CAPITOLO VII

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POV ESMERALDA.

La mattina dopo mi risvegliai.
Fu il sole a farlo, mi si posò sul viso con maggior impeto, era caldo, forte e accecante.
Aprii gli occhi a stento, ancora del tutto assonnata e frastornata, rispetto ai giorni precedenti mi sentivo meglio.
La mia testa non era più pesante, così come i miei arti, riuscivo a respirare, e non avevo quei mal di testa lancinanti.
Tutto sembrava essere tornato alla normalità di quelle giornate.
Ricordavo di Killian, delle sue cure, del suo starmi vicino e di quante volte il cuore mi era partito all'impazzata quando mi sfiorava.
Nonostante il forte tremore, la forte febbre riuscivo distintamente a cogliere quell'emozione che mi dava ogni volta.
Si era preoccupato per me, l'avevo visto nei suoi occhi in tutti quei giorni, sembrava sull'orlo di un abisso, si era preoccupato per la mia salute e mi aveva portato nel suo alloggio, dove non avevo visto entrare nessuno tranne lui finora.
Ai miei occhi, e per me stava perdendo ogni fattezza del pirata che mi era sembrato di scorgere appena arrivata sulla nave, e ciò che pensavo mi era stato confermato più volte in quei giorni e non solo.
Premure del genere mi erano lontane, e averle per la prima volta non sapevo come reagire, un grazie sarebbe bastato?
Tentai di voltarmi dalla parte opposta, così da evitare il contatto diretto con quella scia arancio che soggiornava su di me, ma mi sentii bloccata.
Qualcosa da dietro bloccava ogni mio movimento, e la mia mano era legata ad un'altra, che non riuscivo a intendere bene.
Sentivo bene il contatto con un pelle nuova, una pelle ruvida che mi era poco familiare.
Sbarrai gli occhi, concentrandomi e segui il mio braccio con gli occhi fino a vedere gli anelli, quegli anelli che riconoscevo tra mille.
Il mio cuore ebbe un sussulto tale che pareva fosse balzato fuori dal petto.
Sicura che fossi cosciente?
Quella fascia sul pollice e quell'anello un po' grande con quella gemma rossa facevano parte di quella mano che più volte avevo solo immaginato intrecciata alla mia.
Dietro di me, lui.
Mi teneva stretta a sé tramite un abbraccio che non avrei neanche immaginato, sentivo il suo petto contro le mie spalle.
Mi voltai piano per constatare il fatto che stessi sognando, per l'ennesima volta. Che fosse la mia mente a proiettare ciò che avevo accanto.
Forse avevo ancora la febbre, e non me ne rendevo conto.
Cercai di farlo piano, senza intaccare in alcun modo il suo sonno, non volevo farlo svegliare
Me lo trovai davanti, e sapevo quanto fosse stupido dirlo ma sembrava così beato, così bello, così perfetto.
Sarebbe stato un sacrilegio interrompere quella beatitudine che aveva in volto. Per qualche strana ragione sulle sue labbra aleggiava un espressione felice.
Sorrideva, ed era palese che per me fosse la cosa più bella del mondo.
Chissà cos'era a regalargli quell'espressione, ne ero quasi gelosa. Ma che diritto avevo io su di lui?
Nessuno, appunto.
Eravamo faccia a faccia.
Lui ad occhi chiusi dormiva beato, e quasi non sembrava reale.
Le sue labbra mi erano di fronte, avrei potuto protendermi e baciarlo, ma non lo feci.
Mi morsi un labbro e ricacciai quell'idea malsana.
La sua mano nonostante il sonno, non si era staccata dalla mia, ma anzi l'aveva avvinghiata e tenuta stretta, ma con delicatezza.
Ogni cosa nei miei confronti non aveva modi rudi.
La sua pelle chiara in contrasto con la mia un po' più scura.
Osservai per un po' quell'opposizione messa a confronto, e mi misi ad amarle insieme.
Come eravamo finiti in quel modo? Perché ci eravamo addormentati così? Perché lui era con me? E perché eravamo vicini?
Mille domande mi frullavano in testa come un enigma a cui non avevo risposta.
Ero confusa e disorientata.
Ricordai, di colpo, un paio di sere prima quando era iniziato tutto: in preda ad un forte febbre mi aveva abbracciata e tenuta accanto a sé, quasi come ad ancorarmi, e a tenermi ferma.
Probabilmente avevo ripreso a tremare e lui era tornato a tenermi stretta, a calmarmi, per farmi star bene.
E quelle mani intrecciate? Continuai a fissarle cercando indizi o fatti della notte precedente.
Ma la mia mente era un groviglio difficile da districare, alcuni pezzi in quel grande ammasso mancavano, e nonostante cercassi sentivo di non venirne a capo.
Scandagliavo gli episodi nella mia mente, ma non ne venivo a capo.
Era un gigantesco buco nero, il vuoto più totale.
Io, della sera precedente e di come fossimo finiti in quel modo non ricordavo assolutamente niente.

