• Chapter 1 •

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Fin da quando la storia si tramanda per iscritto, in questo mondo sono nati, più o meno, 110 miliardi di esseri umani, e neanche uno si è salvato.
Ci sono 6,8 miliardi di persone sulla terra, e di questi, ne muoiono 60 milioni all'anno. Facendo i calcoli, ci sono circa 160 mila morti al giorno. 6600 l'ora, 110 al minuto.
Mi ricordo una frase che lessi da bambino: Viviamo da soli. Moriamo da soli. Tutto il resto è soltanto un'illusione.
Non ci dormivo la notte.
Moriamo tutti da soli.
Quindi perché dovrei passare la mia vita a lavorare, sudare e affannarmi?
Per un'illusione?
Perché non ci sono amici, ragazzi, esercizi per imparare a coniugare i verbi o determinare la radice quadrata dell'ipotenusa, che mi faranno scampare al mio destino. Ho modi migliori per impiegare il tempo.

Entrai in classe e mi sedetti in uno dei banchi che erano situati in fondo all'aula.
Non era mai capitato che qualcuno ci si sedesse, fortunatamente.
Adoravo stare in quel posto. I professori non ti disturbavano più di tanto. Erano molto più propensi a chiamare le persone davanti a loro che quelle in fondo.
Sedermi in prima fila era proprio fuori questione. Quello era un posto destinato ad i secchioni e, sicuramente non sarei stato di certo io, a rubargli il privilegio.
Mentre la professoressa ritirava i compiti, io stavo tranquillamente scarabocchiando sul mio libro, ma venni interrotto dalla sua voce.
«Hai fatto i compiti Michael?» mi domandò la donna, posizionandosi davanti a me con uno sguardo serio sul suo volto.
«No» risposi immediatamente, girandomi a guardarla.
«Perché no?» insistette lei.
«Ero... depresso» dissi, facendo scatenare qualche risata.
«Ah sì? E come mai?»
«Perché... mi sono reso conto che un giorno morirò» spiegai, iniziando a giocare con la penna che avevo tra le mani.
«Tutti moriremo un giorno Michael» ribatté la signora Grimes «Non mi sembra una valida giustificazione per non aver eseguito gli esercizi di trigonometria di oggi»
«Veramente io volevo farli» affermai abbassando gli occhi sul libro, per poi rialzarli dopo pochi secondi «Ma... mi bloccava la consapevolezza della mia mortalità. E quindi mi sembrava tutto senza senso. Compresi i compiti per casa purtroppo»
Partì una risata generale, cosa che, infastidì ancora di più la professoressa.
«Allora, adesso andrai nell'ufficio del preside e ti sforzerai di trovare il senso dei compiti per casa. E voglio gli esercizi risolti entro la fine del semestre»
Misi il libro e l'astuccio al loro posto, presi lo zaino e mi infilai il cappotto.
Decisi di non andare subito dal preside ma di salire all'ultimo piano. Sul tetto c'era una terrazza da cui si poteva vedere gran parte della città. Quando ero a scuola mi piaceva andarci. Mi metteva molta tranquillità quel posto.
Rimasi per qualche minuto a guardare le macchine che passavano per strada e le persone che camminavano.
Poi, mi voltai, ritrovando Luke Hemmings girato verso di me.
Lo conoscevo? Certo che sì. Ragazzo popolare, abbastanza ricco. Aveva tutto B, tranne due o tre C. Ex fidanzato di uno dei giocatori di basket più conosciuti della scuola.
Mi scrutava con i suoi occhi azzurri. Aveva il suo solito beanie grigio in testa e tra le labbra una sigaretta.
«Chi è che sta fumando?» chiese la signora Dougherty apparendo improvvisamente dalla porta che dava sulle scale. Luke buttò immediatamente la sigaretta di sotto ed io ne presi una, mettendomela in bocca. Non ero un gran fumatore, però mi piaceva girare con un pacchetto in tasca.
Mi capitava di fumarne qualcuna soltanto ogni tanto.
«Ma sei sempre tu. Perché fai così?» domandò la professoressa.
Era una supplente. L'avevo avuta qualche volta. Insegnava inglese, credo.
«Scusi io... ho avuto una giornata complessa» risposi togliendomi la sigaretta dalla bocca. «Purtroppo lo stress accumulato ha piegato la mia volontà» spiegai alzando le spalle.
«Michael perché ti comporti così?» mi chiese mentre mi levava la sigaretta dalle mani.
Intanto che io distraevo la signora Dougherty Luke ne approfittò per scappare.
«Grazie» sussurrò sorridendo prima di aprire la porta e fiondarsi giù per le scale.
«Senti» disse appoggiandomi una mano sulla spalla «Perché noi due non parliamo un po'?»

