
Tim voltò la testa verso Asya, con un lieve ghigno che pareva un sorriso. Tutto questo dentro di sè lo sapeva già, ma sentirselo dire dal medico era stato davvero piacevole.
Lei era sempre stata lì, al suo fianco, mentre lui lottava contro la morte.
Non era mai stato solo, in quella lotta.
Lei afferrava la sua mano, e lui riusciva quasi a sentirla seppur immerso in quel sonno.
E la sua voce dolce echeggiava nei corridoi della sua mente, che minacciavano di non liberarlo mai più.
Tim sorrise più ampiamente, stavolta.
Il dottore aveva ragione.
Era fortunato.

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