M arrovellai per del tempo indefinito cercando di capire e nel mentre contemplarlo.
Non l'avevo mai avuto così vicino e per così tanto tempo.
La sua cicatrice sulla guancia non mi era mai stato così di fronte agli occhi, non gli avevo mai chiesto come se la fosse procurata.
Ne attraversai i solchi senza davvero toccarla.
Non osavo sfiorarlo, avevo paura di come avrebbe preso quel contatto.
Se mi avrebbe sorpresa nel toccargli il volto?
Oh, non ce l'avrei mai fatta a sostenere il suo sguardo, di qualsiasi natura sarebbe stato.
D'un tratto, persa nella mia contemplazione e nei miei pensieri lo vidi aprire gli occhi, ancora frastornato e addormentato.
Strabuzzò gli occhi nel trovarmi di fronte, in quel modo e forse anche un po' per spavento sciolse la presa dalla mia mano.
Mi ritirai al contatto e divenni paonazza temendo avesse inteso anche solo i miei più minimi pensieri.
Mi accovacciai sul letto, abbracciando le mie gambe, seduta.
'Ehm... scusa', feci titubante.
Lui ancora interdetto non capi appieno.
'Per cosa?'.
'Per averti spaventato, non volevo starti di fronte in quel modo a fissarti'.
Lui annui, e sbadiglio copiosamente, poi si levò anche lui venendomi accanto.
'Non preoccuparti.', si limitò a dire ancora con quel sorriso beato in volto. 'Come stai oggi?'.
Lo stesso che aveva mentre dormiva.
Aveva qualcosa, qualcosa di diverso, che non capivo bene.
'Rispetto agli scorsi giorni abbastanza bene.', ammisi.
'Avrei dovuto chiudere le tende ieri sera, ma sai com'è non ne ho avuto l'occasione', disse con fare malizioso e ammiccante comprendendo il motivo per la quale mi ero svegliata.
Lo guardai torva, con la testa leggermente inclinata di chi non comprende appieno.
Sorrisi imbarazzata.
'Perché non hai potuto chiuderle ieri?'.
Lui mi guardò incerto, con uno sguardo tra il divertito e il disorientato e cercava di indicarmi con gli occhi ciò che non riusciva a dire a parole quasi.
Non capivo, e glielo resi evidente dato che non riuscivo a comprendere dove andasse a parare.
Si fece serio, di colpo e il sorriso malizioso scompari dalle sue labbra.
'Non ricordi cosa è successo ieri?', chiese quasi cercando segni di vita.
Lo guardai di sbieco cercando l'importanza della cosa, che sembrava dal tono della voce qualcosa che fosse vitale.
'Perché cosa è successo ieri sera?', domandai incerta.
A lui parve crollare il mondo addosso, il suo sguardo era diventato scuro e ogni felicità dal suo volto si era dissolta senza più speranza.
Pareva essere caduto a terra.
S'incupì e nascose lo sguardo. Tossì nervoso e lo vidi combattere con sé stesso.
'Niente, stavi malissimo e ti ho tenuta stretta a me, dopodiché ti sei addormentata e non ho potuto chiuderle', ammise.
Eppure c'era qualcosa che non capivo, che non andava e non sapevo cos'era.
Era come se avessi detto o fatto qualcosa che lo aveva buttato giù, o magari non era questo, erano solo mie impressioni.
Magari non ero io al centro dei suoi pensieri come lui era in me, magari era qualcos'altro a turbarlo.
Non avevo il coraggio di chiedergli cosa ci fosse.
Si aggiustò meglio e sulla porta mi disse: 'Vado a cercare Adelaide affinché ti porti qualcosa'.
E spari senza darmi il tempo di controbattere.