Dopo un quarto d'ora riuscii a togliermela di torno. Scesi le scale e camminai per i corridoi della scuola fino ad arrivare in vicepresidenza.
«Ancora in ritardo?» mi domandò Victoria, la segretaria del preside.
«Ero immerso nello studio. Non ho visto l'ora» dissi alzando le mani in aria in segno di difesa.
«Non vorrei essere al tuo posto adesso»
«E che ho fatto di male, scusa?» domandai, passandomi una mano nei capelli neri.
«Tu non fai mai niente, vero?»
Il preside bussò contro il vetro, attirando la mia attenzione, e mi indicò con il dito il suo ufficio.
«Ti conviene sbrigarti»
Entrai e mi sfilai lo zaino, sedendomi poi in una delle due sedie rosse che erano poste davanti alla scrivania.
«Mi dica» annunciai, aspettandomi una ramanzina.
«Anche se sei in quinta e puoi godere del privilegio di uscire da scuola durante le pause, se lo fai per andare a sfumacchiare, perdi il privilegio e dobbiamo avvisare i genitori» disse, mentre si avvicinava alla scrivania, facendo strisciare le rotelle della sedia sul pavimento.
«E per quale motivo?» domandai alzando le sopracciglia.
«L'odore di fumo arriva fino a qui» precisò.
«Ma quale odore di fumo? Forza, veniamo al dunque»
Il signor Martinson rise e si tolse gli occhiali.
«Certo, subito. In un certo senso il tuo futuro dipende dai prossimi mesi. E non parlo solo dell'università, ma diciamo che si decideranno le sorti della tua vita.
So come la pensi: che è troppo tardi e che per un fatalista come te è meglio mandare tutto al diavolo. Ma Michael, se continui a comportarti così, non dici addio solo alla laurea ma anche al diploma liceale. Quindi, dopo il primo avvertimento ufficiale, scatta la sospensione» mi informò mentre firmava qualche scartoffia.
«Non doveva avvertire i genitori prima?» chiesi, non capendo perché stesse dicendo tutto questo a me.
«Non fare questi giochetti Michael.
Non funzionano. Tanto meno le battute» mi disse, levando lo sguardo dai fogli.
«Non era una battuta» ribattei guardandolo negli occhi.
«Tu puoi fare molto di più»
«Ho un problema motivazionale. Gravissimo. Ma... cercherò di farcela. Ci provo almeno» tentai di dire sembrando il più sincero possibile.
«D'accordo vai» disse prima di lasciarmi andare «E non farmene pentire»

Quando arrivai a casa aprii la porta, buttai lo zaino e il cappotto sopra il letto ed andai in cucina, prendendo dalla credenza la mia tazza rossa.
«Ciao» mi salutò mia madre entrando in casa.
«Ciao» risposi, versando i cereali nella tazza.
«Ho ricevuto un e-mail dalla tua scuola» mi confidò lei con tono preoccupato.
«Oh merda» sussurrai aprendo il frigo per prendere il latte.
«Dicono che hai seri problemi motivazionali. Come posso aiutarti?
Se vuoi posso pagarti delle ripetizioni.
Non lo so... farti studiare con qualcuno.
Se tu non fai di tutto per entrare in una buona università che farai Michael? Non so proprio come riuscirai a trovare un lavoro decente» mi informò mia madre, scuotendo la testa.
«È tutto sotto controllo» risposi rimettendo il latte in frigo.
«Tesoro, se non riesci ad entrare in una buona università-»
«Guardo un po' di televisione, eh?» domandai cercando di farle concludere il discorso al più presto. Pochi minuti e ne avevo già abbastanza.
«No!» mi fermò lei «Tu non guardi proprio niente! Adesso resti qui e cerchiamo di ragionare un modo insieme per farti andare all'università!»
«Ho avuto una giornata pesante a scuola. Sono stanco e voglio rilassarmi, va bene?» dissi alzando leggermente la voce. «Poi mi metterò a studiare, va bene?»
Detto questo, mi girai e mi diressi in camera mia. Chiudendo la porta e sedendomi sul letto.
Non avevo proprio la benché minima voglia di sentire uno dei suoi soliti discorsi.

The Art of Getting By| MukeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora