Capitolo 42

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Christopher era seduto sul sofà a righe di casa sua, a New York il cielo era stranamente grigio, ma il caldo di giugno inoltrato continuava a creare una cappa d'afa lungo le strade e all'interno delle case. Tra le mani aveva delle lettere: tre precisamente. Il suo cuore galoppava lungo sentieri sconosciuti, non sapeva se stesse percorrendo la strada giusta, se ci fossero buone notizie o cattive notizie. Tuttavia il non saperlo era decisamente meglio e anche più consolatorio.

Rimase così, per una decina di minuti. Doveva aprirle? Doveva forse sapere se Sam gli avesse scritto? E se fossero state notizie che lo informavano della sua morte? Il galoppante cuore disperato di Christopher si fermò d'un tratto al pensiero deleterio della dipartita prematura di Sam. E se lui non avesse fornito nessun indirizzo al quale mandare le informazioni riguardo la sua vita? Se l'esercito vedendo un soldato nero morto non avesse fatto nulla? Sì, era un soldato americano, ma era nero. Era solo. Il pensiero della morte, di una mancata sepoltura, del razzismo che stava subendo gli dilaniò il torace.

Afferrò un tagliacarte e aprì con fretta energetica.

Cara Christine,

È la prima notte al campo e già sento l'atroce sofferenza attorno a noi, c'è odore di polvere da sparo e di sangue. Penso a te, in questa piccola tenda condivisa con un altro mio commilitone. Penso a te, nel momento in cui esco e respiro l'aria piena di odore acre di morte. Mi hanno inserito nella 24esima Divisione Corazzata, dove siamo tutti afroamericani, ci chiamiamo "unità nera". Ci troviamo alla base di Taegu. La guerra mi fa paura, ma mi fa più paura la mia vita normale in città dove non posso stare con te.

Con amore eterno,

Sam

Sam era intelligente e perspicace, sapeva bene che le corrispondenze dei soldati sarebbero potute essere controllate e intercettate. Oltre che nero, se avessero saputo che fosse anche un omosessuale, la sua vita in Corea del Sud sarebbe stata un inferno. Christine era il nome che spesso dava a Christopher se gli spediva lettere oppure se, parlando con i suoi amici, gli chiedessero chi fosse questa tanto misteriosa donna di cui era innamorato perso e che non faceva mai vedere. Sam rispondeva che era una donna bianca di Manhattan e che per ovvie ragioni, non potevano stare insieme.

Cara Christine,

Oggi ho sepolto un uomo. Il suo nome era Kenneth Lee. Era anche lui afroamericano e ad aiutarmi c'erano altri afroamericani. Siamo una comunità, dentro ci sono individui poco raccomandabili, altri più giovani di me, altri ancora che non avevano speranze per il futuro se non arruolarsi, ma siamo tutti uguali perché siamo accomunati da un unico peccato: non siamo bianchi.

Abbiamo meno diritti e meno possibilità, siamo tra le prime linee e se dovessimo morire non è un grande perdita, dopotutto. Kenneth Lee è morto in questo modo: abbiamo affrontato lungo la linea d'azione le truppe cinesi e della Corea del Nord. Un fucile d'assalto ha fatto pieno centro sulla testa del povero Kenneth. Aveva trentatré anni, come Gesù. Anziché chiodi ai polsi, ha ricevuto un foro nella testa. Mi chiedo se fosse questo che voleva Dio. Paradossalmente qui penso di più, perché vedo tante cose che nella vita quotidiana non si possono vedere. Non mi fa paura la morte, mi fa paura la mancanza che ho di te.

Con amore eterno,

Sam

Una lacrima cadde vicino al suo nome. Non piangere, non piangere, non piangere. Continuava a pensare Christopher, strizzando gli occhi. Se fosse rientrato suo padre da un momento all'altro e lo avesse visto in quel modo, forse lo avrebbe deriso oppure, addirittura, picchiato. Gli uomini non piangono. Così diceva Carl e così imparò Chris. Le femminucce piangono perché sono più sentimentali.

La pittrice di segretiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora