Passò circa un'ora prima che il padrone di casa scendesse le scale. Fred era un uomo alto, dai capelli biondi e con dei bellissimi occhi grigi. A primo impatto mi fece subito pensare a Cameron: stesso sguardo, stessi lineamenti, stesso colorito pallido.
Strinse la mano a me e mia cugina con molto entusiasmo, quasi non vedesse l'ora di conoscerci. Tutti insieme apparecchiammo la tavola, mentre Cameron a telefono ordinava le pizze. Quando eravamo ormai pronti per mangiare il campanello bussò e Rose colse velocemente un velo di speranza trasparire nei miei occhi. Mi auguravo fosse Adam, ma in realtà era solo un vicino che lasciò le sue chiavi di casa a Namid, perché in partenza con la famiglia.
Ritornai con i piedi per terra e ascoltai la storia di Fred, mentre mi rimpinzavo con la mia pizza al formaggio e patatine fritte.
Fred Kröning, classe 1980, era il cugino di Cameron, da parte di padre. Si era trasferito a New York dopo aver ricevuto anche lui una borsa di studio per web designer. Così Fred salutò la famiglia, il suo cane, la sua prima fidanzata e la sua adorata Lipsia. Durante il master conobbe Namid, e tra loro fu subito un colpo di fulmine. Decisero di convivere dopo circa un anno di fidanzamento, ma non fu semplice. Quando, infatti, Namid decise di presentarlo alla sua famiglia, nacquero i primi problemi. Per suo padre era già abbastanza oltraggioso vedere sua figlia abbandonare la riserva, sposare poi un viso pallido era il colpo di grazia. A quanto pare, però, le capacità economiche di Fred colpirono molto gli interessi della famiglia di Namid, che acconsentì al matrimonio. A detta di Cameron il ricevimento durò per quasi due giorni, per quanto potesse ricordare, vittima di un vino sublime.
Poi Fred volse lo sguardo su mia cugina che timidamente mangiava la sua pizza tagliando un pezzetto alla volta, sempre molto garbata ed educata.
«Rosemary raccontaci qualcosa di te, giusto per sapere cos'ha di interessante la nuova fiamma di James!»
Rose sprofondò sulla sedia, con le guance rosse e gli occhi bassi. Divenne minuscola, ma dopo essersi schiarita la voce prese coraggio.
«Sono nata e cresciuta nel Connecticut e lì ho vissuto finché Becky non ha avuto la brillante idea di cambiare scuola. A Hartford vivevo con mio pare Lawrence e mia sorella Dorothy, perché mia madre ci lasciò molto presto a causa di un incidente in barca a vela. Però io e mia sorella abbiamo sedici anni di differenza e quindi posso dire che mi abbia fatto lei da madre. Per quanto riguarda papà, non si è mai risposato, ma so che ha una compagna, Heather, e che per ora non ha intenzione di presentarcela. Credo sia spaventato all'idea che non possa piacerci o qualcosa del genere. In ogni caso io sono contenta per lui, perché lo vedo più sereno, e se sta bene lui, sto bene io.»
Gli occhi di Namid luccicavano per l'emozione. Tutti si commuovevano quando ascoltavano la storia di mia cugina, perché perdere una madre a cinque anni non è di certo una gioia. E questo mi faceva venire i sensi di colpa, perché io, che una madre l'avevo, preferivo starle il più lontano possibile.
Rosemary osservò il mio volto accigliarsi e mi scalciò sotto il tavolo per farmi tornare il sorriso. Ma quella quiete durò poco, perché Fred mi costrinse a raccontare qualcosa di me. Cercai di sorvolare sul mio odio nei confronti dei miei genitori, che avrebbe stonato dopo la storia di mia cugina. Semplificai il tutto dicendo che io e Rose eravamo come sorelle e che, a causa della mia ribellione adolescenziale, la mia famiglia mi aveva concesso il permesso di vivere con lei. Piuttosto parlai a lungo del mio fratellino Edward e di come fossimo così legati, ma senza far riferimento ai suoi problemi.
