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Un passo, due passi, tre passi, ed un altro ancora.

Non fermarti, Alba, non farlo mai.

Cinque passi, sei, sette passi, ed arrivai davanti alla porta già aperta, Kovu alle mie spalle, entrambi col fiato mozzo nel vedere un uomo valoroso alla quale avevamo voluto bene steso sul suo letto di morte, occhi chiusi, le mani l'una sull'altra, la pelle sempre più pallida.

Mi sentii mancare ma sapevo che, nonostante tutto, ci sarebbe stato il cavaliere a sostenermi.

Gli avrei dato la mia piena fiducia, così come avrebbe voluto mio padre.

«Alba», mia madre aveva il viso arrossato, e gli occhi lo stesso, cerchiati da profonde occhiaie scure, «sembra quasi che stia solo dormendo, non è così?», e indicò con lo sguardo mio padre mentre, voltandosi verso di me, si stringeva, troppo debole, alle mie braccia, sorridendomi esausta.

«Madre, è ora che vi riposiate», sussurrai accompagnandola per qualche passo, «il cavaliere Johan vi scorterà nella mia camera, dove potrete trovare pace per qualche ora».

Il cavaliere avanti a me sembrò sorpreso a sentirmi pronunciare il suo nome ma mio padre mi aveva raccontato molte volte di lui, della sua abilità con arco e frecce e del suo buon cuore.

Lo avevo riconosciuto subito, in mezzo a quel viavai di gente, grazie allo strano neo a forma di stella sotto l'occhio, simbolo di una buona vista secondo quanto mi avevano raccontato.

Lo guardai supplicante e lui annuì silenziosamente, afferrando mia madre e portandola via da tanto dolore. Come se potesse spegnere le emozioni in un istante, solamente cambiando stanza attraverso quei sette passi.

Un altro cavaliere che non riconobbi mi toccò il braccio con una mano, facendomi sussultare per il calore improvviso: aveva i capelli biondi e profondi occhi color cioccolata e le labbra serrate ben piazzate nel viso di una bellezza grezza, i capelli scompigliati, la barba incolta.

«Vi prometto che troveremo chi ha potuto fargli questo, signorina», disse con voce roca e spezzata, «suo padre era un brav'uomo e non meritava questa fine» e guardò il corpo steso sul letto, serrando nuovamente le labbra in una smorfia di dolore.

Ma furono le sue parole a colpirmi, come aghi penetrati in profondità nella pelle.

Ero stata così concentrata sull'ultimo ricordo che avrei voluto di lui che mi ero completamente dimenticata di venire a conoscenza dei motivi della sua morte.

«C-cosa?», balbettai con un filo di voce, «Cosa intendi dire?».

«Hawk», sembrò ammonirlo Kovu, senza aggiungere altro, e mi sorpresi ad averlo ancora intorno, come un'ombra. Iniziava ad infastidirmi.

«Non ascoltarlo, cavaliere, dimmi cosa è successo», e feci segno a Kovu di allontanarsi affinché non interrompesse più quella conversazione che era diventata, ad un tratto, troppo importante da poter evitare. Ma il cavaliere di cui mio padre tanto si fidava non si mosse da dov'era e continuò a guardar storto Hawk ed immaginai si stesse maledicendo mentalmente per non avermene fatto parola prima.

«Suo padre è stato ucciso, signorina Alba, e da un maledetto animale», ringhiò quell'ultima parola con disprezzo, come se avesse un sapore tanto amaro da desiderare di sputarla lì, sul pavimento, affinché potesse liberarsene, «perché nessuna persona umana, nemmeno se ne porta l'aspetto, può essere tanto crudele da ucciderlo in un modo tanto barbaro e...», mi sentii venir meno e Kovu mi fu subito affianco, come immaginavo mio padre gli avesse chiesto, per poi mettersi tra me e il secondo cavaliere che, con gli occhi chiusi, sembrava stesse ripercorrendo quegli orribili momenti a cui aveva probabilmente assistito.

The white knightDove le storie prendono vita. Scoprilo ora