VI. Veleni

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Il lunedì mattina subii un forte trauma, perché non riuscivo ad alzarmi dal letto. Un'intensa forza di gravità, detta pigrizia, mi tratteneva a letto con i suoi tentacoli, facendomi rimandare la sveglia ben quattro volte. Quando mi accorsi di essere seriamente in ritardo, mi vestii velocemente scegliendo degli abiti a caso dall'armadio e uscii dall'appartamento senza neanche pettinarmi. Così strada facendo li avvolsi in uno chignon disordinato. La mensa era già chiusa per la colazione e arrivai a lezione con un tremendo brontolio di stomaco.

Le prime due ore di francese trascorsero con una lentezza pari alla sdolcinatezza con cui la madrelingua cercava di spiegarci Baudelaire. Ma sinceramente trovavo molto noioso dover studiare qualsiasi altra lingua; insomma, l'inglese è la lingua di comunicazione internazionale e quindi non avevo bisogno di impararne un'altra. Per di più Baudelaire non mi avrebbe di certo aiutato a chiedere informazioni se fossi andata in Francia.

Al suono della campanella ritornai con i piedi per terra, presi la borsa e mi avviai nell'aula di fisica; ma prima incontrai Rose e avevo assolutamente bisogno di parlarle. Mi salutò da lontano con la mano e sorridendomi radiosa. I suoi lunghi capelli biondi si muovevano fluidamente sulla schiena e quegli occhi verdi scintillavano come pietre preziose.

«Becky! Questa mattina ho provato a svegliarti ma non mi hai risposto, così ho lasciato perdere. Però a quanto pare ce l'hai fatta a trascinarti fuori dal letto!» sghignazzò con aria ironica.

«Non riuscivo ad aprire gli occhi perché stanotte ho fatto fatica ad addormentarmi.»

«Cos'è successo? Stai bene?» Rose si preoccupava molto facilmente, soprattutto per le persone a cui voleva bene. Era sempre molto premurosa e altruista, e ci teneva che tutto andasse per il verso giusto.

«Adam mi ha baciata, ieri sera, nel cortile. E questa notte non ho fatto altro che pensarci.» cominciai a guardarmi intorno, per sembrare che non dessi troppo peso alla cosa; ma ovviamente Rose spalancò la bocca come colta da una splendida sorpresa, e passò qualche secondo prima che riuscisse a parlare.

«È fantastico! Sareste davvero una bella coppia. E poi ormai hai diciassette anni, non è più così abominevole avere una relazione duratura, anzi dovresti essere felice di quest'amore.»

«Rose, non sono innamorata. Ti ho detto che è stato lui a baciare me, mi è piaciuto, punto. Non c'è stato nulla di più. Sono Rebecca Wood, ricordalo!»

Esasperata, Rose mi baciò la guancia dopo avermi detto che me ne sarei pentita se l'avessi lasciato andare. Mi lasciò da sola, nel corridoio che brulicava ancora di studenti in cerca dell'aula giusta. Ripensando alle sue parole, mescolai il tutto con delle formule di fisica. Iniziai a fantasticare dicendomi che se la formula mi avesse dato come risultato un numero dispari, allora avrei potuto dare una possibilità ad Adam, altrimenti sarei ritornata a vivere la mia vita di sempre.

Il numero era pari. Mi convinsi in tutti modi che quella fosse la scelta giusta, ma in realtà provai un forte senso di vuoto, come se mi fosse appena stato strappato un mondo meraviglioso e pieno di sogni e desideri, purtroppo irrealizzabili.

Quando arrivò l'ora di pranzo, il professore Walsh mi bloccò sulla soglia dell'aula prima che uscissi per dirigermi alla mensa. Mi fece sedere e, sorridendomi con le guance rosee e le lentiggini rosse su tutto il viso, respirò a fondo. Era irlandese di origini, coi capelli rossi e gli occhi chiarissimi, piccolo e minuto, ma con un quoziente intellettivo incredibilmente alto. Sapevo che aveva rifiutato la cattedra di fisica all'università di Cambridge, solo per il gusto di poter insegnare a una piccola classe di adolescenti. E soltanto io e qualche altro elemento della scuola riuscivamo a regalargli qualche soddisfazione; per il resto, nessuno era capace di seguire i suoi ragionamenti, o perché troppo complessi, o per il semplice disprezzo nei confronti dei numeri.

«Rebecca, ho stilato l'elenco degli studenti per il corso avanzato di matematica e ti ho inserita. Non eccelli nei voti, eppure hai una spiccata capacità logica» nessuno aveva mai apprezzato il mio genio incompreso e in quell'istante avrei avuto voglia di sposare il mio insegnante «Vedi, quest'estate, verso la fine di Agosto, la Polyvore High School di Chicago sarà la sede delle olimpiadi internazionali della matematica. Detto sinceramente, sarebbe un onore per me inserire nella mia squadra una ragazza, perciò se ti va di partecipare... Tu pensaci, sai dove trovarmi.»

Accettai e basta, non avevo assolutamente bisogno di pensarci. Ero così eccitata al solo pensiero di poter dimostrare le mie capacità a qualcuno che non riuscivo a togliermi quel sorriso idiota dalla faccia. Lo ringraziai di cuore e, di corsa, cercai di arrivare alla mensa in tempo per incontrare Rose. Ma naturalmente, tutte le cose belle hanno una fine; e la mia giornata fu felice finché non mi si mise tra i piedi Adam. Cominciò a fissarmi per tutto il tempo del pranzo e, per non incrociare i suoi occhi, tentavo di attaccare bottone con Cameron, dato che Rose era ormai troppo impegnata con James per potermi dedicare qualche attenzione. Parlai di qualsiasi argomento mi passasse per la testa in quel momento e intanto mi rendevo conto che Adam non distoglieva i suoi occhi nocciola dalle mie labbra.

Scattai in piedi irritata e, con la scusa di aver dimenticato dei libri in camera, cercai invano di ritornare in appartamento. Il giardino immenso che separava l'istituto e la mensa dai dormitori sembrava non finire più e io sapevo che lui mi stava seguendo. Mi voltai in un baleno e lui si fermò di botto proprio davanti ai miei occhi.

«Adam smettila di seguirmi, mi stai facendo saltare i nervi!»

«Devo parlarti, è inutile che continui a scappare.»

«No, è inutile che continui a seguirmi! Possibile che non capisci? Sei peggio di un bambino. Mio fratello di dieci anni sarebbe disposto a rinunciare a un giocattolo se sapesse che non può averlo. Tu invece continui a insistere e io non credo di poter reggere ancora per molto. Voltati Adam, voltati e guardati intorno! In questa scuola tantissime ragazze pendono dalle tue labbra, ti seguono dappertutto nella speranza che tu rivolga loro un piccolo sorriso, uno sguardo.»

«Becky tu non sei quelle moltissime ragazze! Io voglio te, soltanto te. E non voglio arrendermi perché so per certo che è solo questione di tempo. Ieri sera ho visto il modo in cui mi guardavi, ho quasi sentito il tuo cuore battere mentre ti baciavo. Ogni singolo istante è ancora impresso nella mia mente, la tua mano fredda, il tuo sapore, il tuo respiro spezzato...»

Mi parlava agitato e nervoso, quasi come se sapesse che le parole non facessero al caso mio. Ma allo stesso tempo non voleva giungere ai fatti, perché lui era diverso, diverso da tutti gli altri, sapeva essere avventato ma pur sempre con un'estrema dolcezza, senza mai spingersi oltre il limite. E quel bacio era già stato abbastanza. Avevamo avuto praticamente le stesse sensazioni quella sera, e probabilmente anche lui aveva fatto fatica ad addormentarsi, tentando di scacciare via il mio sapore.

Le mie carte erano finite, e non sapevo più come allontanarlo. L'unica arma che mi era rimasta era la mia lingua biforcuta e sapevo che l'avrei ferito duramente, ma non avevo scelta.

«Per me quel bacio non ha significato niente. Adam, apri gli occhi, io voglio solo divertirmi, e se non fosse stato per Rose, a quest'ora tuo fratello sarebbe già stato nella lista delle mie conquiste.»

Mi guardò per qualche istante corrucciato, quasi arrabbiato, come sapeva già che stessi mentendo. Ma le mie parole erano state davvero un colpo per lui e così i suoi occhi lasciarono spazio alla delusione. Le lacrime cominciarono a salire e per non tradirmi iniziai a correrei il più veloce possibile, lasciando Adam da solo, immobile in mezzo al verde.

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