You must forget about me Diana

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Erano passati ormai minuti interminabili da quando ho solcato l'ingresso della scuola, e ora sono qui che cammino e percorro una strada a me sconosciuta come se fossi in stato di trans, con una persona che conosco a malapena.

Dov'era finita la mia coscienza, quei pochi insegnamenti fra cui "non parlar con gli sconosciuti?"

Forse si sono fatti in giro e mi hanno lasciato qua da sola, come fanno tutti.

Si era ovvio, io sono la sola a combattere questa guerra contro me stessa, nessun aiuto, nessuna pausa, solo io contro il resto del mondo.

I piedi stavano facendo il contrario di ciò che la testa imponeva loro di fare, disobbedivano, questo vuol dire che non avevo il controllo di me stessa e di conseguenza niente andava come mi ero immaginata.

Ora lui sarebbe qua con me, invece che lassù, staremmo in parco a parlare di cose senza senso, vedrei il suo sorriso ancora una volta.

No, era tutto un falso, un'altra promessa non mantenuta, una delle tante.

Sì, mi ha lasciato, ora lui non c'è, non c'è un due c'è solo un uno.

Da una parte non era colpa sua, ma la rabbia prevaleva e mischiata a delusione non era niente di buono. Si ero arrogante, davo la colpa a lui perché è morto.

Mi guardai attorno mentre camminavo.

Il vento veniva contro di me e io contro di lui.

Il freddo però non mi faceva più effetto.

Sentivo solo il calore assalirmi e invadermi il corpo, far ribollire il sangue al interno, mentre nel cuore si era già creata una voragine, diciamo che si è solo allargata un po', la voragine era già presente.

Prima che la mia vista si offuscasse e le mie guance si bagnassero, riuscii ad intravedere un parco.

Scappai dalla presa del ragazzo e corsi verso il primo albero che vidi per poi iniziare a tirare pugni e calzi.

Ero troppo debole, troppo vulnerabile, perché non riesco a non piangere? Perché?

-Perché? - urlai.

Potevo sembrare una malata, psicopatica, ma non capirebbero, semplicemente giudicherebbero.

Ero abituata anche a questo.

Mille domande mi passarono per la testa: perché non reagivo? Perché non mi capivo? Perché non riuscivo a controllarmi? Perché soffrivo? Ovviamente non mi fermai, continuavo a tirare calzi e pugni come una pazza. Le lacrime si facevano sentire sempre più spesso.

Passavano minuti e io non mi fermavo, stavo andando contro di me, dopo sentii delle braccia forti stringermi da dietro e un soffio caldo vicino al mio orecchio si fece spazio.

-Stai calma ti farai solo del male da sola. - era più un sussurro.

Ovviamente lui aveva capito tutta la situazione, no caro, non hai capito proprio un bel niente.

Mi girai e lo guardai negli occhi, quegli occhi color nocciola, così brillanti in cui potevo vedere il mio riflesso. Ero un disastro si, avevo avuto un crollo è vero anche questo, ma questa volta era diverso, c'era lui con me.

All'improvviso rimanemmo solo io e lui, fuori, il vento di settembre che ci colpiva, sentivo il suo fruscio e i nostri respiri, ci guardavamo a vicenda come se fossimo l'unica cosa esistente, ma nello stesso tempo una cosa nuova.

Scossi la testa e ritornai nel mondo reale, dove c'ero io in una guerra senza scudi né armi né eserciti. Per lo più non avevo nemmeno le forze.

Non so il motivo, ma iniziai a dare pugni al petto del ragazzo di fronte a me dalla pelle olivastra. Non sembravano fargli male, i miei pugni non erano un granché.

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