X. Indifferenza

12 3 0
                                    

Rimasi tutto il giorno della mia camera, ignorando mia cugina che continuava a chiedermi di uscire. Non andai in discoteca, né misi piede in cucina per la cena o la colazione della domenica mattina. E intanto Rose continuava a bussare alla mia porta. Mi era indifferente qualsiasi cosa; non risposi neanche al cellulare, né all'email di Edward. Me ne stavo semplicemente distesa sul letto a guardare il soffitto, senza neanche riuscire a pensare. Chiusi nuovamente gli occhi e sperai con tutta me stessa di poter dormire e quando mi svegliai di soprassalto mi accorsi di aver già perso un'ora della lezione di matematica del lunedì mattina. Mi guardai intorno come in cerca di qualcuno che mi spronasse ad alzarmi e ad affrontare la giornata; ahimè riuscii solo a trascinare il mio corpo pesante sotto la doccia e a ritornare a letto. Tic tac tic tac... i secondi passavano così intensamente che ero capace di sentire il rumore delle lancette girare sull'orologio affisso in cucina. Tic tac Rose, tic tac Edward, tic tac James, tic tac Adam: ogni frazione di secondo i miei pensieri mutavano, focalizzandosi su una persona soltanto per un istante. Tic tac, toc toc. Erano le sei del pomeriggio e mia cugina bussò di nuovo alla porta.

«Becky sai che non impreco mai, ma mi stai irritando. Apri questa cazzo di porta o chiamo la sicurezza e ti faccio sbattere fuori a calci!»

Non risposi.

«Ho litigato con James a causa tua, James si è innervosito con Adam a causa mia che sono arrabbiata a causa tua. C'è una tensione assurda che sta partendo da te. Perciò esci da questa stanza e vieni fuori o ti giuro che appena ti vedo ti strappo tutti quei capelli splendidi che ti ritrovi.»

Non risposi di nuovo. Ma cominciava a dispiacermi. Poi Rose tirò su col naso e cominciò a singhiozzare.

«Ti prego. Rebecca apri la porta. Tu sai che se non ti ho al mio fianco non posso andare avanti. Tu sei mia e io sono tua, ricordi? Non possiamo lasciare che qualcosa ci separi. Io ho bisogno di te, e tu molto più di me. Perciò apri, voglio farti capire che di me puoi fidarti. Io ci sarò sempre, non ti lascerei mai da sola in questo casino. Per favore. Io ti amo, tu sei mia sorella.»

Adesso mi importava, mi importava davvero, di lei, di me. Forse cominciava a importarmi di tutto. Tagliarla fuori dal mio mondo sarebbe stato un completo disastro. Così mi alzai dal letto, ancora con l'accappatoio addosso. Aprii la porta e trovai Rose in preda alle lacrime. La abbracciai e cominciò a ridere come se nulla fosse accaduto. Non le avevo mai detto di volerle bene, perché lei lo sapeva già; ma in quell'istante qualcosa mi spinse ad aprire il mio cuore e fu tanto doloroso quanto piacevole. Sentivo quell'organo spappolarsi e una sensazione di sollievo scorrermi nelle vene al posto del sangue.

«Ti amo.»

Avevo appena sfondato a mani nude la parete che avevo costruito da sola. Ero appena uscita da quell'apatia asfissiante. Ero io. Ora ero davvero io.

Da quel lunedì niente più poteva assolutamente distruggermi. Mi sentivo forte, rinata; il mio cuore palpitava di emozioni. Era il primo passo per cominciare a dar spazio ai miei sentimenti. Mi commossi perfino ad ascoltare la storia di Wendy. Nei miei giorni di febbrile agonia, lei doveva studiare per una prova intercorso di arte e così mi era stata vicina, mi aveva preparato la colazione, sistemato la stanza. Se ne stava sempre sola, non parlava mai con nessuno, si lasciava solo avere dai ragazzi, per passare il tempo, quando non aveva da studiare o lavorare. Era l'assistente di sua madre Crystal, costumista a Broadway. Da quanto mi raccontò, lei e sua madre erano molto legate, come sorelle. Gli anni che le separavano erano solo quindici e Wendy non si vergognava a dire "Sono nata da una scopata senza cuore".

