Capitolo trenta

2.7K 173 20
                                    

Continuai a far scorrere la lama del coltello sul mio polso.
Era un coltello molto affilato quindi bastava veramente passarlo leggermente sulla pelle per lasciare una scia di sangue.

Il liquido rosso continuava ad uscire dai miei polsi per poi scorrere su tutto il braccio, rigandolo.

Chiusi gli occhi e sospirai rumorosamente.

'Ben fatto, Grace'

Continuai a far scorrere la lama sul mio polso. Guardai il coltello. Sembrava stesse danzando.

Alzai la lama dalla mia pelle. Era sporca di sangue. Le goccie cadevano come la pioggia, solo che questa volta non era una pioggia di inizio novembre. Era a pioggia che portava fine alla mia vita, la pioggia che mi impediva di vivere come chiunque altro.

Fissai la lama del coltello che tenevo in mano, nonostante tremassi come una foglia. Mi tagliavo soltanto a fissarlo.

'Vuoi mettere fine a tutto, Grace?'

Posai il coltello sul mio polso, un'altra volta.

Ripensai a tutto e chiusi gli occhi.
Tolsi il coltello dal mio polso e, dopo aver allungato il braccio davanti a me, lo gettai a terra. Il suono che provocò cadendo sul pavimento scuro riempì la stanza. Cadde a poco da me. Lo guardai e lo calciai in modo da non poterlo più vedere. Era scomparso in un angolo buoio della stanza.

Come se non fosse successo niente, i miei polsi smisero di sanguinare. Passai il pollice e l'indice sopra la ferita aperta, sporcandoli entrambi.
Guardai le mie dita rosse e le premetti tra loro. Chiusi i pugni fino a conficcare le mie unghie nella mano. Strinsi i denti. Sentivo le lacrime scorrere sulle mie guancie per a rabbia. Perché ecco cosa provavo, rabbia. Solo e soltanto rabbia. Tanta rabbia.
Sentivo la rabbia esplodermi nella gabbia toracica.

Guardai il mio braccio. Iniziavo a non sentirlo più. Provavo solo tanto freddo nonostante la tempeatura elevata della stanza.
Riuscii ancora a stringere il pugno più forte che potevo, facendo uscire il sangue sempre più velocemente e in maggiore quantità.

Piantai i piedi a terra, misi le braccia lungo i fianchi e cercai tutta a forza che ancora mi rimaneva.

Non era troppo tardi per cambiare.

"NO!"

Mi risvegliai e sentivo il cuore voler balzare fuori.
Velocemente, accesi la luce e che illuminò tutto quanto.

Mi trovavo nella mia camera della clinica. Stesse mura, stessa sedia, stessa porta, stessa finestra, stessa vita.

Cercai di calmare il mio respiro.
Mi alzai la manica della maglietta.

Pulita.

Braccio pulito. Non avevo fatto niente. Non ci ero ricaduta. Non avevo smesso di crederci, non avevo mollato.

Le cicatrici, pian piano, stavano scomparendo, assieme ai ricordi.

Fuori era ancora buio. Mi alzai dal letto e spalancai la finestra.
Alcune nuvole grigie coprivano la luna. Non c'erano stelle, ma meglio così. Soltanto qualcosa di spaventoso può placare qualcosa di altrettanto spaventoso.

Nonostante mi sentissi meglio, la mia mente, di notte, non mi dava nemmeno un attimo di pace. Facevo sempre incubi assurdi, inutili che non mi lascivano nemmeno dormire.

Continuai a fissare il mondo esterno, anche se si vedeva solatanto un muro. Era una vera e propria prigione quella, ma la parola sembrava brutta, così l'hanno chiamato ospedale psichiatrico, che secondo me, peggiorava soltanto le cose.

Sospirai e passai una mano nei capelli. Dovevo almeno pensare che ne sarei uscita. Stavo migliorando, lo avevano notato tutti. Lo avevo notato perfino io.

