~> Eight. <~

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~Capitolo.8~

MARTINA POV'S

In quella casa, ero a disagio: oramai, dormire, studiare, mangiare, pareva tutto strano.

Il sole era in alto da qualche ora ma le mie gambe erano come inchiodate al materasso: avevo paura di affrontare la giornata perché tutto sarebbe stato diverso da come lo avrei pianificato.

Sicuramente.

Sbarrai gli occhi all'ascolto di una soave melodia hawaiana e non esisteva momento peggiore che essere svegliati di lunedì mattina con una musica del cazzo vietata anche sul pianeta alieno.

Ciliegina sulla torta poi, le urla del mio fratellastro che pregavano Harry di spegnere quella maledetta radio e di andare a vendere unicorni alati al mercato nero prima che Homar Simpson potesse prendergli il posto.

Mi strofinai gli occhi incredula e mi stiracchiai per benino nel caldo lettuccio prima di calzare le pantofole al lato del letto e dirigermi verso la maniglia della porta della stanza.

Sganciai un urlo quasi soffocato alla vista di un Jorge in boxer e a petto nudo, che cercava di grattarsi la nuca mentre sorseggiava il suo succo di frutta al gusto di banana.

Amore, le magliette cinesi sono state dermatologicamente testate, perciò non corri alcun rischio indossando una misera giacca del pigiama.

Senza neanche squadrarlo da testa a piedi, mi voltai di soprassalto, portando una mano sulla fronte e arricciando il piccolo naso a patata, che detesto da quando un mio compagno delle elementari mi aveva esplicitamente detto di essere femminuccia solo per quello.

Capite il disagio, si?

-Oh Santo Dio.- farfugliai qualcosa con quel filo di voce che mi rimase, allungando la mano destra al fianco e il polso di quella sinistra sulla fronte.

-Dimentico che tu non..- iniziò a controbattere: doveva sempre avere lui il coltello dalla parte del manico, mai gli altri.

-Ssh, zitto: non dire nulla.- chiusi per un istante gli occhi e provai ad immaginarmi altrove, magari nella casetta di Biancaneve o a nuotare insieme ad Ariel la sirenetta.

Tirai un respiro profondo e mi voltai stringendo i pugni e facendomi coraggio: anche io potevo essere forte se lo volevo.

-Scommetto che riesco ad eccitare il tuo amichetto prima che tu possa aprir bocca. E poi, ma dai, non dirmi che vai anche in palestra: persino mio nonno ha più pettorali di te. - lo provocai con quel sorrisino malizioso che tanto amavo fare. ma non sapevo cosa mi fosse aspettato dopo.

E detto tra noi: neanche lo avesse lungo, poi.

-Uh, ragazza: scommessa accettata. Quando e dove vuoi.- mi lasciarono a bocca aperta le sue parole: gli avevo proposto una sfida e lui l'aveva accettata. ma quanto potevo essere deficiente?

Mi abbandonò sotto la sua scia di profumo da uomo e rimasi immobile davanti la penultima porta del corridoio, ripensando a quale guaio mi fossi cacciata.

E, all'improvviso, mi piombò in mente l'immagine di Justin ed era lì che potevo considerarmi nei pasticci. Il mio ragazzo era il più comprensibile del mondo ed era uno strano caso del destino averlo incontrato, perché io non me lo meritavo uno come lui.

Era solamente un pochino geloso e aveva un fiuto speciale per le bugie: infatti, avevamo stretto un contratto di fiducia in cui io mi impegnavo ad essergli fedele e lui, di conseguenza, prometteva di non intromettersi più di tanto nei miei problemi.

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