8.

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Silenzio.

Dopo quasi due ore giungemmo alle porte del palazzo.
Da vicino sembrava ancora più immenso, così alto da non vederne la fine nemmeno tirando il collo indietro il più possibile.
Mi sembrò di essere tornata bambina, quando ogni cosa, persino la più insulsa, mi sembrava gigantesca. Mi mancavano quei momenti, dover semplicemente salire sulle spalle di mio padre per sentirmi all'altezza di ogni cosa, senza dover dimostrare continuamente chi sei o quanto vali.
Con le dita sfiorai le venature dalla porta di legno antico, avvertendone la ruvidità.
Per un momento guardai Kovu e trovai conforto nel sapere che mi stesse già guardando.
Entrambi riponemmo i nostri sguardi verso il basso poi sentii le dita del cavaliere chiudersi in un pugno e battere forte contro il legno.
Notando il silenzio dall'altra parte tremai e non fu solo per il freddo.
Improvvisamente capii cosa stessi per fare, il passo che stavo per compiere: ero lì, nella reggia del nostro Re, per diventare qualcosa che non si era mai visto: un cavaliere donna.
Nel ricordare Roman che ci scherzava su, ridendo sull'impossibilità della cosa, pensai che anche le mie labbra si sarebbero aperte in un sorriso, invece non facevo altro che tremare come una foglia sapendo i rischi che stavo correndo.
Un allenamento con altri ventotto uomini molto più grossi ed esperti di me.
E non potevo fidarmi di nessuno, nemmeno di Kovu, per quanto volessi onorare il desiderio di mio padre.
Ventotto uomini armati e che si allenavano da anni contro un'unica ragazza, poco allenata e che non sapeva nulla di armi.
«Chi siete?», gridò una voce dall'alto costringendomi a guardare per una seconda volta verso l'alto.
Una sentinella armata ci puntava contro una freccia, stringendo tra le braccia una grossa balestra di metallo, «Nomi e motivo per cui siete qui».
Guardai il mio accompagnatore, confusa, e capii di aver avuto ragione quando avevo pensato di non dover fidarmi di nessuno lì dentro: Kovu era un cavaliere, serviva e proteggeva il Re, quindi ognuno in quel palazzo avrebbe dovuto conoscerlo, eppure gli stavano comunque puntando contro un'arma.
«Dannazione Jones!», gridò Kovu senza staccar lo sguardo dalla sentinella, «Devo farlo sul serio?».
Mi venne da ridere per l'ironia della scena alla quale stavo assistendo: Kovu, il cavaliere arrogante e pieno di sé che avevo imparato a conoscere nel nostro viaggio, costretto fuori dalle mura che doveva servire a causa di una semplice sentinella.
«Se non tu almeno la ragazza che nascondi al tuo fianco, cavaliere», gridò Jones dall'alto lanciandomi un'occhiata fulminea.
«Sono Alba Wood, figlia del cavaliere Jonathan Wood», dissi con il tono più sicuro che potessi sfoggiare, «e sono qui per ordine del nostro Re Flavius, il benevolo».
Jones sembrò pensarci su per un momento poi abbassò l'arma.
«Dovete abbandonare le vostre armi prima di entrare», disse facendo scendere verso di noi una grande cesta di legno legata ad una spessa corda, «vi verranno restituite una volta parlato con il Re».
Mentre la sentinella non guardava, Kovu si avvicinò pericolosamente a me, facendomi perdere il respiro per un secondo o quasi. Con la mano mi sfiorò il fianco e per un attimo il suo tocco fu tutto ciò che sentii, una sorta di formicolio scese giù per le gambe prima ancora di accorgermi che le sue dita erano scese lungo le mie che, notai, stavano stringendo involontariamente il pugnale di mio padre. Me lo sfilò tra le mani, lentamente, guardando di tanto in tanto la sentinella, per poi infilarlo nella tasca interna della giacca.
«Tieni, stai tremando», disse togliendosela di dosso per poi aiutarmi a infilarla come se fossi una bambina, approfittandone per avvicinarsi nuovamente, sussurrandomi in un orecchio: «Nessuno deve sapere che ce l'hai, va bene? Non dovrai mostrarlo a nessuno, nascondilo se trovi un posto sicuro o tenta di portarlo con te ogni volta che puoi», non chiesi il perché di quella strana richiesta ma acconsentii silenziosamente sentendo il freddo ricoprire il posto che una volta era quello di Kovu mentre lui si avvicinava alla cesta, iniziando a spogliarsi delle sue armi.
In tutto ne tolse cinque : la spada con lo stemma del Reame, due pugnali nascosti nelle scarpe, un pugnale fermo tra la maglia e il retro dei pantaloni e un piccolo coltellino multiuso che giaceva nella sua tasca. Sospettai avesse altre armi nascoste in posti che non voletti nemmeno immaginare.
