Capitolo quattro

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Mi guardai attorno. Ero in una stanza totalmente bianca. Non aveva nè porte nè finestre. Bianco era il soffitto come il pavimento e le pareti.
Mi guardai un attimo. Idossavo un vestito lungo rosso acceso. Era molto bello. Avevo anche dei tacchi alti del medesimo colore.
Feci qualche passo. Nella stanza si sentiva solo il rumore delle mie scarpe.

"Grace"

Mi girai di scatto. C'era una figura alle mie spalle. Mi accorsi poco dopo che non aveva un volto.
Istintivamente, iniziai a correre senza meta.

"Non puoi scappare da te stessa Grace"

Avevo fatto solo qualche metro quando inciampai nel mio vestito rosso. Caddi a terra e mi accorsi di aver strappato l'abito. La figura si stava avvicinando a me lentamente.

"Ma guarsati" commentò "guarda come fai schifo"

Dietro di me comparì uno specchio. Mi alzai e mi specchiai.
Oh mio Dio.
Adesso al posto del vestito rosso, avevo solo una camicia da notte. Mi avvicinai di più e vidi il mio viso. Quella... quella non potevo essere io. Appoggiai una mano sulla ragazza riflessa nello specchio: ero proprio io.
Il mio viso era coperto di rughe e i miei capelli dorati, erano grigi.

"Guardati" commentò "sei solo una pazza rinchiusa in un ospedale per pazzi. Resterai qua dentro a vita, perché sei malata di mente. Nessuno ti vuole"

Iniziai a piangere, poi la presenza scomparve. La stanza iniziò a girare su se stessa ed ebbi l'impressione che si stesse rimpicciolendo.
Gridai, piansi, mi agitai ma fu inutile. Tutto continuava a girare e la stanza si tinse lentamente di nero.

Mi svegliai di soprassalto con il fiatone e con il viso leggermente bagnato di lacrime.
Mi guardai attorno e mi ritrovai nella mia solita stanza. Fuori sentii un paio di infermiere parlare tra loro.
Per fortuna, era stato solo un incubo.
In quest'ultimo periodo non dormivo quasi mai perché avevo sempre degli incubi terribili.

L'orologio segnava le 7:00 del mattino quindi decisi di preparami prima che arrivasse Susan.
Mi stavo lavando i denti quando sentii la porta aprirsi.
Pensavo fosse la mia infermiera, ma quando mi girai vidi una donna sulla quarantina con una camicia bianca. Era mia madre.
Sorrisi incredula e corsi ad abbracciarla.
Strano, era giovedì.

"Mi sei manata tesoro" disse dolcemente accarrzzandomi i capelli

"Anche tu mamma"

Mi sedetti sul letto e lei fece come me. Ero felice di vederla.

"Allora? Come va?" Ruppe il ghiaccio con una domanda che per me era banale. Insomma, se stavo bene ero a casa mia in questo momento.

"Come sempre" mi limitai a dire "e tu? Tu perché sei qui? Questo non è l'orario delle visite"

La vidi agitarsi un po'. Forse mi doveva dire qualcosa di importante.

"Bhe, devo dirti una cosa"

Ecco, le brutte notizie.
Non dissi nulla e lasciai parlare lei.

"Vedi... mi hanno offerto un lavoro"

Mia madre faceva l'architetto. Ero sempre stata fiera di lei.
Era mia mamma che portava il buon nome di questa famiglia.

"Oh ma è fantastico, mamma" urlai abbracciandola.

"Ed è a New York. Parto oggi. Non sapevo come dirtelo e così non te l'ho detto" disse velocemente, tutto d'un fiato.

"N-new York?" balbettai

Lei annuii.
New York. Noi abitavamo a Los Angeles e per me New York era dall'altra parte del mondo.
Come avremmo fatto? Quando ci saremmo viate? Come avrei fatto senza mia madre, la persona che mi ha sempre motivata e che mi è sempre stata vicina?
Troppe domade stavano viaggiando nella mia mente.

"Oh...s-sono felice...i-io..."

Stavo per piangere, ma non potevo farlo, non davanti di lei. Aveva sempre rinunciato a tutto per me e per una volta dovevo farlo io per lei.

"Verrò a trovarti Grace, te lo prometto. Te la caverai benissimo da sola" mi baciò la guancia "ti voglio bene"

Dopo questo feci una cosa, di cui me ne pentì dopo un secondo.

"No! Tu menti! Tutti qui mentono! Nessuno mi vuole bene, tantomeno te, perché se mi volessi veramente bene non te ne andresti a New York lasciandomi qui da sola!"

Uscii in lacrime non capendo più nulla.
Volevo solo stare da sola. Corsi verso il giardino, senza pensare alla pioggia che incessantemente cadeva dal cielo da ore. Andai a sbattere contro un'infermiera un po' anziana, la quale cercò di bloccarmi, ma la scansai.

"Lasciami stare. Tranquilla, non mi ucciderò" le urlai correndo.

Quando arrivai al giardino mi sedetti sotto l'albero, con la schiena contro il tronco.
Dopo dieci minuti abbondanti di pianto, realizzai di aver fatto una vera cazzata.

Mia madre mi amava. Ed io ero stata talmente egoista da non pensare a lei, ma solo a me. In più le avevo urlato contro dopo tutto quello che aveva fatto per me.

Decisi di mandarle un messaggio, non avrebbe cambiato nulla, ma almeno mi sentivo la coscienza un po' più pulita.

A mamma:
Mi dispiace. Sono una stronza. Quelle cose non le penso e non volevo dirte veramente. So che mi vuoi bene, mi dispiace. Divertiti a New York, ti voglio bene

Dopo pochi minuti mi arrivò la risposta

Da mamma:
Tranquilla tesoro. So che è un brutto periodo e sei stanca. Ti voglio bene anche io

Perché ero così?

________

Erano le 19:00 ed ero nella mia camera da sola. Fuori diluviava. Avevo chiamato mia madre e avevamo chiarito, però mi sentivo ugualmente in colpa.

Stavo giocando con il cellulare quando qualcuno entrò nella mia stanza.
Mi girai di scatto e vidi l'ultima persona che immaginai di vedere.

Angel Guardian; jdbDove le storie prendono vita. Scoprilo ora