CAPITOLO 10

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Il ragazzo incappucciato camminava per le fredde strade desolate tenendo le mani nelle grandi tasche della felpa grigio fumo che portava, sentendo l'euforia scorrergli sempre più veloce nelle vene passo dopo passo.
Niente e nessuno sarebbe riuscito in quel momento a cancellare dal suo volto il ghigno malvagio che vi era dipinto impeccabilmente sotto l'ombra del cappuccio, che gli nascondeva il viso.
Camminava lentamente godendosi a pieno quei pochi minuti che lo separavano dalla sua meta.
Si guardava intorno notando che, nonostante in quei mesi lontano da casa lui fosse cambiato molto, la città dalla quale era scappato era rimasta immutata e per la prima volta pensò a quanto fosse insignificante la sua vita, a quanto la sua presenza fosse così di poco conto nelle vite altrui e si sentì una nullità.

Ripensò al ragazzo che era stato fino a qualche anno fa, al ragazzo che faceva di tutto pur di aiutare le persone che amava, al ragazzo che viveva di sogni, al ragazzo sempre sorridente e positivo, al ragazzo che amava la compagnia, al ragazzo che riusciva ancora a vivere.
E poi pensò al ragazzo che era diventato, al ragazzo che aveva abbandonato senza rimorso le persone che amava, al ragazzo che distruggeva i sogni altrui, al ragazzo dai ghigni malvagi e dagli sguardi freddi, al ragazzo che amava la solitudine, al ragazzo che dentro era morto.
Era diventato un corpo senza anima, senza sentimenti e più si avvicinava alla sua meta, più comprendeva che non provava nemmeno un briciolo di compassione verso Jennifer, pur sapendo ciò che stava subendo quella ragazza. Se la stava cercando di sicuro non lo stava facendo per vedere come stesse o per aiutarla, ma lo stava facendo per distruggerla nuovamente.

Aguzzò la vista e, quando adocchiò alla fine della strada una casa simile alle altre che la circondavano ma di un azzurro cielo, accennò una piccola risata. Era arrivato alla sua meta.
Percorse quei pochi e ultimi metri lasciandosi scappare di tanto in tanto qualche piccola risata amara, ripensando a quanto dolore avesse provato dentro quelle mura da bambino. Dolore provocato dalla donna che Jennifer amava, dalla donna che tutti credevano diversa, dalla donna che lo aveva spinto a cambiare, a scappare e soprattutto dalla donna che gli aveva lasciato una piccola ma pur sempre dolorosa cicatrice sotto la scapola destra. Ma nessuno a parte lui sapeva la verità e forse era meglio così.
Pensò che dopotutto lui non aveva niente contro Jennifer, ma non capiva come potesse quella ragazza non capire che razza di mostro fosse davvero la sua amata nonna. Ed era quello il motivo, seppure strano, per cui non provava compassione per la ragazza.

Arrivato davanti la porta di casa, scosse la testa per scacciare via tutti i pensieri che gli stavano popolando la testa e alzò lentamente un pugno battendo poi più volte le nocche contro il legno scuro e spesso. Aspettò qualche istante e il suo cuore iniziò a battere leggermente più veloce quando sentì dall'altra parte della porta dei passi veloci e poi qualcuno armeggiare con la serratura, che scattò permettendo a quel qualcuno di aprire la porta dall'interno. I suoi battiti si facevano sempre più irregolari man mano che la porta si apriva e poi sembrarono cessare del tutto nell'esatto istante in cui la porta si aprì rivelando la figura di una donna, che si portò una mano sul cuore quando il ragazzo si tolse il cappuccio rivelando la sua identità sorridendole.

Nel frattempo Jennifer aveva gentilmente chiesto alla sorella di Calum e a Michael di uscire dalla stanza del suo migliore amico, cosicché potesse parlargli in privato e i due accettarono senza ribattere. Quando la porta si chiuse dietro i due ragazzi che lasciavano la stanza, Jennifer si sedette sulla sedia vicino il lettino di Calum e iniziò ad osservarlo, cercando di capire in che stato si trovasse. Calum, sentendo su di lui lo sguardo insistente della ragazza, si girò a guardarla sorridendo.
-Mi fissi come se potessi sparire da un momento all'altro- le disse il ragazzo facendo incontrare i loro occhi dello stesso colore.
Jennifer si alzò dalla sedia e si avvicinò alla piccola finestra che c'era alle sue spalle, iniziando a guardare fuori da essi senza concentrarsi su qualcosa in particolare.
-Beh- gli disse poi senza staccare lo sguardo dalla finestra -c'è stato un momento in cui avevo seriamente pensato di non rivederti mai più- e le ultime parole della ragazza vagarono per la stanza, lasciando spazio ad un silenzio straziante.
Calum fissava la schiena rigida della ragazza, rimproverandosi per quanto fosse stato stupido a fare qualcosa del genere senza prima pensare alle conseguenze, senza prima pensare che avrebbe potuto ferire le persone che amava.
Il suo istinto gli diceva di alzarsi e abbracciare da dietro la ragazza fin quando la sua schiena non si fosse rilassata contro il suo petto, come aveva sempre fatto, ma questa volta non poteva. Era costretto a restare sul letto e guardare impotente la ragazza spezzarsi davanti i suoi occhi.

La ragazza prese un profondo respiro e poi lentamente si rigirò verso Calum, che la guardava con occhi lucidi.
-Non so a cosa pensare- ammise la ragazza dopo qualche istante distogliendo lo sguardo dagli occhi di lui e fissandolo sul pavimento.
Il ragazzo deglutì e si sistemò meglio sullo spesso materasso.
-Devi stare tranquilla Jen- le disse poi con voce bassa -ti dirò tutto e mi farò perdonare, perché so che in questo momento mi stai odiando- e finì la frase con un triste sorriso che Jennifer non potè vedere, visto che continuava a tenere lo sguardo sul pavimento.
-Ero appena uscito da casa di tua nonna quando iniziai a pensare che tu non potevi più vivere così- iniziò a raccontare il ragazzo con voce tremante senza aspettare che Jennifer gli rispondesse -mi feci coraggio e decisi di andare a parlare con Luke, così senza pensarci due volte mi incamminai verso l'officina dove lavora. Una volta arrivato non c'era nessuno o meglio, nessuno a parte lui. Era seduto su uno scatolone con il cellulare in mano e quando mi vide avvicinarmi a lui mi sorrise.- dei piccoli brividi attraversarono i corpi dei due ragazzi a quelle parole -mi chiese cosa volessi da lui e io gli risposi che tutto ciò che volevo era che ti lasciasse in pace e sai che fece lui? Iniziò a ridere come un pazzo- disse quasi urlando -rideva senza mai fermarsi e poi si alzò avvicinandosi a me e afferrando qualcosa dal piano di lavoro. Io indietreggiai, ma non volevo scappare. Dovevo farcela per te, Jen- le disse facendo incontrare nuovamente i loro occhi -Ma mi prese alla sprovvista. Non avrei mai immaginato che quel qualcosa che aveva afferrato fosse proprio un coltello e non avrei nemmeno mai immaginato quanto potesse essere veloce nei movimenti- accennò un sorriso amaro, pieno di odio e poi continuò -ed ecco che mi diede tre coltellate, fortunatamente non in organi vitali, ma abbastanza profonde da farmi perdere i sensi per ore- quando finì di parlare le sue guance, come quelle di Jennifer, erano rigate da lacrime.

La ragazza si avvicinò al letto e, stringendo la mano dell'amico, sussurrò un debole "mi dispiace" prima di allontanarsi dal lettino accennando un piccolo sorriso e uscendo velocemente dalla stanza, non potendo più sopportare tutto ciò. Era solo colpa sua se Calum era stato ferito.
Si incamminò per il corridoio, facendo finta di non vedere Michael appoggiato alla parete di fronte alla porta e ignorando i suoi richiami. Qualche istante dopo era già fuori dall'ospedale, diretta con gli occhi pieni di lacrime a casa di sua nonna, che ormai era come se fosse anche casa sua.
Percorse la strada velocemente, cercando di non pensare a Calum anche se le era impossibile.
Per colpa sua molte altre vite si stavano distruggendo e lei non riusciva ad accettare ciò.

L'ospedale distava molto da casa di sua nonna così, quando vide un taxi poco lontano, non ci pensò due volte a dirigersi verso di esso e a parlare con il conducente.

Circa quarantacinque minuti dopo il taxi si fermò davanti una casa azzurra e Jennifer scese lasciando la mancia al conducente, che si allontanò con la vettura una volta aver augurato una buona giornata alla ragazza.
Jennifer si avvicinò alla porta della casa e, dopo aver bussato, aspettò che sua nonna la facesse entrare.
La donna non perse tempo ad aprire la porta e, quando la ragazza vide sul viso di sua nonna un'espressione strana che non riuscì a decifrare, entrò immediatamente dentro chiudendosi la porta alle spalle.
-Qualcosa non va?- chiese poi titubante guardando la donna che deglutiva con difficoltà.
-Hai visite- le disse la donna cercando di non far scontrare i loro sguardi -ti aspetta qualcuno in camera- e detto ciò si allontanò velocemente, chiudendosi in cucina.
Jennifer era confusa e sorpresa allo stesso momento e si chiedeva chi mai potesse aspettarla nella sua camera.
Salì le scale con il cuore in gola, avendo un brutto presentimento ricordando l'espressione quasi di paura della donna, e si avvicinò alla porta chiusa della camera.
Appoggiò il palmo sudato sulla maniglia e aprì lentamente la porta, sentendosi morire quando, una volta spalancata, davanti a lei vi era l'unica persona che non si sarebbe mai aspettata di trovare e, presa dalla paura, l'unica parola che riuscì a pronunciare fu un piccolo ma terribile nome. "Noel".

||EIII||
Ciao bellezze e scusate l'attesa, ma come vi ho detto sono stata ad un campeggio.
Allora innanzitutto scusate per eventuali errori ma è tardi e sto morendo di sonno, quindi rileggerò il capitolo quando mi sveglierò haha

So che questo capitolo non ha molto senso e non succede niente di emozionante, ma è un capitolo di passaggio, quindi sorry se vi aspettavate qualcosa di meglio. Rido.

Intanto grazie per le 2,06k letture, VI AMO, GIURO e se vi piace questo capitolo VOTATE E COMMENTATE E CONDIVIDETE ANCHE LA STORIA.

Su twitter ho cambiato nick e adesso sono @bringmetherhcp e sentitevi liberi di scrivermi ogni volta che volete, a me fa solo piacere.
Ora vado che è tardi, notte :)



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