Non lo vidi per quasi un intera giornata quel giorno, e non si può dire che nei giorni seguenti lo vidi di più.
In quei dì era distaccato, nervoso, sembrava irascibile con gli altri marinai, era un mare in tempesta.
Non riuscivo a togliermi dalla testa che il motivo fossi io.
C'era qualcosa che avevo fatto o detto che lo aveva reso in quel modo.
Era colpa mia, nel mio inconscio era come se mi sentissi in colpa per ciò che era successo.
Le sue visite si fecero sempre più blande nei giorni seguenti, non veniva quasi mai nella mia stanza come prima e non pranzavamo, ne cenavamo insieme come prima, era sfuggente, schivo quasi a non volerne più sapere di me ed era inutile anche solo dire quanto soffrissi la sua mancanza in quello.
Sentivo la sua mancanza in tutto, dal non cenare con lui la sera, a quelle piccole parole e sorrisi che ci scambiavamo da quando ero lì.
Sembrava quasi m stesse allontanando di proposito, ma come faceva anche solo a pensarlo quando eravamo costretti a vederci ogni volta e lui era la parte, la persona più importante da quasi due anni? La persona che mi rendeva tollerabile quel vivere?
Non avevo nessun altro e lui era ciò che consideravo più vicino ad una famiglia.
Di notte mi ritrovavo a piangere da sola, come non facevo da mesi.
Quella sua lontananza mi stava lacerando il cuore.
Io ero tornata nel mio alloggio, nelle stive.
'Torno giù, nelle mie stanze. Credo di appartenere lì più che a questa stanza, ma ti ringrazio per le cure e le attenzioni che mi hai dato durante i miei giorni più tristi. Te ne sono grata', era stata l'ultima cosa che gli avevo detto, prima di lasciarlo a contemplare il mare che ci era di fronte.
Non mi aveva rivolto uno sguardo, niente, neanche una parola.
Ne tantomeno aveva cercato di persuadermi nel non farlo.
Era tornato ad essere freddo come non lo era mai stato.
Gli sguardi e gli atteggiamenti che vedevo ora in lui, non li avevo mai visti se non nei primi giorni da prigioniera.
Che gli era successo?
Da un paio di giorni ci eravamo fermati in un nuovo posto, un posto in cui non eravamo mai approdati.
Non mi aveva dato indicazioni, come faceva di solito nulla.
L'avevo capito da me salendo sul ponte.
Me ne stavo lì, molte volte seduta ad osservare la gente che passava davanti al molo.
Era quasi meglio del mare che vedevo per la maggior parte del tempo, per tutto il tempo.

Vedere Killian era diventato ancora più un miraggio, tutte le sere si recava nella taverna del luogo, ci stava per ore e ore e molte volte non lo sentivo nemmeno rientrare dato che cadevo tra le braccia di Morfeo molto prima del suo rientro, quando invece mi capitava di udirlo, lo sentivo tornare completamente ubriaco.
Decisi di parlargli, non potevo tenermi tutto dentro e continuare a stare in quel modo.
Senza di lui quella vita, che mi era stata imposta, non era sopportabile nemmeno lontanamente.
Mi sarei fatta spiegare il perché di tanta freddezza, il perché di tanta indifferenza dopo quei giorni in cui l'avevo visto persino preoccuparsi per me e prendersi cura di me.
Cos'era successo?
Cos'è che aveva cambiato tutto, trasformandolo in una miserabile vita? Perché era diventato così?
Gli avrei chiesto se c'entravo qualcosa, se avevo fatto o detto qualcosa che lo avesse spinto a quel comportamento.
Non potevo conviverci, non potevo perderlo così senza la minima spiegazione alcuna.
Ci tenevo troppo, e si lo amavo troppo anche se non glielo davo a vedere, per me valeva il detto Non ama chi te lo dice, ma chi ti guarda e tace. Ma così facendo lo stavo perdendo.
E se rivelargli quel segreto, quel che sentivo dentro da anni sarebbe stata la soluzione ad ammorbidire e a scongelare la tensione che c'era l'avrei fatto perché non ce la facevo più.
Per lui non valeva la mia stessa regola forse, o forse non provavamo le stesse cose l'un per l'altro.
E se mi avesse rifiutata? Chiese il mio cuore.
Avrei subito il colpo e mi sarei zittita, ma almeno ci avrei provato.
Avrei provato a dare una forma a quella vita, perché un significato già l'aveva ed era lui.