In una vacanza studio a Boston, Crystal aveva subito uno stupro da uno studente del posto. Suo padre, un vedovo magnate facoltoso, preferì abbandonarla al suo destino quando seppe che la ragazza non aveva minimamente intenzione di abortire. Così Crystal era cresciuta con le proprie forze, tra un appartamento in fitto e l'altro, lavorando ora in un fastfood ora per una ditta di pulizie, e tutto questo senza mai far mancare nulla a sua figlia. Poi la ruota della fortuna girò e suo padre morì improvvisamente senza lasciare testamento; Crystal divenne ereditiera di un ingente patrimonio e in questo modo poté perseguire il suo sogno di lavorare a Broadway.

Le giornate continuavano a filare lisce e radiose. James continuava a frequentare mia cugina, io mi preparavo per la prova intercorso di matematica avanzata, Wendy era partita per una settimana nel Michigan per seguire sua madre e la compagnia teatrale, e Cameron aveva finalmente smesso di aspettare impaziente che tornasse la sua fidanzata. Cindy Bells, capelli rossi come il fuoco, occhi cristallini, tante lentiggini come le mie, curve al posto giusto, era appena atterrata a New York dopo due mesi di scambio culturale a Londra. E se a pelle mi lasciava immaginare quanto fosse una persona altezzosa e viziata, una volta rotto il ghiaccio, si lasciò andare in tutta la sua gentilezza e simpatia. In particolar modo strinse un legame molto forte con Rose, frequentando gli stessi corsi e dirette verso lo stesso piano di studi.

In tutto questo, Adam continuava a ignorarmi anche mentre eravamo in comitiva, anche quando pranzava nel mio appartamento con suo fratello, e addirittura quando James e Rose si scambiavano tenerezze sul divano davanti a noi due.

La situazione mi faceva un male assurdo, mi sentivo quasi umiliata e mortificata e di tanto in tanto mi pentivo di aver permesso a tutti i sentimenti di prender possesso di me. Avevo sempre più voglia di parlargli, di fargli capire che potevo cambiare, che desideravo averlo al mio fianco non solo da amico. In fondo aveva ragione, dovevo crescere, e se crescere significava anche rischiare di star male o bene per qualcuno, allora ero disposta a farlo. Tanto stavo male comunque. Ma ogni volta che aprivo bocca, Adam si alzava per bere qualcosa, attaccava bottone con chiunque gli fosse accanto, fingeva perfino di dover parlare a telefono. La verità è che voleva solo farmi cuocere nel mio brodo, così da spingermi a capire da sola che davvero volevo le sue attenzioni.

Un giovedì mattina, durante la lezione di Spagnolo, Adam si sedette affianco a me. Mi irrigidii senza fiatare; cercai solo di mandargli qualche occhiata di sottecchi. Serrai i pugni sul banco, in preda all'esasperazione. Credevo di poter urlare da un momento all'altro. Poi con il mignolo della mano mi sfiorò il polso. Qualcuno mi aveva appena strappato il cuore dal petto. Non riuscivo più a capire dove fossi, e al suono della campanella, quando tutti scapparono dall'aula, mi sembrò di vedere Adam sorridermi dolcemente. Non ne fui mai certa.

Quando tornai in appartamento, dopo averci pensato tutto il pomeriggio decisi di scrivere a mio fratello Edward, nonostante non fosse lunedì.

"Ciao piccolo Ed,

scusa se irrompo così nel bel mezzo della settimana, ma avevo bisogno di parlarti e raccontarti cosa sta succedendo. Negli ultimi tempi non ti ho parlato più di Adam, perché in realtà ha fatto finta che io non esistessi più. E poi oggi all'improvviso è cambiato tutto. È come se avesse voluto dirmi "ok il tempo della punizione è finito e puoi finalmente rivolgermi la parola". Mi sento così strana. Vorrei stringerti forte e avere meno paura di affrontare le cose.

Per il resto, va tutto molto bene. La prova di matematica è alle porte, e ammetto di non essermi concentrata abbastanza.

Salutami Randy, e anche la mamma.

Ti voglio bene Ed, non sai quanto.

Rebecca"

Rimasi chiusa in camera a riflettere fino a ora di cena, quando Rose bussò alla porta. Wendy sarebbe tornata il giorno dopo, così avevamo ordinato delle pizze, dato che sia io che mia cugina non ce la cavavamo bene ai fornelli. Mentre mangiavamo e guardavamo Sex and the city, Rose si rese conto che ero abbastanza distratta.

«Becky, stai bene?»

Annuii semplicemente, senza convincerla. Mi osservò a lungo, mangiò un'altra fetta di pizza e si rivolse di nuovo a guardarmi.

«Sei preoccupata per la prova di matematica?»

«No, affatto. Si tratta di Adam...»

Cuori d'autunnoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora