• Chapter 2 •

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L'ora di arte. Si poteva anche dire che andassi a scuola soltanto per quello.
«Michael, ma che cazzo fai?» mi domandò il professor McErloy venendomi in contro.
«Lavoro» risposi ovvio.
«Trovato un soggetto? Piccola merda»
«Sì» dissi annuendo.
Si sporse verso il mio cavalletto per vedere che cosa stessi disegnando. Stavo scarabocchiando un disegno in cui c'era... lui. Qualcuno lo poteva ritenere anche un po' offensivo ma a me sembrava divertente.
«Non ce l'ho un soggetto Harris»
«Ma com'è possibile?» mi chiese stupito.
«Non lo so»
«Michael» disse mettendomi le mani tra i capelli «Devi cominciare a scavare nella tua testaccia, se vuoi realizzare il tuo talento. Solo se usi quel cervelletto bacato troverai un modo per esprimere quell'incasinato groviglio di emozioni» concluse, tirandomi un leggero pugno sulla spalla. «Quindi, pensa a quello che vuoi dire e dillo»
«Harris» lo richiamai, facendolo girare «Eh?»
«Io... non ho niente da dire»
«Trova qualcosa, cazzo!» affermò alzando la voce e attirando l'attenzione di tutti, che si girarono verso di noi.
Ormai ci ero abituato. Non mi dava neanche più fastidio.

Quella era l'ultima ora. Valeva a dire che il momento di andare via era arrivato.
Scesi le scale ed aprii la porta, uscendo fuori. Sopra il vetro c'erano attaccati dei fiocchi di neve. Natale si stava avvicinando.
Venni investito dal freddo e, mentre camminavo, a me si aggregò anche Luke.
«Ciao» mi disse, velocizzando il passo per riuscire a starmi dietro.
«Ciao» lo salutai facendo un piccolo sorriso.
«Io sono Luke» si presentò lui.
«Lo so» dissi infilandomi le mani in tasca.
«Grazie per avermi coperto»
«Ah, non c'è problema» risposi, sistemandomi il colletto del mio cappotto blu scuro.
«Perché l'hai fatto?» chiese curioso.
«Io... non lo so. Stavi facendo una cosa proibita, quindi ti serviva il mio aiuto.
Io infrango le regole così spesso che so gestire queste cose alla grande»
«Che tipo strano che sei» mi disse sorridendo, mentre tirava su le bretelle del suo zaino rosso.
«Perché non fai mai i compiti?»
Passammo davanti ad un campetto dove c'erano alcuni ragazzi che giocavano a basket. Faceva freddo. Perché stare fuori a gelarsi solo per giocare?
«Ho tante di quelle cose importanti a cui pensare, che studiare mi sembra una perdita di tempo» risposi sincero guardandolo negli occhi.
«Mmm... deficit di attenzione» tentò lui.
«No, no» lo bloccai io «Le hanno già provate tutte. Ritalin, Lexipron... Ripetizioni, terapie... La diagnosi è una sola. Sono uno scansafatiche cronico»
Luke scoppiò a ridere.
«Il fatto... è che viviamo in un periodo di morte, capisci? Il riscaldamento globale, le guerre, il terrorrismo... gli tsunami!»
«Okay» disse lui stranito, accennando ad una piccola risata.
«Ormai... non abbiamo più speranze! Quindi perché bisogna faticare? Non ha più senso»
«Anch'io ho delle paure. Ma sono molto più normali delle tue. Il dolore, la morte...»
«Oh, io no» risposi, tirando fuori le mani dalle tasche «Io ho paura della vita»
«Ce li hai degli amici Michael?» mi chiese mentre si passava una mano nei capelli biondi. Adesso non portava più la cresta come prima. Forse si era stufato...
«Sono un vero misantropo. Non è una scelta. È un dato di fatto»
Camminando camminando eravamo arrivati a casa sua. Sulle scale c'era sua madre che salutava un uomo affettuosamente.
«Mamma? Cavolo!» disse Luke, alzando gli occhi al cielo.
«Ciao fragolino!» urlò lei salutandolo.
Si coprì con la vestaglia che aveva addosso e tornò in casa.
«Ehm... vuoi entrare?»

La casa era decisamente molto più grande della mia. Ben arredata.
«Mi dispiace tanto paperino. Abbiamo fatto tardissimo» spiegò sua madre mentre beveva un sorso di vino «Siamo tornati prima che tu andassi a scuola»
Luke sospirò ed io sorrisi, divertito della situazione.
«Mamma, ti presento il mio nuovo amico Michael» disse lui, presentandomi.
«Ciao Michael» mi salutò avvicinandosi. «Piacere di conoscerti»
«Piacere mio» risposi guardandola.
«Luke dove sono finiti i calici?» domandò cominciando ad aprire tutti gli scompartimenti della credenza «È poco elegante bere vino da una tazza. Che ti bevi Michael?»

«Inizio a sentire qualcosa che mi sfiora la gamba, così lentamente guardo verso il basso, credendo di trovare una cimice d'acqua gigante o... un serpente d'acqua» disse, scoppiando a ridere «O qualcos'altro d'acqua che comunque dovevo uccidere. E invece era la mano del capitano!» finì, appoggiando una mano sulla mia coscia e facendomi versare addosso metà bicchiere di birra. Non ero abituato ad una persona che mi toccasse in quel modo.
«Soffre il solletico il tuo amichetto» scherzò, continuando a toccarmi. «Vado a prenderti un tovagliolo. Lo sai che, chi soffre il solletico è uno forte a letto? È tutto erogeno»
Detto questo, prese la bottiglia ed entrò in casa. Lasciando me e Luke seduti fuori in giardino, da soli. Era molto carino. C'erano le luci, come quelle che si usano per addobbare gli alberi di Natale, un po' sparse dappertutto.
«Mio dio... ma è fantastica!» commentai appoggiando la schiena sulla sedia.
«Se non sei suo figlio» rispose Luke infastidito.
«Come siete arrivati a New York?» domandai spostando più in là il bicchiere sul tavolo, altrimenti sarebbe caduto.
«Mia madre è rimasta incinta a 16 anni. Mio padre era un camionista e... un giorno se ne andò di casa e non tornò più» mi spiegò lui guardandomi.
«E... e dove eravate?» domandai curioso.
«A Clarcksburg. Una piccola cittadina del Tennessee» Io annuii, come se gli avessi dato l'okay per andare avanti. «E dopo un po' un riccone di New York che aveva un'industria tessile cominciò a venire a casa nostra. Era come... se noi fossimo naufraghe e lui la barca. Così mi ritrovai a New York! A 8 anni. Nuova scuola, nuovi amici, nuovi abiti alla moda... E poi un anno fa mia madre chiese il divorzio e, adesso, è tornata in pista più scatenata di prima»
Per un momento rimanemmo in silenzio, a guardarci negli occhi, sorridendo.
«Beh... si è fatto tardi» iniziò a dire «Devo mettermi a studiare»
«Allora me ne vado. Dovrei studiare un po' anch'io» risposi, alzandomi.
«Si si, lo immagino» disse con tono divertito.
«Grazie» gli dissi, accennando ad un sorriso «Ci vediamo»

Rientrato in casa provai ad accendere la luce, ma nessun interruttore sembrava funzionare. Mi diressi in sala, trovando i miei genitori che stavano cenando.
«In fondo, non è la prima coppia che si separa»
«Si, certo. Ma non pensi mai che capiti alle persone che conosci» disse mia madre.
«Bah, comunque sono stati insieme 15 anni»
«Lo so, ma dopo 15 anni–»
«Fate una seduta spiritica?» domandai vedendo le candele alla vaniglia sparse in giro e interrompendo il discorso che stavano facendo.
«Ciao tesoro» mi salutò lei. «Ti abbiamo preso qualcosa al take-away all'angolo» spiegò, indicando quello che aveva davanti.
«Prendi un piatto e siediti con noi» mi invitò mio padre.
«Che è successo? Non c'è corrente» chiesi, ignorando quello che mi avevano appena detto.
«È colpa mia» si giustificò la donna davanti a me «Ehm... non ho pagato la bolletta. Ma stai tranquillo. La riallacceranno domani» disse, mettendosi in bocca un pezzo di pollo.
Non dissi una parola. Sospirai solamente.
«Michael, stiamo cercando di trasformare questa strana serata in una bella esperienza. Se non hai spirito di avventura, allora vai di là a fare le tue cose. Nessuno ti obbliga a stare qui»
«Senza corrente non posso usare il computer, tantomeno fare i compiti» informai il mio patrigno, con tono scocciato. Forse non è a conoscenza che, ormai, senza elettricità non si può fare più niente.
«Puoi andare in biblioteca o in un internet caffè. Un po' di inventiva»
Certo, un po' di inventiva. Secondo lui alle 10 di sera, con il buio, sarei dovuto uscire. Sicuramente.
Mi girai e me ne andai in camera mia.
Avrei trovato qualcosa da fare, anche senza internet.

The Art of Getting By| MukeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora