Intanto i giorni passavano, pesanti e inesorabili, col peso della temperatura altissima e del raffreddore. Finché un bel venerdì sera, dopo circa due belle settimane di riposo intensivo, Rose mi permise di uscire con la solita comitiva e fare un po' di schiamazzo in discoteca. Cercai di divertirmi il più possibile ma qualcosa sembrava frenare i miei istinti. Non indossai nulla di appariscente o sensuale, neanche un velo di trucco o il solito rossetto Chanel a cui ero tanto affezionata. Mi sentivo diversa, come se la mia coscienza mi avesse spinta a riflettere su cosa fare di me, delle mie serate, delle mie amicizie e soprattutto di Adam. Avevo pensato a lui tutti i giorni e minuti e secondi. Provai tante volte a chiamarlo ma quella sua voce terribilmente gentile continuava a dire di lasciare un messaggio; e puntualmente riagganciavo nonostante avessi tantissime cose da dirgli.
Mentre rimuginavo su quel bacio delicato ricevuto giorni prima, James mi fissava dall'altra parte del tavolo accigliato. Sapevo bene che Rose evitava qualsiasi tipo di effusioni davanti a me per non gravare sulla mia situazione; così James si vedeva costretto a reprimere la sua libido controvoglia. Ma in realtà tutto quello che mi circondava non mi importava minimamente. In quegli istanti neanche un incendio o una rapina avrebbe potuto distrarmi dall'unico pensiero che avevo in mente. Di punto in bianco poi Cameron invitò Rose e Wendy a ballare, lasciandomi al tavolo con James. Non smetteva di penetrarmi con lo sguardo, mettendomi a disagio.
«Becky smettila di pensarci, diamine! Dovresti vederti! Non eri tu la famosa pantera da discoteca?»
«Lasciami in pace!»
Mi schernì con una smorfia facendomi saltare i nervi a tal punto che mi precipitai nel bagno delle ragazze pur di non confondere i suoi occhi con quelli del fratello. E quando credei di essere al sicuro, mi scontrai contro un ragazzo alto e seducente, che aveva appena completato un lavoro accurato con qualche ragazza che ora riversava ubriaca vicino al gabinetto. Alzai il volto e Mark era lì, a cercare nuovamente di ammaliarmi. Sapevo che avrei potuto resistere, sapevo che avrei potuto resistere con ogni parte del corpo. E in fondo sapevo anche che non era vero.
Quando ritornammo a scuola in piena notte, dissi a Rose che avevo bisogno di una passeggiata solitaria nel cortile; mi bastò un'espressione da martire per convincerla. Corsi nel parcheggio dove Mark mi stava aspettando, ma cercai di rimandare sempre all'ultimo secondo, sviando ogni tentativo in una conversazione senza senso. Così dopo circa un'ora di chiacchiere futili e vuote, abbassò il mio sediolino e si spinse con tutto il suo peso contro il mio corpo. Non sapevo perché avevo accettato di incontrarlo, ma in quel momento sentivo davvero che avevo commesso una sciocchezza. Non avevo per niente voglia di sentirmi toccare, baciare, mordere. Come un animale cominciò a stringermi forte, mentre cercavo di dimenarmi. Volevo urlare, forse ucciderlo. Ma la sua forza era oltre le mie aspettative e non ebbi altra scelta che lasciarlo fare, chiudere gli occhi e convincermi che mi piacesse. Quando lo sentii appagato si sedette nuovamente sul suo sedile e mi guardò esterrefatto, come se neanche lui avesse voluto. Cercò le parole per rompere il ghiaccio, forse voleva scusarsi o forse no. Fatto sta che rimanemmo per un bel po' a fissare il vuoto, in silenzio. Scappai via, chiusi a chiave la porta della mia camera e mi tuffai sul letto.
Il fruscio del vento smuoveva le foglie che battevano contro il vetro della mia finestra. Non davano alcun fastidio, dato che non riuscivo a dormire. I miei pensieri erano stati praticamente catapultati in una situazione assurda; e adesso pesavano il doppio. Qualche lacrima bagnò il cuscino e intanto mi raggomitolavo con il ventre bollente e le cosce graffiate da quei jeans grigi e stracciati di Mark. Mi guardai i polsi lividi e pensai che avrei dovuto indossare qualcosa che potesse coprirli, nonostante il caldo tremendo che cominciava a incombere asfissiante. Poi il mio cellulare si illuminò, giusto un secondo prima che chiudessi gli occhi per cercare di trovare il sonno. James mi aveva appena inviato un sms in cui mi chiedeva di raggiungere subito il suo appartamento. Sapevo benissimo che era tardi e che tutti stessero dormendo, ma dopo l'episodio con Mark era come se non mi sentissi al sicuro a stare sola; così bussai alla porta di Rose chiedendole di accompagnarmi. Inizialmente non fece domande, ma poi notò il mio atteggiamento paranoico: continuavo a tirare giù le maniche del pigiama e a guardarmi intorno, impaurita da qualsiasi piccolo rumore.