Beh, di certo non si faceva prendere impreparato.
«Nient'altro?», la sentinella sembrava sorpresa e ciò mi fece pensare che la mia intuizione non dovesse essere poi così lontana dalla realtà, «Nemmeno la ragazzina?» e mi lanciò un sorriso sghembo.
«Ti pare che potrei mai mettere nelle mani di una principiante qualcosa di pericoloso?», scherzò Kovu lanciandomi un sorrisetto falso, «Non vorrei che si cavasse agli occhi e mi rubasse il posto!» e rise, nonostante nessuno lo stesse seguendo.
Dopo qualche istante, Jones fece un segno a qualcuno non troppo distante da lui e la porta iniziò ad aprirsi lentamente e cigolando rumorosamente, mostrandomi un lungo corridoio di pietra adornato da numerosi quadri appesi alla parete, fiori e tendoni color del sangue.
Kovu fu il primo ad entrare ma, quando mi vide lì immobile, mi fece segno di entrare con un movimento del capo e costrinsi ogni mia particella a seguirlo, malgrado ciò che aveva fatto a quell'uomo.
Percorremmo in silenzio il corridoio, il cavaliere guardando sempre avanti a sé ed io spostando lo sguardo di qua e di là, ammirando la bellezza dei quadri e delle decorazioni: vi erano fiori ovunque, tendoni da festa che adornavano le pareti, la bellezza dei defunti re e delle loro regine che ci guardavano attraverso ne proprie tele.
Qualcosa sembrò sfrigolare sulle nostre teste, come un fuoco scoppiettante, e la mia attenzione si rivolse al soffitto dove luccicava un enorme lampadario di vetro che lasciava penzolare su fili di sottile metallo dei piccoli cristalli che illuminavano la stanza a giorno.
Elettricità.
Ne avevo sentito parlare ma non l'avevo mai vista, nonostante gli edifici più in vista di Città si alimentassero solo di quell'energia. Era bellissimo il modo in cui quelle piccole fiamme scivolavano da un cristallo all'altro, fino a riempire completamente il lampadario, allontanando il buio.
Sentii Kovu ridere e immaginai mi vedesse come un buffo animaletto meravigliato da ogni cosa.
Continuammo a camminare, spalleggiandoci a vicenda, fino ad arrivare a due rampe di scale, una a destra e l'altra a sinistra, che si collegavano in un unico grande portone nero lucido che spiccava tra le pietre quasi argentate che formavano le mura dell'intero palazzo.
«Ed ora?», chiesi, guardandolo dritto negli occhi ma lui sembrava impassibile, come se non mi avesse neppure sentito, «Kovu?».
Non riuscii neppure a finire di pronunciare il suo nome che la porta si spalancò, facendo uscire decine e decine di uomini armati di strane armi, simili a fucili, che non avevo mai visto prima d'allora. Si muovevano rapidi come scarafaggi, tutti vestiti di nero con addosso abiti anti-proiettile, e iniziarono a circondarci con le armi puntate su di noi.
Guardai spaventata il cavaliere al mio fianco ma lui non ebbe il coraggio di ricambiare il mio sguardo.
«Non permetterò che ti accada niente di male, okay?», gridò oltre il suono delle centinaia di passi dei soldati che oscuravano quasi la vista della porta.
Mi strinse la mano e, nonostante avessi deciso di non potermi fidare di lui, ricambiai la stretta, intrecciando le dita alle sue.
E poi qualcuno mi colpì alle spalle, mirando con il retro dell'arma dritto alla testa, facendomi cadere a terra. La confusione era tale da non riconoscere più le voci nella mia testa da quelle della realtà. Tentai di mettermi a pancia in su e poi di rimettermi in piedi ma mi fu impossibile.
Il colpo era stato abbastanza forte da farmi girare la testa.
Gli occhi si riempirono di lacrime, offuscandomi la vista, poi il viso di Kovu comparve davanti al mio, coi suoi pallidi occhi verdi che guardavano dritti nei miei.
«Non ti faranno del male, Alba», sussurrò ma non ero certa che l'avesse fatto davvero, «te lo prometto», ma non gli credevo, era un bugiardo, eppure il mio corpo sembrava ricadere in uno stato di profonda calma. Un uomo mi si avvicinò ma non riuscii a guardarlo in viso, il mio sguardo era concentrato sul volto del cavaliere che mi aveva tradito.
Perché l'aveva fatto.
Sentii freddo al braccio e pensai che qualcuno lo stesse scoprendo, poi qualcosa vi penetrò all'interno, facendomi quasi piegare dalla sorpresa.
Ma anche il viso di Kovu scomparve quando l'oscurità ebbe la meglio sui miei occhi, cancellando ogni luce.
«Te lo prometto», aggrapparmi alla sua voce, fidarmi di lui, fu come aggrapparsi alla vertigine, senza sapere cosa c'è sotto, una volta caduti giù.
Ma io lo feci, mi aggrappai e mi lasciai cadere nel buio...

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