10.

1.9K 143 6
                                    

10.

Notai immediatamente la sua assenza, malgrado non avessi ancora aperto gli occhi e la mia mente fosse ancora annebbiata dal torpore del sonno.

Kovu non c'era.

Avevo creduto che, nelle tarde ore della notte, fosse venuto nella mia stanza, forse per assicurarsi che stessi bene, ma doveva esser stato un sogno, tutto qui.

Mi stiracchiai un po' nel letto della mia stanza, quattro mura dalla pittura di un marroncino dorato, spoglia quasi del tutto, se non fosse stato per l'unico quadro sulla parete di fronte alla porta di legno nero e le tende che ornavano una piccola finestra che dava al giardino reale: era un enorme pezzo di terreno verdeggiante con siepi ben tagliate, alberi sconosciuti ed immensi roseti che davano un tocco di colore alla lussureggiante area esterna.

Non avrei mai creduto di poter soggiornare in un posto così bello, malgrado il castello in sé mancasse dell'amore e della cura di una donna, ma non avrei mai neppure immaginato che un giorno o l'altro avrei abbandonato la mia fattoria, la mia famiglia, quel futuro che per me sembrava già così vicino.

Forse avrei sposato Roman, quel piccolo anello sembrava osservarmi dal cassetto di fianco al letto facendomi, molte volte, tremare o persino piangere.

Avevo lasciato un futuro già scelto per uno incerto che poteva benissimo non accadere mai.

Era stato come inseguire un sogno dalla quale non sapevo se mi sarei svegliata mai anziché la ragione.

D'un tratto, con fare sbrigativo, qualcuno bussò alla porta e, senza aspettare una mia risposta, due donnette, con abiti grigi rappezzati in più di un punto e scarpette rumorose, entrarono.

Una portava con sé un vestito, coperto però da un fodero scuro provvisto di zip che riconobbi come la versione più chic di un telo di plastica, che la mia mamma utilizzava per trasportare i vestiti quando si dilettava come sarta.

Una volta al mio cospetto le due donne s'inchinarono, lasciandomi sorpresa.

Perché l'avevano fatto? Avrei dovuto inchinarmi anch'io, in segno di rispetto?

«Signorina Wood», disse una di loro, la più anziana, mettendo il vestito sul materasso privo di lenzuola, «l'abito che vi portiamo è stato scelto dal Re Flavius in persona, dovreste esserne molto fiera!», ridacchiò, avvicinandosi alla zip e iniziando a scenderla piano.

Prima che potessi darvi una sbirciatina, la seconda donna, una rotondetta signora dai capelli rossi, si mise in mezzo, le guance tirate su da un energico sorriso.

«Oh sì, signorina!», esclamò, «Con questo farete perdere la testa a più di un uomo, stasera!», ma la donna non sembrava proprio volersi togliere di torno.

«Stasera?», chiesi nel modo più gentile che potei, «Perché, cosa succede stasera?», e pian piano riuscii a farmi spazio per osservare il vestito.

Quasi sussultai per quanto era bello.

«Oh, non siamo autorizzate a dirle niente, signorina», intervenne la prima domestica, quella più anziana, «ma ben presto dovrebbe arrivare uno dei Cavalieri del Re per spiegarle il piano».

Subito s'intromise la seconda: «Un soldato molto carino, direi!», e questa sua affermazione le costò una gomitata dall'anziana.

«Andiamo a vestirla, signorina», ma fui quasi certa di sentirla scommettere dieci dollari alle mie spalle con la donna dai capelli rossi.

Indossavo ufficialmente un abito blu, lo scollo a cuore e due sottili spalline di tessuto.

La gonna scendeva a balze fino ai piedi, nascondendo quasi completamente le scarpe alte e argentate che mi piegavano dolorosamente le dita mascherato dietro brevi sorrisi di cortesia.

The white knightDove le storie prendono vita. Scoprilo ora