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Roman chiese il permesso a mia madre di accompagnarmi al mercato, come ogni mattina, per scambiare qualcuno dei nostri prodotti con altri essenziali che ci mancavano o con qualche soldo per rammendare i nostri vestiti.

Mia madre accettò come sempre, preferiva sapermi in compagnia di qualcuno di fidato anziché sapermi sola in balia di "cattive compagnie" fino al tramonto.

E poi, anche se non voleva ammetterlo, sapevo che Roman le era più simpatico di quanto volesse ammettere e probabilmente lo vedeva già come un possibile pretendente per quando sarei entrata in età da marito. Infondo ero un buon partito: nipote di ricchi mercanti caduti in disgrazia, figlia di un cavaliere, primo nel suo ordine e, a quanto diceva, consigliere fidato del Re.

«Non combinare guai, Alba», si raccomandò mia madre accarezzandomi il viso dolcemente.

Guardò Roman e, una volta che si fu voltato, mi fece un occhiolino, facendomi sorridere.

Come se potessi mai scegliere Roman come marito, accidenti! Era il mio migliore amico e sicuramente lui avrebbe preferito mille volte sposare quella bisbetica di Ariel Johnson che la sua migliore amica!

«Buona giornata signora Wood, porterò sua figlia a casa prima del tramonto», e mi prese per mano trascinandomi di gran fretta fuori dalla fattoria, senza nemmeno aspettare che mia madre rispondesse al saluto.

«Quanta fretta!», commentai quando mi trascinò nel pollaio, raccogliendo rapidamente troppe uova per le sue mani e infilandole nel cestino di vimini imbottito di pezze per non far rompere i fragili gusci. Roman mi ignorò, continuando a riempire il recipiente con abbastanza uova da sfamare persino la sua famiglia (i suoi nonni, i suoi genitori, e i suoi sei fratelli, tutti più piccoli di lui).

«Hai già munto il latte?», m'ignorò spudoratamente, senza guardarmi negli occhi.

«Ehm, si. È nella stanza di Sally», era quello il nome della nostra mucca più giovane, che mio padre stesso aveva aiutato a mettere al mondo partecipando al parto, «ma quanto mistero: vuoi dirmi cosa succede?», lo seguii di corsa nell'altra stanza, afferrando un cestino metallico con il pranzo della nostra Sally. Roman rimase in silenzio, mettendo il latte nella cesta di legno che teneva in mano.

Stava letteralmente saltellando via nell'altra stanza quando lo fermai per un polso con non troppa grazia, rischiando di far rovesciare la sua cesta con il latte.

«Alba! Fermati o farai qualche guaio come tuo solito», sospirò riprendendo il cammino a passo svelto, sbuffando di tanto in tanto come quando era bambino. Risi e lo seguii come sempre, afferrando la mela rossa dalla sua cesta e dando un bel morso al frutto succoso, come il primo giorno in cui gli avevo rivolto la parola.

Avevo conosciuto Roman dopo la partenza di mio padre.

Era stato un momento buio per Città: molti uomini erano partiti lasciando da soli le donne coi loro bambini, incapaci di lavorare alle macchine che mantenevano in vita la città.

Il padre di Roman era appena tornato dalla guerra e lui era raggiante nonostante il suo vecchio ci avesse rimesso la sensibilità ad una gamba, rendendolo invalido, e un dito, mozzato dai Nemici per costringerlo a rivelargli le prossime mosse dei Cavalieri del Re.

E il nostro generoso sovrano aveva deciso di rimandarlo a casa, nonostante fosse ormai inutile per la sua famiglia, così come per la guerra.

Nonostante ciò ero invidiosa della "fortuna" di Roman che mi aveva beccata a piangere come una poppante in un angolino nel parco, pregando con tutto il mio cuore di avere la stessa opportunità di rivedere mio padre presto a casa, finalmente congedato dalla guerra.

The white knightDove le storie prendono vita. Scoprilo ora