«Stai bene?»
Annuii senza fiatare. Ma Rose sembrava davvero preoccupata a vedermi in quel modo. Sapevo di essere pallida e di avere un'espressione stravolta; eppure non pensavo ad altro, se non agli occhi selvaggi di Mark. Avevo perfino dimenticato che cosa stessi facendo in quell'istante, dove stessi andando. Fin quando, una volta entrate nell'appartamento, trovammo James ad accoglierci con un volto infuriato e perplesso, e sicuramente disgustato. Ci invitò a entrare in cucina dove, sul divano, seduto e con la testa stretta tra le ginocchia, Mark piangeva e si dimenava come un folle. Dalle labbra continuava a uscirgli del sangue e il naso sembrava totalmente inclinato rispetto a qualche ora prima.
Raggiunsi il divano in una frazione di secondo e mi inginocchiai, prendendo il volto di Mark tra le mie mani. Condussi i suoi occhi blu a guardare i miei. Il colpo al naso aveva donato ai suoi zigomi un colore violaceo, come se avesse avuto due enormi lividi sulle guance. Gli chiesi di spiegarmi cosa fosse successo, ma preferì abbassare lo sguardo e non rispondere. Tirò su col naso più di una volta, prima di ritornare con la testa tra le ginocchia.
Rose prese del ghiaccio dal frigorifero e, con l'aiuto di Cameron, invitò Mark a farsi medicare. Il suo naso diventava sempre più gonfio e i suoi occhi si riempivano di lacrime ogni volta che mia cugina premeva il ghiaccio contro il suo volto.
Mentre cercavano di rimetterlo in sesto, mi voltai in cerca di James. Poggiava la testa contro il vetro dell'enorme finestra della cucina, guardando il nulla; se ne stava semplicemente con la mascella serrata a reprimere la rabbia. Mi avvicinai, accarezzandogli il pugno chiuso.
«Ti prego, spiegami cos'è successo.»
«Perché sei salita nella sua auto?»
Rimasi turbata da quella domanda, che lasciò i ricordi risalire poco a poco nello stomaco.
«Gli hai rotto il naso solo perché abbiamo fatto sesso?!»
«No, Becky, perché ti ha usata! È arrivato in cucina fuori di sé, delirava e non riusciva a spiegarmi cosa fosse realmente successo. Poi ha cominciato a dire frasi sconnesse...»
«Non hai capito proprio niente invece. Sai cos'è che devi capire James? Che devi farti da parte! Hai lo stesso identico vizio di tuo fratello. Credete tutti di potermi proteggere dagli altri, da me. Abbiamo soltanto diciassette anni, e tutta una vita davanti. Possiamo goderci ogni singolo istante soltanto adesso. Ed è adesso che possiamo commettere errori, errori a cui possiamo rimediare.»
Lo lasciai da solo davanti alla finestra, con la speranza che avesse capito le mie parole. Ritornai da Mark e gli chiesi di scendere con me in cortile; avevo bisogno di dormire sonni tranquilli quella sera, e risolvere quel problema mi avrebbe sicuramente aiutata.
La passeggiata però si svolse nel completo silenzio, un po' per l'imbarazzo, un po' per la paura, un po' per la mancanza di parole. Perciò alla fine Mark mi accompagnò fino al portone della mia palazzina e mi chiese scusa con una voce flebile e dispiaciuta. Sorrisi. Il dolore era improvvisamente svanito. Gli baciai la guancia e lo fissai dritto in quelle due gocce di oceano che erano i suoi occhi. Il suo naso aveva assolutamente bisogno di ritornare a posto e così, mentre salivo le scale per tornare nel mio appartamento, sperai che guarisse presto.
Quando mi infilai sotto le lenzuola lo sguardo di Adam balenò per un brevissimo istante nella mia mente. Era di nuovo lui il mio chiodo fisso. Chiusi occhi e mi addormentai profondamente.
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Cuori d'autunno
Fiction généraleQuesta storia risale al 2009 ed è stata pubblicata cartacea nel 2011 con il titolo "Breathless". Circa un anno dopo ho cominciato a revisionarlo e tutt'oggi vorrei cambiarlo totalmente. Purtroppo non posso dedicarmi sempre e solo a questo testo, per...