Ogni giorno nella mia cella continuavo a pensare a lei. Ero arrabbiato per quello che aveva fatto, ma ancora di più triste perché da lei non me lo sarei mai aspettato. E mi sentivo anche stupido, perché avrei dovuto dare retta agli altri quando mi dicevano che lei costituiva un pericolo. Mi ero fatto prendere in giro, non ci potevo credere. Appoggiai la testa al muro dietro le mie spalle. Come se non fosse già abbastanza avere una delusione così grande, anche il posto in cui mi avevavo messo faceva schifo. Oltre al muro, gli altri lati della mia cella avevano delle sbarre e riuscivo a vedere prigionieri alla mia destra e alla mia sinistra. Erano vestiti di arancione come me, e io odiavo quel colore. Preferivo il nero, il nero era il mio colore, la società era il mio posto, non il carcere. A poche celle di distanza riuscivo a vedere Luke, se ne stava sempre in silenzio, a testa bassa, nonostante il suo compagno di cella gli parlasse continuamente, ma io sapevo che era inutile disturbarlo, sapevo cosa stava facendo, ragionava sul comportamento di Quinn e si chiedeva come aveva fatto a non capire prima le sue intenzioni, probabilmente si sentiva anche in colpa, perché se l'avesse capite, ora la società non sarebbe per sempre distrutta.
-Hey tu.
Mi disse il prigioniero alla mia sinistra. Continuavo a ignorarlo di proposito perché l'avevo sentito fare delle battutine su di me precedentemente. Era sicuramente più grande di me, ma non fisicamente, solo di età.
-Mi chiedo come mai sei in un carcere per adulti, sei praticamente un bambino.
Il suo compagno di cella rise, ma io, senza neanche girarmi, lo ignorai. Tanto presto sarei uscito di lì. Paul aveva un piano e io sapevo che sarebbe andato tutto bene. Volevo uscire da quel posto solo per riavere la mia privacy e per tornare a occuparmi della società, anche se ormai sarebbe stato più difficile, di certo non sarei voluto tornare da Quinn.
-Dicono che tu sia un assassino, è vero?
Chiese il prigioniero alla mia destra. Non risposi.
-A me hanno detto che hai ucciso più di venti persone.
Disse il prigioniero nella cella difronte, sapevo che avrebbero voluto delle risposte, ma a me non interessava, non dovevo tener conto di nessuno.
-Io sapevo che è era il discendente di Hitler, è vero?
Disse un altro, ma perché continuavano a prlare di me? Forse perché ero il nuovo arrivato?
-Ma che dici? Al massimo può aver rubato una bottiglietta d'acqua nel supermercato, è un bambino.
Quel ragazzo di prima continuava a rompere, io non lo sopportavo più. Non ci pensai due volte, dovevo fargli capire che non ero un bambino, ero il capo di una società, diamine. Doveva avere rispetto con me. Mi alzai di colpo e velocemente raggiunsi le sbarre, allungai una mano verso l'altra cella e lo afferrai per il collo tirandolo verso di me e facendolo sbattere con la testa contro le sbarre della cella. Lui gridò, ma io lo continuai a tenerlo forte contro le sbarre, finché le mani non iniziarono a farmi male. Riuscivo solo a pensare a tutta la rabbia che avevo e sentivo di dovermela prendere con qualcuno, non mi interessava chi. Speravo che quello gli bastasse di lezione. Io non ero un bambino, la gente doveva capirlo. Io ero più forte di lui, più influente e soprattutto più conosciuto. Improvvisamente sentii qualcuno tenermi per le spalle e tirarmi, continuai a tenere forte il collo della mia vittima e lui cominciò a tossire, ma alla fine fui costretto a lasciare la presa, quando, sempre la stessa persona di prima, mi tirò via dalle sbarre contro la mia volontà, mi voltai. Era una guardia che, dopo l'urlo dell'altro ragazzo, era accorsa.
-Che è successo?
Mi disse, o più che altro mi urlò contro.
-Se l'è meritato.
Dissi, puntando un dito contro il ragazzo che tossiva ancora a terra.
-Non penso proprio.
Disse la guardia colpendomi sul fianco, la sua forza riuscì a farmi indietreggiare, ma non caddi. Rimasi a fissarlo, non mi aspettavo che potesse capirmi. Rimasi in silenzio, con la bocca serrata, per paura che ne potesse fuoriuscire qualche insulto e non volevo sembrare immaturo difronte a tutti quei prigionieri che guardavano la scena divertititi.
-Sarai considerato pericoloso da adesso in poi.
Mi puntò un dito contro, e stava in attesa, come se fosse pronto a difendersi non appena io avessi attaccato, ma io non avevo intenzione di combattere con uno come lui. E poi sarebbe stato sleale, era armato e io no e sapevo che non avrebbe combattuto come un uomo, alla prima difficoltà mi avrebbe puntato contro le armi.
