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Kovu dormiva.

Nonostante avesse insistito fino all'ultimo affinché fossi io quella a riposare, alla fine il suo corpo aveva ceduto al sonno.

Era rimasto seduto, gli occhi chiusi, la mano poggiata contro lo zigomo, le labbra schiuse e il petto che faceva su e giù ad ogni respiro.

Ogni secondo che passava, la sua espressione diventava sempre più serena.

Le ciglia scure proiettavano lunghe ombre sulla mano aperta, il palmo si adattava perfettamente al suo viso che, notai, era punteggiato da una sottile barbetta incolta, quasi invisibile se lo guardavi da lontano.

Kovu era un bel ragazzo, così come tutti i cavalieri, i quali dovevano rispecchiare la bellezza fisica e morale dell'essere umano, ma così, in parte, o forse del tutto, incosciente, così fragile nonostante gli anni di esercizio, aveva una bellezza pari a quella di un personaggio di un libro, catapultato nella mia realtà che si fondeva impercettibilmente alla sua, perfetto come le parole di un racconto.

Ogni dettaglio sembrava scelto con estrema cura: le onde dei capelli bruni, forse un po' troppo lunghi, che gli ricadevano disordinatamente sul viso, la pelle dorata baciata dal sole di mezzogiorno, le mani grandi e callose, le dita lunghe contro la guancia arrossata, le labbra schiuse simili a petali di rosa e il suo respiro che non era altro che un sottile alito di vento in una giornata primaverile.

Se non fosse stato per quella cicatrice che l'avrebbe reso cieco, l'avrei definito troppo perfetto per essere reale. Ma quella realtà, così visibile e concreta da poterla quasi toccare con mano, lo rendeva così vero da farmi star male; la sua presenza mi rincuorava, nonostante i suoi sbalzi d'umore e il suo umorismo un po' arrogante, ma la realtà era diversa dalla fantasia e quindi non potevamo essere certi fino all'ultimo di raggiungere il lieto fine di cui la mamma mi parlava così spesso quando mi raccontava le favole prima di andare a dormire.

La cosa mi spaventava, ma non solo per me, perché, per tutto il male che aveva ricevuto dalla vita, credevo che Kovu meritasse molti più lieti fine di quanti ne avrebbero mai scritti e molte più stelle di quelle che avrebbe potuto vedere prima che il buio vestisse i suoi occhi...

«Posso farti una domanda?», Kovu aveva la voce ancora impastata dal sonno quando me lo chiese e dovette essersene accorto perché afferrò la borraccia d'acqua e se ne versò un po' in una mano per poi sciacquarsi il viso con un movimento fluido e rapido.

Mi passò la borraccia ed io l'afferrai con entrambe le mani sentendo sotto i polpastrelli la morbidezza dell'esterno di pelle e poi la freschezza dell'acqua quando mi portai il beccuccio alle labbra.

Il cavaliere non aspettò nemmeno che rispondessi e domandò con voce calma: «Quando Hawk ha parlato dei lupi sembravi davvero sconvolta, perché?», la sua richiesta mi lasciò del tutto alla sprovvista tanto che ne approfittai per bere dell'altra acqua, come se avesse potuto darmi l'ispirazione come faceva il vino all'ubriaco.

«E sappi che non puoi mentirmi», disse Kovu con un sorrisetto, «fai una smorfia strana quando lo fai ed arrossisci come un peperone», e ciò non fece che aumentare il rossore sulle mie guance.

In quel momento avrei voluto lanciargli qualcosa in testa ma mi controllai.

Mio padre mi aveva avvisato sul suo carattere quindi avrei dovuto solo rassegnarmi.

Se mio padre si fidava di lui perché io non avrei dovuto farlo?

«La notte prima che voi arrivaste ho fatto solo uno strano sogno», dissi abbassando lo sguardo, più imbarazzata di quanto avrei dovuto essere davanti a lui, «ma sarà sicuramente una sciocca coincidenza, non farci caso, non è nulla d'importante», mi sembrava di mentire ad ogni frase o respiro intermedio, nonostante volessi con tutto il cuore che fosse la verità.

The white knightDove le storie prendono vita. Scoprilo ora