Capitolo 1

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Ottobre, Sabato. Mi svegliai alle 9.30, piuttosto riposata. Andai in bagno, mi lavai la faccia, feci colazione con un bel caffellatte e controllai i miei impegni. Al mattino avevo le prove in teatro dei balletti di contemporaneo con le mie ragazze. Dopo essere tornata da Roma ero andata dalle mie maestre di danza e mi avevano proposto di insegnare qualche volta, e ovviamente di fare lezioni private con loro per migliorarmi sempre di più. E insomma, la settimana dopo avremmo avuto uno spettacolino da fare e dovevamo provare. Il pomeriggio invece, ce l'avevo libero e potevo starmene tranquilla a casa. Rispetto a tutti gli ottobri che ho vissuto, questo è senz'altro il più freddo e mi sembra sempre di stare a gennaio alle 4 di mattina. Andai in camera a vestirmi, misi una canotta grigia, un maglione rosso, un paio di jeans e un paio di stivali neri. Presi un paio di leggins e delle calze di scorta per ballare e misi il tutto nel mio famoso zaino. Lasciai i capelli sciolti sulle spalle e misi l'eye-liner. Presi le chiavi, il telefono, la giacca e uscii di casa. Accesi il motore della mia Vespa e partii in direzione del teatro. Napoli era avvolta da una fredda brina che mi sfiorava le mani. Essendo molto sveglia, avevo dimenticato i guanti per andare in moto. Quei pochi capelli che uscivano dal casco si muovevano velocemente per il vento e si gonfiavano per l'umidità. Arrivata in teatro, Valentina e Anna, le mie maestre di danza, mi accolsero abbracciandomi. Andai a cambiarmi nei camerini, salutai tutte le ragazze e insieme ci avviammo verso il palco. Dopo aver sistemato un paio di posizioni per lo spazio, partii il primo pezzo, "Dove è sempre sole" dei Modà. Questo spettacolo non aveva un tema preciso, erano giusto un paio di pezzi che avevamo preparato durante l'estate e che le ragazze volevano fare per Halloween, così glielo abbiamo concesso. Non era niente di che, ma comunque i nostri napoletani avevano sempre apprezzato i nostri spettacoli e riempivano sempre tutto il teatro. Era davvero una bella cosa questa. In alcuni pezzi avrei dovuto ballare anch'io, questo era uno di quelli. Ho sempre amato danzare, era sempre stata una cosa innata dentro di me. Mi piaceva tantissimo parlare senza la voce, esprimendomi solo con il corpo e gli occhi. Era uno dei miei milioni modi di sfogarmi, di non so nemmeno che cosa, ma dovevo sfogarmi quotidianamente. Finite le prove, andate molto bene devo dire, andammo fuori a pranzo tutte insieme facendoci un'enorme scorpacciata di patatine fritte, na' dieta da ballerine proprio. Tornai a casa stanchissima e con tutti i muscoli che mi tiravano. Mi stravaccai sul divano e mi feci un sonnellino di mezzoretta. Mi svegliai con un'improvvisa ispirazione, la classica ispirazione dell'artista diciamo. Mi misi al piano e cominciai a strimpellare melodie. Finii per cominciare a comporre una canzone. Mi capitava ogni tanto, scrivevo qualche brano da 3 minuti e li custodivo in un quaderno apposito, senza che nessuno li potesse vedere.
<<Way into my subconscious, and everything goes in slow-motion...>> canticchiai.
Amavo quelle giornate così tranquille dove me ne stavo per i fatti miei. Mi rilassavo, facevo quello che amavo di più e aspettavo il giorno dopo, per vedere cosa avrei avuto voglia di fare. Ero una scoperta anche per me stessa ogni giorno che passava. Non feci nient'altro che comporre tutto il pomeriggio e alla sera bevvi solo un cappuccino di mi addormentai.

Ecco cosa successe, che fu l'inizio di milioni di conseguenze come un domino, rendendomi pazzamente felice e tremendamente emozionata ogni santo giorno che seguì.
Erano le 4 del mattino. Fuori facevano 6 gradi al massimo. Mi sono svegliata, tranquillissima, e ho sentito il bisogno di correre. Non so il motivo, ho sempre pensato di essere pazza. Ma se c'era una cosa che mi avevano sempre insegnato era che dovevo sempre seguire il mio istinto, e così avevo fatto per tutta la vita. E così feci anche quella notte. Rimisi i vestiti del giorno prima, anche gli stivali col tacco alto nonostante volessi correre, giacca telefono e chiavi e scesi a prendere la Vespa. Volevo correre su una grande strada, in quel momento mi era venuta in mente una. Una specie di super strada, che ti conduceva sulle strade per le città vicine. Lì, ai confini di Napoli, c'era un piccolo laghetto con una piattaforma carina per le barchette. Niente di che, ma molto carino e ci volevo andare.
Guidai fino alla periferia e lasciai lì la moto. Cominciai a correre nonostante i tacchi, lasciandomi tutto alle spalle. Non c'era nessuno, e penso che la temperatura si fosse abbassata ancora di più. E lì successe una cosa assurda. Ero sulla curva che stava per dare sul laghetto dove davanti c'era una panchina di legno. Attaccata al palo c'era una foto di una ragazza bellissima, con i capelli marroni e gli occhi anche, con dei fiori anche molto freschi attaccati. Probabilmente era morta proprio in quel punto. Un vero peccato, così giovane e bella doveva di sicuro avere un gran futuro davanti a sé. Passai la curva, sorpassai la panchina e qualche metro più in là, vidi un ragazzo sdraiato sulla strada che piangeva.
Lo raggiunsi di corsa, preoccupatissima.
Aveva solo una maglietta leggerissima, dei jeans e un semplice paio di sneakers. Aveva i capelli rossi impregnati di ghiaia, gli occhi color ghiaccio contornati dal rosso per le lacrime, il naso rosso per il pianto e le labbra carnose viola per il freddo. Era bianco, quasi scheletrico, al limite dell'ipotermia, e completamente ubriaco. Sentii un camion arrivare nella nostra direzione velocemente, mi spaventai da morire. Mi misi a trascinare quel povero ragazzo fino al lato della strada appena in tempo, prima che il camion passasse. Poi silenzio totale. Lo trascinai fino alla panchina, e lo feci sedere che ancora singhiozzava. Era molle, la testa gli ciondolava a destra e a sinistra. Stava morendo di freddo, mi levai la giacca e gliela misi sulle spalle. Dovevo capire assolutamente dove abitava e riportarlo a casa, o sarebbe morto.
<<Ehy, ehy...>> cercai di sussurrargli dolcemente per farlo calmare. Ma non servì a molto, era come se non mi sentisse. Ci riprovai 2 o 3 volte, poi cominciai ad innervosirmi e iniziai ad alzare la voce. Dopo una ventina di tentativi, persi la pazienza e gli tirai un ceffone.
<<DOVE ABITI?!>> gli urlai.
<<S-s...omma v-v-v-esu...viana..>> biascicò.
<<Cazzo...>> mormorai.
Somma Vesuviana era il mio paesino d'origine, dove abitavano ancora i miei genitori e mio fratello. Distava una mezzora di autobus da Napoli e almeno 1 ora in Vespa. Non c'erano autobus alle 4 di mattina, ce lo avrei portato in moto ma non avevo abbastanza benzina, e in un'ora credo non sarebbe sopravvissuto, era in condizioni davvero pietose. Così pensai che l'unica soluzione era portarlo a casa mia fino a che non si fosse ripreso. Fu difficilissimo portarlo fino alla moto, che distava una cinquantina di metri, però ce la feci, e quando lo feci salire dietro di me, gli legai i polsi intorno al mio bacino con un elastico per capelli, per evitare che cadesse. I suoi polsi sembravano non avessero più vita. Dovevo darmi una mossa. Guidai come una pazza fino a casa, e una volta arrivata me la dovetti vedere con le scale. Lo trascinai ancora scalino per scalino, facendogli anche male forse, mentre mugugnava, fino al terzo piano, e raggiungemmo finalmente il mio appartamento. Gli spolverai i capelli dalla ghiaia e gli tolsi le scarpe. Lo feci sdraiare sul divano, gli misi 2 cuscini sotto la testa e 2 plaid sopra per scaldarlo il più possibile. Si addormentò subito. Piano piano stava riprendendo colore. Non avrei dormito quella notte. Mi cambiai e mi misi una tuta, mi raccolsi i capelli in una coda e mi preparai un tè. Mi accoccolai con una coperta addosso sulla poltrona davanti a lui. Ora che aveva di nuovo un colore normale, pensai che era davvero un bel ragazzo, sicuramente della mia età. Passato lo spavento, come mio solito, cominciai a pensare. Perché stava piangendo? Perché era lì? Perché era ubriaco? Perché non era tornato a casa? Non feci in tempo a darmi risposte, era stata una notte così emozionante che ero distrutta, e crollai a dormire.

La mattina dopo, mi svegliai alle 7.30. Lui stava ancora dormendo, esattamente come lo avevo lasciato 3 ore prima. Dovevo assolutamente riportarlo a casa, avevo un'ansia.
Cercai di svegliarlo con calma, scuotendolo appena appena. 2 minuti dopo si svegliò, piano piano. Aveva davvero 2 occhi splendidi, ma non erano azzurri come i miei, i miei erano molto più chiari, i suoi di un blu ghiaccio intenso. Si guardò intorno con aria confusa.
<<D-dove sono?... Chi sei tu?>> chiese confuso e un po' impaurito.
<<Tranquillo, non ti ho rapito. Ora piano piano ti spiego tutto, ti preparo una tisana per il mal di testa e arrivo ok? Rilassati, adesso ti spiego, aspettami qua>> cercai di rassicurarlo. Preparai velocemente quella tisana e gliela portai quasi di corsa, rischiando anche di rovesciarla. Stava tentando di accendere il suo telefono, ma evidentemente era scarico. Gli porsi la bevanda.
<<Grazie... Ehm, so che forse è la domanda più stupida che potrei fare in un momento così, ma... Hai mica un caricatore per il Samsung?>>
<<No scusa, ho solo Apple in casa, vuoi mica usare il telefono?>>
<<Sì, magari dopo però, credo sia il caso che mi spieghi un attimo che ci faccio qui>> disse sorridendo imbarazzato.
Sorrisi, e gli spiegai in breve tutto.
<<Ti ho trovato in mezzo alla strada alle 4 di mattina mezzo assiderato e completamente ubriaco che piangevi, mi hai detto che eri di Somma Vesuviana e ho constatato che non sarei riuscita a portarti fino a là in moto, così ho pensato di portarti qua da me per farti riprendere e poi riaccompagnarti a casa>>
Rimase un attimo esterrefatto, poi sembrò ricordarsi.
<<Sì sì, ricordo tutto... Non so che dirti, grazie di cuore, mi hai salvato la vita...>>
Gli sorrisi, silenziosa.
<<E comunque... Io sono Gennaro, ma chiamami Genn ti prego>> disse porgendomi la mano.
Risi.
<<Celeste>> risposi stringendogliela.

White Wood~TRILOGY |1|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora