Prologo

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Era una notte nera,

e della stessa oscurità vestiva l'uomo, in piedi tra le dorate dune del deserto, nervosamente in attesa.

Di tanto in tanto si guardava intorno, arrotolando tra le dita il lungo e sottile pizzetto che gli pendeva dal mento, a volte, invece, consultava sovrappensiero il rosso e grassoccio pappagallo che poltriva sulla sua spalla destra.

«Dove sarà?», chiedeva voltando lo sguardo a destra e a sinistra e poi ancora e viceversa, sempre molto lentamente, nascondendo un'angoscia profonda che si nutriva di lui da parecchie ore oramai.

Nella tasca sinistra del lungo mantello sentiva l'incompleto oggetto metallico bruciare come una stella nascente e pesare come un macigno, nonostante le minuscole dimensioni.

Finalmente, da lontano, notò un'ombra aggirarsi tra le dune baciate dai raggi di luna, e sentì il pappagallo gracchiare fastidiosamente sulla sua spalla, annunciando poi un rumore più forte, quello degli zoccoli di un cavallo lungo il cammino, ed infine l'arrivo di Gazeem: quest'ultimo era un uomo basso e tozzo, dalla folta capigliatura nera e dalla barba incolta.

Aveva gli occhi piccoli e scuri e la faccia assomigliava a quella di una rozza belva selvatica.

«Sei in ritardo, Gazeem!», esclamò l'uomo con un suono simile ad un ringhio contenuto.

Sapeva perfettamente che urtare il ladro non sarebbe servito ad altro che contrariarlo anche se, lo sapeva benissimo, aveva molti modi per convincerlo a dargli esattamente ciò che desiderava.

Infondo era per questo che Gazeem si trovava lì, proprio di fronte a lui, un sorriso beffardo tra le labbra secche, la mano che tamburellava ansiosamente contro la tasca malmessa degli stracci che utilizzava come abiti.

Tra i due si era creato un silenzio pieno di aspettative: l'oscuro signore attendeva con ansia di avere tra le mani il suo tesoro e il ladro aspettava pazientemente di ricevere la sua meritata paga.

Il grassoccio pappagallo gracchiò come un corvo, portatore di sventure, distogliendo entrambi dal pensiero, già incombente, di ciò che avrebbero fatto una volta detti i saluti.

«Allora, hai trovato ciò che ho chiesto?», domandò il primo, smettendo di torturarsi il pizzetto, tornando immediatamente serio e fulminando con lo sguardo il vecchio ladro.

Questo rise con gusto, continuando a picchiettare le dita nere di sporcizia contro la tasca.

«Avanti allora!», esclamò il compratore, facendosi avanti ed azzerando quasi la distanza tra di loro, «Cosa aspetti, ladro? Rendimi ciò per cui sei stato richiesto!».

Gazeem infilò una mano nella tasca e ne tirò fuori, con aria soddisfatta, un minuscolo oggetto d'oro simile ad un amuleto dimezzato: aveva l'aspetto di uno scarabeo, le sottili zampette riverse all'esterno, ogni singolo dettaglio descritto con cura dall'orefice dalla quale era stato prodotto.

Gli occhi dell'uomo si illuminarono alla vista dell'oggetto e subito protese in avanti le dita per afferrarlo ma Gazeem, scaltramente, si tirò indietro, facendo di no con il dito indice, il sorriso sempre più beffardo stampato sulle labbra.

«Ah-Ah, la mia parte del tesoro, prima», disse a voce alta, gli occhi scuri fissi in quelli del suo compratore. Stava giocando con lui, così come faceva il gatto col topo: si divertiva a vedere un uomo tanto potente ridotto in quello stato e per questo avrebbe continuato a stuzzicarlo fin quando i soldi non sarebbero scivolati nelle sue tasche.

Il compratore ringhiò e, come se gli fosse stato ordinato, il pappagallo volò giù dalla sua spalla, aprendo e sbattendo le lunghe ali e affilando gli artigli, buttandosi come un rapace sulla sua preda: afferrò con le zampe l'amuleto per poi tornare indietro e lasciarlo nella mano aperta del padrone.

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