10.

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Ho trascorso un'altra notte insonne e, per quanto ora desideri dormire, so che non posso. Non finché non vi avrò raccontato com'è andata. L'incidente non si verificò come probabilmente voi immaginerete, né come si immaginava Zayn. Quella sera non avevo bevuto, come sospettava lui, e non ero neanche sotto l'influsso di qualche droga. Ero del tutto lucido. Quello che accadde quella sera con Missy fu, semplicemente, un incidente.
L'ho rivissuto migliaia di volte nella mente.
Nei quindici anni passati da allora, mi è capitato di provare un déjàvu nei momenti più strani -mentre trasportavo delle scatole verso un furgoncino un paio di anni fa, per esempio- e quella sensazione ancora mi paralizza, magari solo per un attimo, riportandomi indietro nel tempo. Quel giorno avevo lavorato sodo, scaricando casse sui pallet in un magazzino, e avrei dovuto staccare alle sei. Ma poco prima della chiusura arrivò un carico di tubi di plastica e il proprietario mi chiese di fermarmi ancora per un'oretta. A me non spiaceva; era un'ora di straordinario, ben pagata, e rappresentava un modo veloce per guadagnare qualche soldo in più. Quello che non avevo calcolato era quanto fosse pieno il camion e che avrei dovuto fare quasi tutto da solo.
In genere eravamo in quattro a lavorare nel magazzino, ma un mio collega era a casa in malattia, un altro non si era potuto trattenere perché il figlio aveva una partita di baseball a cui lui non voleva mancare. Rimanevamo in due, e ce l'avremmo fatta, ma appena cominciammo a scaricare l'altro magazziniere si storse una caviglia e rimasi solo io. Faceva caldo. Fuori dovevano esserci di sicuro più di trenta gradi e dentro almeno trentasette, con un tasso di umidità altissimo. Avevo lavorato già otto ore e me ne restavano ancora almeno tre. A me, poi, toccava sempre la fatica peggiore. Gli altri tre magazzinieri usavano a turno il carrello elevatore, in modo da potersi riposare di tanto in tanto. Io no. Il mio compito era suddividere le casse e poi trasportarle dal camion allo scivolo d'ingresso del magazzino, e lì caricarle sui pallet, in modo che il carrello potesse sollevarle e portarle dentro. E alla fine di quella giornata, avevo dovuto fare tutto da solo. Quando terminai, ero stremato. Non riuscivo quasi più a muovere le braccia, sentivo le fitte alla schiena ed ero anche affamato. Così decisi di fermarmi per strada al Rhett Barbecue's, invece di tornare subito a casa. A quel punto per riprendermi non c'era niente di meglio di una bella grigliata e di una birra, pensai mentre mi dirigevo verso l'auto.
La mia macchina, una Pontiac Bonneville vecchia di una decina d'anni, era una vera carretta, tutta ammaccata e arrugginita. L'avevo comprata usata l'estate prima per trecento dollari. Ma nonostante l'aspetto malandato, faceva il suo dovere e non mi aveva mai dato problemi. Quando salii in macchina era il tramonto. A quell'ora il sole a volte provoca strani fenomeni, scendendo verso occidente. Il cielo cambiava colore praticamente da un momento all'altro, le ombre si allungavano sull'asfalto come lunghe dita spettrali e, non essendoci una nuvola, il riverbero sul parabrezza mi accecava, costringendomi a socchiudere gli occhi per vedere dove andavo. Davanti a me, un altro guidatore sembrava avere difficoltà a restare in carreggiata. Continuava ad accelerare e rallentare, pigiando il freno quando era disturbato dalla luce del sole ed invadendo spesso la corsia opposta. Dopo un po' mi stancai di stargli dietro, la strada era troppo stretta per sorpassare, così rallentai sperando che si allontanasse. Ma lui rallentò a sua volta e quando fummo di nuovo vicini, vidi le luci degli stop davanti a me accendersi e spegnersi a intermittenza come quelle dell'albero di Natale. Frenai anch'io bruscamente , facendo fischiare le gomme, e mi fermai a pochi centimetri dal suo paraurti. Fu in quel momento che il fato intervenne. Rimpiango di non aver tamponato quella maledetta macchina, così Missy si sarebbe salvata.
Invece, per togliermi dai piedi l'autista imbranato, svoltai alla prima a destra, in Camelia Road, anche se così avrei allungato un po' il tragitto. La strada che avevo scelto attraversava la parte vecchia della città ed era fiancheggiata da querce. Il sole ormai si era abbassato sull'orizzonte e cominciava a scendere la sera, così accesi i fari. Quella via immersa nel verde era tutta una curva, ma la conoscevo bene. Ben presto le case cominciarono a diradarsi, i giardini erano più spaziosi, c'era meno gente in giro. Dopo un paio di minuti svoltai di nuovo, in Madame Moore's Lane. Mi consolai con il pensiero che in un paio di chilometri sarei finalmente arrivato da Rhett's. Ricordo che accesi la radio e cercai la mia stazione preferita, ma senza togliere gli occhi dalla strada. Poi la spensi.
Vi giuro che la mia mente era tutta concentrata sulla guida. Frenai automaticamente all'imbocco di un'ennesima curva e fu allora che la vidi, sono quasi sicuro di aver rallentato ancora. Non posso giurarlo, però, dato che accadde tutto così in fretta. Mi avvicinavo alla donna da dietro. Lei correva sul ciglio erboso e ricordo che portava una maglietta bianca e i calzoncini blu; avanzava con un'andatura sciolta e rilassata. In quella zona della città le case sono in posizione arretrata rispetto alla strada e non c'era in giro un abitante. Lei mi aveva sentito arrivare, la vidi voltarsi indietro per guardare la macchina con la coda dell'occhio, poi si allontanò ancora di più dal bordo. Io tenevo tutte e due le mani sul volante, facevo attenzione alla guida e credevo di essere prudente. Lei era tranquilla. Nessuno dei due, però, si accorse del cane. Come se fosse appostato lì ad aspettarla, balzò fuori all'improvviso da un buco nella siepe quando lei era a meno di sei metri da me. Era un grosso cane nero e udii il suo latrato minaccioso mentre le si scagliava contro. La colse di sorpresa, e lei schizzò di lato verso la strada. Proprio in quel momento i centocinquanta quintali della mia macchina le piombarono addosso.

A Bend in the Road  » ZiamDove le storie prendono vita. Scoprilo ora