XI. Filtri d'amore

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Le raccontai tutto, nel minimo dettaglio, perfino la sensazione che avevo avvertito al tocco di quella pelle così delicata e calda.

«Dovresti parlargli. In tutto questo tempo non ha fatto altro che tenerti a distanza, per poi lamentarsi con James sul fatto che si sentisse insicuro, che sperasse in tuo gesto... Si è comportato molto da vittima, e credo sia il momento che tu gli faccia deporre le armi. È inutile farsi la guerra col silenzio. Fate un passo avanti e cercate di amavi, come due ragazzi normali.»

Mai come in quel momento mi sembrò che Rosemary avesse ragione. D'altra parte non avrei perso niente a farmi avanti.

«Forse dovrei davvero parlargli e dire quello che penso... È solo che, non so... Se poi mi mandasse via?»

Rose cominciò a ridere come se quella fosse stata la battuta più bella di sempre, e non potevo darle torto. Adam non avrebbe mai rifiutato un mio solo gesto nei suoi confronti, e io avevo solo paura di lasciare il mio bozzo e rinascere completamente. Respirai profondamente. Posai il cartone della pizza sul tavolino davanti ai miei piedi e guardai mia cugina; manteneva i miei occhi con una vera perplessità, ma non sapevo neanche io in quel momento cosa volessi fare.

«Vuoi accompagnarmi? Intanto potresti scambiare due chiacchiere con James, o le vostre solite e stomachevoli tenerezze.»

Sorrise. Mi strinse la mano. Insieme attraversammo il giardino e suonammo il campanello dell'appartamento. Mark aprì la porta e ci lasciò entrare. Lo seguimmo in cucina, ma Adam non c'era; e mentre James e Cameron ci salutavano, sentii in lontananza un ragazzo cantare sotto la doccia. Avevo già ascoltato quel suono così delicato e suadente e, senza dir nulla, tornai nel corridoio, lasciandomi guidare da quella voce. Arrivai alla prima stanza dell'appartamento e la voce di Adam si mescolava sempre di più col rumore della doccia. Sapevo che non mi avrebbe sentita, così aspettai il silenzio prima di bussare.

A primo impatto sembrò non aspettarsi di vedermi, ma ciò nonostante mi lasciò entrare con nonchalance come se la mia presenza gli fosse indifferente. Disinvolto, lasciò che l'accappatoio scivolasse dal suo esile corpo, per poi vestirsi lentamente. Io ero lì, ma per lui invisibile. Quando si stese sul letto, mi guardò con un sorriso beffardo. Ormai i giochi erano fatti ed era certo che mi sarei fatta avanti. Così mi avvicinai lentamente.

Mi sedetti ad suo fianco dandogli le spalle, incurvai la schiena, arricciai le dita in una ciocca di capelli e sospirai.

«Mi sono comportata da stupida, scusami. Forse non hai torto... Magari potremmo tentare...»

La voce mi si spezzò in gola e sentii un graffio percorrermi dentro. Non ero davvero convinta delle mie parole, né dei miei sentimenti, ma Adam non mi diede il tempo di rifletterci ancora.

Mi strinse la mano e mi invitò a voltarmi. Ci guardammo negli occhi, tremanti, spaventati, incerti, ma limpidi, consapevoli di una serenità mai conosciuta prima. Lasciò che assaporassi lentamente il tepore delle sue labbra sottili, morbide. Di quel che venne dopo non ricordai più niente neanche quando riaprì gli occhi; di quel che venne dopo, solo la passione macchiata da infinita dolcezza.

Adam si stese nuovamente sul letto, al mio fianco, per guardarmi. Contornò il mio viso con un dito, un toccò leggero che scivolò lentamente lungo i miei fianchi.

Il suo sguardo poi diventò agitato, si mise supino e cominciò a fissare il soffitto bianco. Il calore era penetrato nelle pareti e l'atmosfera soffusa sembrava impedirmi di distinguere la realtà. Passò una mano tra i capelli, nervoso. In quel momento i miei pensieri si incepparono, preoccupata di un ipotetico pentimento. Presi il suo volto e, incrociando i suoi occhi, cercai di incitarlo a parlare.

«Ti amo.»

Quelle due parole risuonarono nella mia testa così tante volte da dissolversi, quasi credei di averle sognate. Non risposi, e lui si accontentò di un mio sorriso, traboccante di lacrime.

Ci addormentammo sereni, con una nuova vita davanti, le mani intrecciate, i volti così vicini da far pensare a un imminente bacio. Mai i miei sogni furono così sereni.