*Durante una chiacchierata con le maestre d'asilo, i miei genitori vennero a conoscenza che mio fratello aveva difficoltà a relazionarsi con gli altri bambini e che tendeva a parlare verso gli altri piuttosto che con gli altri, come se non gli interessasse avere risposte. Inizialmente mio padre si infuriò, all'idea insopportabile di avere un figlio diverso. Ma grazie a mia madre e a me, che insistemmo tanto affinché Edward stesse bene, l'asilo lasciò che uno psicologo infantile seguisse mio fratello in veste, però, di maestro. Nel giro di poche settimane conoscemmo tantissimi medici, finché non gli diagnosticarono la sindrome di Asperger. Da allora il nostro legame divenne una roccia: usavamo un linguaggio personale, cominciammo a collezionare oggetti completamente inutili ma che a lui piacevano, vivendo in una routine ogni giorno diversa. Il suo disturbo comportamentale divenne un segreto custodito delicatamente nella nostra famiglia, perché mio padre voleva mantenere salda la sua reputazione, mentre io volevo semplicemente proteggere mio fratello dagli scherzi e dalle derisioni degli altri bambini. In fondo mio fratello era un bambino come tutti gli altri né speciale, né anormale, era mio fratello e basta.*
Le ore trascorsero piacevolmente, chiacchierando, ascoltando musica; mi divertii perfino a sfidare Cameron giocando a Playstation, e mi resi conto di quanto fossi incapace ai videogiochi. In tutto ciò, di Adam neanche l'ombra e così capii che quella di James era stata solo una scusa per farmi stare tranquilla e per non rovinarmi la serata.
La notte cominciò a farsi intensa, così come la stanchezza, e verso mezzanotte salutammo tutti, ringraziandoli. Una volta in macchina, Cameron accese lo stereo, tenendo basso il volume, ormai impercettibile. Abbassai il vetro del finestrino, ipnotizzata dalla luce dei lampioni che scorrevano veloci uno dopo l'altro.
Improvvisamente Cameron frenò l'auto su ordine di James. Immobile dinanzi a noi, un suv nero mi accecava con i suoi fari intensi. Con un po' di ritardo Adam si era avviato. Respirai profondamente e, dopo aver sganciato la cintura di sicurezza, scesi dalla berlina per salire sull'auto di James, che ora guidava suo fratello. Credevo che quello fosse il momento giusto per parlargli e in un certo senso fu così.
Dopo i primi minuti trascorsi in silenzio cominciammo entrambi a parlare con frasi mozzate perché le nostre parole si sovrapponevano. Sorrise tedioso e mi lasciò cominciare.
«Come mai ti sei deciso a venire così tardi?»
«Meglio tardi che mai!»
«E cosa ti ha fatto cambiare idea?»
«Il pensiero di poterti vedere.»
«Adam, non puoi rovinarti le serate solo perché io non ho intenzione di stringere rapporti con te che vadano oltre l'amicizia. Io non posso, non ci riesco, capisci? Potrai cercare di convincermi in tutti i modi, ma io voglio rimanere come sono, almeno per ora. Voglio divertirmi, non avere vincoli, poter scegliere quello che voglio. Perciò smettila di comportarti come un bambino a cui hanno tolto il pupazzo preferito.»
Calò nuovamente il silenzio ed ebbi l'impressione che Adam non mi avesse ascoltata. Lui era fermamente convinto dei suoi sentimenti appena sbocciati e non aveva intenzione di cambiare idea, al contrario, avrebbe usato qualsiasi mezzo per far cambiare la mia.
Quasi stavo per addormentarmi quando Adam fermò il suv nel parcheggio della scuola. Era più popolato rispetto a quando eravamo partiti per Brooklyn, il weekend era finito e gli studenti erano quasi tutti rientrati. Raggiungemmo il cortile nello stesso silenzio ostinato che era piombato in auto. Incrociammo James e Cameron, diretti al loro appartamento, mentre Rose si era appena chiusa la porta dell'ascensore alle spalle.
Adam bloccò la mia mano, intenta ad aprire il portone della palazzina, e istintivamente lo guardai negli occhi, perdendomi. Il tempo si bloccò per qualche secondo, giusto un istante. Le nostre labbra si sfiorarono appena, ma mi sembrò il bacio più bello di sempre. Si allontanò da me senza neanche una parola, ero senza fiato. Inebriata dal suo profumo, entrai nel mio appartamento con la testa tra le nuvole. Nulla in quel momento sembrava più emozionante.
Passò quasi un'ora prima che il ricordo di quell'istante cominciasse a sbiadire, sotto il rumore scrosciante dell'acqua calda. Mi infilai il pigiama per tuffarmi sotto le lenzuola bianche e smorte. Quella notte sognai qualcosa di strano e di inspiegabile: solo una mano, pronta a stringere la mia per salvarmi da un grigiore intenso provenire da una nebbia offuscante.
Qualcosa di strano era scattato dentro di me quella sera; la prima goccia cominciava a riempire il vaso che, nel giro di poco tempo, sarebbe traboccato.

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Cuori d'autunno
Ficção GeralQuesta storia risale al 2009 ed è stata pubblicata cartacea nel 2011 con il titolo "Breathless". Circa un anno dopo ho cominciato a revisionarlo e tutt'oggi vorrei cambiarlo totalmente. Purtroppo non posso dedicarmi sempre e solo a questo testo, per...