Michael's POV
Stavo guardando fuori dalla finestra quando la signorina Herman si avvicinò a me mettendomi una mano sulla spalla.
«Michael, finalmente leggerò la tua tesina su Hardy. L'hai portata?»
«Oh, mi scusi non l'ho fatta»
«Michael era l'ultimo compito dell'anno. Dopodiché restano solo gli esami. Mi dici come faccio a valutarti?»
«Gliela consegno tra una settimana» le dissi guardandola. «Promesso»
«Siamo fuori tempo massimo»*
«Ciao come va?» chiesi a Victoria. Lei mi guardò solamente e mi fece un piccolissimo sorriso.
Entrai nell'ufficio del preside Martinson e mi sedetti sul divano che c'era nella stanza.
«Questa riunione l'ho convocata perché gli insegnanti mi hanno detto che continui a rifiutarti di studiare e fare i compiti. Non hai messo il minimo impegno per ottenere dei risultati»
«Si invece... cioè, io ci ho provato all'inizio ma non... ce l'ho fatta» risposi, abbassando lo sguardo sulle mie mani.
«Beh, ormai non c'è più tempo.
Il momento di decidere il tuo futuro è arrivato. Nonostante, la disapprovazione di alcuni dei presenti, io ti concedo due possibilità. La prima, è l'espulsione, dipende solo da te. La seconda opzione, è che se vuoi il diploma, dovrai svolgere tutti i compiti che ti sono stati assegnati, tutte le tesine, gli esercizi. Praticamente un anno intero di compiti che non hai mai fatto. Se il giorno della consegna dei diplomi ne dovesse mancare anche uno solo... niente diploma. Hai poco più di tre settimane»
«Michael, tra i professori io ero l'unica che credeva che avessi delle potenzialità. Ma non hai mai svolto i compiti assegnati. Non ho mai perso tempo arrabbiandomi con te tantomeno non lo farò adesso difendendoti» mi disse la professoressa Herman.
Che diavolo avevo combinato?
Guardai verso Harris ma abbassò lo sguardo, facendomi sentire ancora peggio.
Ero sul punto di piangere. Sentivo le lacrime che lottavano per uscire dai miei occhi verdi. Mi ero rovinato con le mie stesse mani.
«A parte la mancanza di rispetto nei nostri confronti, Michael, ti vorrei ricordare che noi facciamo questo lavoro con molta dedizione da una vita intera. Ci sono degli obblighi qui e tu non vuoi accettarli. Perché dovremmo premiare questo comportamento?» aggiunse la signora Grimes.
«Ha ragione» risposi, passandomi le mani sugli occhi «Non dovete premiarlo... Sinceramente, non so che dire... Forse mi merito l'espulsione»
«Pensaci» mi disse il preside «Dacci una risposta lunedì»
«Va bene... d'accordo. Grazie»
Prima di andarmene mi fermai, per un'ultima domanda.
«Per caso... ha anche informato i miei genitori?»
«Si» mi rispose il signor Martinson «Li ho avvisati Michael»*
Quando tornai a casa mia madre stava piangendo e, seduto accanto lei, c'era Jack.
«Ciao, non so che cosa dire»
«È colpa mia» iniziò lei «Forse ho avuto troppi pensieri per la testa e-»
«No non è colpa tua» la interruppi immediatamente. «Non credo di farcela»
«In che senso scusa?» mi chiese alzando la testa. «Pensi di avere qualche altra possibilità?»
«Mamma non ci riuscirò mai!»
«Invece ce la farai e basta! Devi solo metterti lì concentrato e fare i tuoi compiti!»
«Mamma sto cercando di essere sincero»
«Non mi interessa!» disse lei alzandosi dalla sedia «Basta con le tue bugie Michael!»
«Ah bene pensi di risolvere il problema così?»
«Senti Michael» si intromise il mio patrigno «Sei stato tu a ficcarti in questa situazione disastrosa!»
«Tu sta zitto Jack! I miei problemi li risolvo io ti pensa hai tuoi!»
«Modera i toni» mi disse mia madre.
«Aspetta Vivi. Che cosa vuoi dire?» mi domandò alzandosi in piedi.
«Che potresti dire dove passi le tue giornate da un paio di mesi a questa parte! Che casini hai combinato? Ci staccano il telefono, ci staccano la corrente. Ci stanno portando via la casa pezzo a pezzo!»
«Michael smettila. Tu non capisci» cercò di difenderlo mia madre.
«Tu si? Lo sai che Jack se ne sta in giro tutto il giorno da settimane facendo finta di andare a lavoro? Hai risolto i tuoi problemi Jack? O inizierai a chiedere l'elemosina fuori dai bar come i barboni!»
In pochi secondi mi ritrovai a fare a botte con lui mentre mia madre ci urlava di smettere. Lo spinsi contro il muro e, vedendo che non si rialzava, corsi fuori casa.
Corsi per la città, passando per il parco, fino ad arrivare a casa di Luke.
«Luke, Luke!» urlai bussando alla porta.
«Michael, che succede? Ti senti male?»
Mi avvicinai e lo baciai. Per un attimo lui ricambiò, però poi mi spinse via.
«Che-che c'è che non va?» domandai confuso. «Che c'è?»
Luke aprì la porta e, quello che vidi non mi piacque per niente. C'era Dustin seduto su una delle poltrone con la madre di Luke.
Corsi fuori e cominciai a camminare.
Poteva andare peggio di così?
«Michael! Michael! Aspetta!» mi richiamò Dustin facendomi fermare. Mi voltai con le lacrime agli occhi.
«Voglio sapere come l'hai presa»
Come aveva potuto farmi questo?
«Guarda che è stata dura anche per me Michael! Te lo giuro! Ci ho pensato tanto»
«Avevi detto che lo lasciavi stare!»
«Ma non ti chiederò scusa, sai?»
Abbassai lo sguardo mettendomi a fissare il marciapiede. Non avevo voglia neanche di guardarlo negli occhi.
«Perché è meglio che stia con me.
Piuttosto che con un qualche idiota che incontra in giro e che... non ti lascerebbe più... neanche vederla»
«Vuoi che ti dica grazie?» gli chiesi sentendo le lacrime che scendevano sul mio viso.
«L-Luke mi è piaciuto subito! Non capita spesso, non mi succedeva da un casino di tempo. E... sono grande abbastanza da sapere che certe occasioni vanno prese al volo. Michael tu sei troppo piccolo»
Mi passai la manica del cappotto per asciugare le lacrime, per poi dire «Credevo che fossi uno forte. Ma sei uno stronzo come tutti!»
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The Art of Getting By| Muke
FanficMichael è un semplice diciottenne che vive a New York. Lui ritiene che, i compiti e l'impegno nello studio, siano solo delle perdite di tempo. Non immagina che, solo per una semplice sigaretta, la sua vita cambierà radicalmente. Dalla storia: «Prim...