Rimanemmo in silenzio per un po'. Alla fine lui uscì dalla mia cella, la richiuse per bene e dopo si avviò lontano per il corridoio. Mi sedetti sul misero letto che c'era in cella e lanciai uno sguardo a quella che era stata la mia vittima, il prigioniero nella cella accanto a me. Mi guardava e si massaggiava il collo, come se stese tramando qualcosa.
Posai gli occhi nell'angolo più a destra della mia cella, il mio compagno non aveva detto nulla tutto il tempo, non aveva neanche provato a fermarmi, era stato fermo e basta.
-Non dici niente?
Lo esortai. Lui rimase immobile, dopo un po' alzò la testa verso di me, aveva 21 anni ed era uno dei membri più giovani della mia società, io neanche lo conoscevo prima della prigione. In genere cercavo di conoscere tutti i dipendenti delle mie società, ma i nuovi spesso mi sfuggivano e lui era uno di quelli.
-Allora?
Il ragazzo mi guardò.
-Ho paura.
Disse.
-Non devi.
Dissi. Lui però non sembrava volermi ascoltare, c'erano delle telecamere in quel posto e non potevo spiegargli di più, ma Paul mi aveva assicurato che saremmo fuggiti da lì, aveva un piano. Il mio amico Paul aveva sempre avuto un piano, e , nonostante Quinn avesse ucciso il suo ragazzo, Peter, lui era disposto ad aiutarmi, per il bene della società.
-Non devi.
Ripetei più convinto, il mio compagno mi fissò e annuì. Forse aveva capito che avevo un piano.
-Devi perdonarla.
Disse dopo un po'. Capii subito a chi si riferiva, ma in un certo senso non mi piaceva che i miei dipendenti mi dessero consigli su una cosa così personale.
-Lei non voleva farti del male.
Continuò.
-Tu non la conosci.
Scossi la testa, Ma in realtà mi resi conto che non la conoscevo neanche io, lei mi aveva tradito, ma io non avevo mai dubitato di lei prima.
-Una volta mio fratello l'ha fatta inciampare in un corridoio e lei lo ha perdonato. Io credevo che l'avrebbe ucciso o peggio, che te l'avrebbe portato.
Non sapevo se sentirmi innervosito o felice.
-Tu credevi che io l'avrei ucciso solo perché l'ha fatta inciampare?
Chiesi.
-Sì.
Disse convinto. Era assurdo, certo, ero stato spietato in passato, ma uccidere qualcuno per una cosa del genere era impensabile, non l'aveva mica fatto di proposito.
-Voi soci avete così tanta paura di me?
Chiesi.
-Sì, ma non è solo paura, anche rispetto e ammirazione. Vivevamo bene nella società.
Disse, alzando le spalle, ma non era finita qui. Io avrei liberato i miei soci, ne saremmo usciti sani e salvi e avremmo ripreso a vivere tutti insieme.Tutti insieme, ma senza Quinn. Perché avrei dovuto darle una seconda occasione? Io non davo mai una seconda occasione a nessuno. Immaginai la mia vita senza Quinn, sarebbe stata uguale al periodo in cui non la conoscevo ancora, non era tanto terribile. Nel momento in cui lo pensai sentii un terribile vuoto dentro. Mi mancava tantisimo e tutto dentro di me, mi diceva di non ascoltare il mio stupido cervello e perdonarla, non per farla stare meglio, non per farle passare i sensi di colpa, ma perché io avevo bisogno di lei.
-Senti, perché dici che dovrei perdonarla?
Chiesi, lui mi guardò dritto negli occhi.
-Non vi ho mai visti insieme, ma conosco le vostre storie, voi dovreste stare insieme. Quella ragazza ti ha fatto cambiare radicalmente, quindi immagino che sia davvero importante per te. Tutti meritano una seconda possibilità. L'ho vista quando l'FBI ci ha raggiunti,era sconvolta mentre parlava con i genitori, non voleva che fosse accaduto, ti voleva salvare, non consegnarti a quegli uomini.
Stava dicendo la verità?
-Ma...
Feci una pausa, dopo ripresi.
-Ma lei ha distrutto la mia vita, la mia società.
-Non l'ha fatto di proposito.
Ripensai a Quinn, era stata sconvolta quando l'FBI mi aveva catturato, si era messa a piangere. Forse era vero. Infondo io l'avevo sempre vista come forte e determinata, ma non era sempre stata nella società, vedere quella cavia che mi assomigliava tanto doveva averla sconvolta, per questo l'aveva liberata. Forse avevo semplicemente sopravvalutato le sue potenzialità, non dovevo incolparla. Se fossi stato nei suoi poanni forse avrei fatto lo stesso.
Non sapevo se era vero o no, ma volevo crederci, dovetti crederci. Quinn non mi aveva tradito di sua spontanea volontà, lei mi amava ancora e io dovevo perdonarla.
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R.E.C.O.V.E.R.Y
FanfictionDopo aver conosciuto la storia attraverso gli occhi di Quinn con These Four walls e Madhouse, tutto sarà raccontato dal punto di vista di Justin. Verrà svelato come tutto ebbe inizio, i sentimenti contrastanti che provò lui quando incontrò la ragazz...