Mi svegliai nel pieno della notte, per la troppa luce: anche la luna, quella sera, si era innamorata di noi, senza smettere di abbagliarci. Adam dormiva respirando profondamente e il suo movimento mi cullava rilassante. Cercai di guardare la sveglia, voltandomi senza svegliarlo: le 4.37. Lasciai lentamente la sua mano, mi alzai e mi vestii velocemente. Poi con passo felpato lasciai la stanza; desideravo tremendamente guardarlo ancora, come un'opera d'arte, inerme e soave, ma era tardi davvero e io dovevo assolutamente studiare.

Appena tornata al mio appartamento, infilai il maglione di James; mi aveva permesso di tenerlo e ormai era diventato il mio pigiama. Sgattaiolai in cucina silenziosamente e con un respiro profondo cercai di trovare la voglia e le energie per decifrare quei numeri. Inutile aggiungere che dopo dieci minuti mi addormentai. Felice.

Il mattino seguente, o dovrei dire poche ore dopo, ero gia in piedi per affrontare il test di matematica. Volevo morire: avevo trascurato l'unica cosa in cui ero brava e che mi dava sempre soddisfazioni. Mentre mi vestivo pregavo in un colpo di genio, con la speranza di non tradire chi aveva creduto in me, perché il professor Walsh si era sforzato di inserirmi in quella classe nonostante fossi arrivata nel bel mezzo dell'anno accademico.

Scesi a mensa e, quando trovo i miei amici intenti nella colazione, mi si chiuse lo stomaco per la paura. James e Cameron mi guardarono sghignazzando, con Rosemary che li seguiva ruota, e lì mi resi conto che sapevano già tutto di me e Adam. Il problema ora era confessare di non aver studiato pur di vivere una notte come quella.

Mia cugina mi accompagnò a lezione, ancora ignara che quello fosse un giorno importante per i voti del diploma e per la partecipazione alle Olimpiadi di Chicago. Prima di separarci le strinsi la mano.

«Rose... Oggi ho il test!»

L'unica cosa che riuscì a fare fu sgranare gli occhi, perché per un'amante dello studio come lei era inconcepibile trascurare la scuola se non per una questione di morte. Mi augurò buona fortuna con la voce spezzata, trasmettendomi più ansia di quanto non ne avessi già.

Entrando in aula mi sembrò di scorgere il volto di Adam alla fine del corridoio, con lo sguardo preoccupato ma il sorriso sereno. In effetti nessuno dei due era pentito di aver peccato di negligenza se in cambio avevamo ottenuto quel po' d'amore sotto le lenzuola.

Tirai un respiro profondo quando il professor Walsh chiuse la porta alle mie spalle. L'aula ad arena era un incubo e in quel momento capii che non avevo alcuna speranza neanche di scopiazzare da qualche genio con gli occhiali potteriani e le bretelle sfilacciate. Eravamo soltanto una dozzina e tra una persona e l'altra poteva passare un autotreno.

Quando mi consegnarono il test sentii le gocce di sudore scorrere lungo le tempie e il sangue pulsare nelle vene. L'aula cominciò a girare, nonostante mi imponessi di rimanere concentrata e liberare la mente da ogni pensiero inutile. Ma i minuti sembravano scorrere troppo veloce mente senza darmi il tempo di leggere, chiarire le idee, mentre la mia mano tremava a tal punto da faticare a mantenere la penna.

Ma dovevo farcela! Lo dovevo a me, per sentirmi fiera, lo dovevo ad Adam per permettergli di dire in giro di avere una ragazza intelligente - magari avrebbe compensato la mia cattiva reputazione - , lo dovevo a mia cugina per tutto il suo sostegno in quei mesi, e lo dovevo al mio piccolo Edward, che più di ogni altro credeva nelle mie capacita e - come diceva lui - nel mio cervello da scienziata.

L'agonia fu lunghissima. Ogni equazione o funzione mi saltava agli occhi come un geroglifico. Arrotolavo le dita tra i capelli per mantenere la calma e, appena la campanella suonò, consegnai il test e corsi via. Quel che era fatto era fatto, nel bene o nel male credevo di aver almeno raggiunto un voto discreto.

Il lato positivo di quel test fu l'esonero da tutte le materie scolastiche per l'intera giornata. Trascorsi del tempo nell'auditorium del teatro, dove alcuni studenti stavano allestendo lo spettacolo di fine anno. Un andirivieni di ragazzi occupava quel posto ovattato dai loro mormorii. In un angolo della platea c'era un tavolino in plastica con la lista dei partecipanti: James e Adam erano in fondo all'elenco.

Andai via per non rovinarmi la sorpresa, ma in verità cominciai ad aspettare con ansia quel giorno, curiosa di ascoltare ancora una volta la voce di Adam cantare. E chissà se avrebbe parlato di me!

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