______________

Non riuscii a prendere sonno, quella notte.
Dopo alcune ore passate a leggere, la mia testa mi faceva malissimo, come se al suo interno ci fosse un piccolo ometto che la martellava. Così me ne andai sulla terrazza e trascorsi lì il resto della notte.

Assistetti al sorgere del sole, ed era bello quasi come vedere le stelle.
Il mondo iniziò leggermente a svegliarsi, nonostante fosse ancora un po' buio.

Il cielo iniziò a tingersi di mille colori, colori caldi, colori che di tanno il buongiorno.

Dopo che il Sole fu sorto, me ne tornai in camera. Era vero che ero migliorata e che tutti lo sapevano, ma non era concesso ai pazienti uscire nel bel mezzo della notte dalle proprie stanze, anche per girovagare semza meta nell'ospedale, cosa che molto spesso facevo quando non riuscivo a dormire. Cosa ancora più vietata era andare sulla terrazza, soprattutto di notte.
Figuriamoci ora che punizione mi sarei presa se fossi stata beccata a girovagare di notte e andare sulla terrazza.
Morale della favola, meglio non farsi scoprire.

Dopo aver contrallato varie volte che nei corridoi non ci sia nessuno, me ne tornai in camera mia.
I corridoi erano poco illuminati, ma ormai li conoscevo talmente bene da poverci girare nella totale oscurità.

Dopo essere arrivata nella mia stanza, mi buttai sul letto e ripresi a leggere il libro da dove lo avevo lasciato.
L'ometto nella mia testa si era ormai addormentato.

_____________

Rividi Justin solo il pomeriggio, quando entrò come un uragano senza prevviso nella stanza.
Ero seduta a gambe incrociate sul letto, con la schiena appoggiata al muro e il mio libro preferito in grembo, che conoscevo a memoria dato che lo avevo letto milioni di volte, ma riusciva sempre a sorpredermi di più ogni volta.

"Ehilà secchiona" disse buttandosi accanto sul letto a me, facendomi fare un piccolo saltino in aria per poi riatterrare di nuovo sul materasso.

"Ciao Justin" risposi sorridendo leggermente per poi dargli un bacio a stampo sulle labbra.
Appoggiai il libro accanto a me e mi buttai sul suo petto.

Iniziava a fare caldo e la mia camera quando faceva caldo era davvero invivibile.

"Tra poco è il tuo compleanno" disse Justin con un leggero sussulto.

Sorrisi "Manca ancora un po', insomma"

Tirò un lungo sospiro.
"Beh, il 2 luglio non è poi così lontano"

Tornai indietro con la mente al mio diciassettesimo compeanno.
Lo trascorsi da sola. Mia madre era per lavoro in un'altra città e non era riuscita a venire prima del mio compleanno. L'unico regalo che ricevetti fu quello di Sara, una splendida collana. Lei fu anche l'unica che venne a trovarmi.

Ma decisi che il mio diciottesimo compleanno sarebbe stato molto meglio. Me ne sarei uscita dalla clinica, con Sara e Justin, e poi avrei regalato a me stessa l'unica cosa che mi mancava per essere felice.

Mi alzai dal letto e presi Justin per il braccio.
"Andiamo un po' fuori?"

Lui annuì e uscimmo dalla stanza.

"Oggi è il primo giorno d'estate, il 21 giugno. Non è fantastico?" Disse Justin con un tono pieno di entusiasmo.

Dopo aver sentito quella data mi bloccai di colpo. Sgranai gli occhi e realizzai tutto. Il mio cuore iniziò a battere velocemente quasi da esplodere e avvampai.

"Hei" Justin iniziò a scuotermi il braccio "tutto bene?"

Non lo ascoltai e continuai a fissarre un punto indefinito del pavimento.

Il 21 giugno.

Angel Guardian; jdbDove le storie prendono vita. Scoprilo ora