La mattina dopo, più volte feci dei respiri profondi.
Quel corsetto stringeva più del solito quel giorno.
Devi farcela Esmeralda. Devi farcela. Per te. Continuavo a ripetermi come un mantra.
Avevo le mani freddissime e l'agitazione a mille.
Un sorriso enorme raggiunse le mie labbra e si spalancò.
Stavo per buttare giù tutta la mia verità, non volevo pensare alle conseguenze, ma solo a questo.
Inspirai per l'ultima volta e mi diressi alla sua porta decisa.
L'aria venne a mancare per l'ennesima volta quella mattina, dovevo concentrarmi.
Bussai decisa alla sua porta.
Quei minuti d'attesa mi parvero infiniti.
Dovevo bussare di nuovo?
La porta si apri di getto, e i suoi occhi m folgorarono.
Puoi farcela, Esm. Devi farcela. Mi ripetevo.
'Esm...', fece lui sorpreso mentre era intento a riabbottonarsi la camicia.
Sembrava imbarazzato nell'avermi di fronte.
'Killian..', mi limitai a dire io, come un ebete. 'Volevo parlarti un attimo, se...'
Killian, chi è? Una voce femminile spezzò in due l'aria tesa che sembrava esserci tra noi, e sulla porta comparve una donna.
Una donna palesemente adulta dagli occhi chiari e i capelli scuri. Alcune rughe le solcavano il volto
La sua pelle aveva decisamente lo stesso colorito di Killian, era rosea.
Indietreggiai imbarazzata di qualche passo, deducendo in brevissimo tempo che fosse una compagna notturna, e deducendo che cosa avevano fatto insieme.
Killian mi osservò attentamente, in ogni minima espressione.
Mori dentro, e non capii se intese come mi sentivo.
'Milah, ti presento Esmeralda. Esmeralda lei è Milah', fece Killian presentandoci.
Quella spalancò un sorriso e mi porse la mano.
'Piacere!', fece tutta contenta.
Io avevo paura anche solo a proferir parola, perché la voce che ne sarebbe uscita sarebbe stata un segno evidente di come stavo dentro.
Stavo cadendo a pezzi.
Avevo un groppo in gola enorme che mi impediva anche di respirare, tutte le lacrime che stavo trattenendo erano ferme lì.
Afferrai la sua mano debolmente, stringendola e annui soltanto con un sorriso debole.
Lei si avvinghiò a lui in un abbraccio, e lui ricambiò accarezzandola dolcemente.
'Dicevi...', continuò Killian per riprendere il discorso che stavo per propinargli, come se ora ne fossi ancora in grado.
Era diventato nuovamente freddo, il pirata che era in lui ricominciava a riemergere.
Stavo troppo male per stargli di fronte,e tutte le parole messe in fila nel discorso che avevo preparato mentalmente erano fuggite a gambe levate, restai interdetta non sapendo cosa inventarmi.
Ero come azzerata anche io.
'Oh, nulla di importante Killian, davvero', li guardai insieme per l'ultima volta senza riuscire ad aggiungere altro e mi congedai voltandogli le spalle.
Uno squarcio smisurato fece leva nel mio petto e mentre mi avviavo nella camera decisa a morirci, iniziai a piangere profusamente.

Ad un tratto, quella stessa mattina, dal ponte si elevò un gran frastuono tra grida e schiamazzi.
Sentivo i passi pesanti e vari rumori provenire da sopra la mia testa, decisi di vedere cosa stava accadendo.
Un uomo visibilmente debole e zoppicante era sulla nave al cospetto di Killian, era caduto a terra e gli altri marinai, in maniera rude l'avevano rialzato.
Killian ammirava lo spettacolo standosene lì, senza far davvero nulla, a braccia conserte quasi come se si divertisse.
Senti dentro me, una rabbia crescermi dentro.
Volevo uscir fuori ed aiutare io stessa quell'uomo visibilmente impaurito e debilitato trovatosi lì per non so quale reale ragione.
'Mi ricordo di voi...', disse quello indicandolo. 'Vi ho visto alla taverna'.
Cosa ci faceva lì quell'uomo, perché si era avventurato tra quegli uomini che non facevano altro che deriderlo come se loro fossero migliori.
'E' sempre bello quando si ricordano di te.', rispose lui con fare spavaldo. 'Ma dove sono le mie buone maniere? Non ci siamo ancora presentati ufficialmente. Killian Jones. E... cosa ci fate sulla mia nave'.
Rivolsi il mio sguardo all'uomo, in cerca anche io di risposta.
Ansimò spaurito, e si guardò intorno altrettanto intimorito dagli uomini che lo circondavano.
'Avete mia moglie'.
'Ho avuto molte mogli di altri uomini.'
'Non, non capite. Abbiamo un figlio e lui ha bisogno di sua madre', fece con sguardo implorante.
'Ed io ho una nave piena di uomini che hanno bisogno di compagnia'. L'arroganza di Killian era la cosa che ancor di più mi stupiva di fronte ai fatti.
'Vi supplico.', lo sentii dire. 'Vi prego, lasciatela andare'.
'Non sono un bravo negoziatore. Detto questo... mi considero comunque un uomo rispettabile con un codice d'onore, quindi se davvero volete indietro vostra moglie...'. Un rumore metallico sbatté a terra, mi sporsi da dov'ero per vedere cosa fosse caduto, quando lo vidi sfoderare la spada.
'... Provate a riprendervela.' Quello iniziò a tremare spaventato.
Una rabbia ancora più forte mi montò in corpo. Ed era una rabbia contrastante.
Una parte di me voleva difendere quel poveretto messo alle strette da lui davanti a quella ingiustizia.
Una altra parte di me si chiedeva chi fosse quell'uomo che lo stava minacciando in quel modo.
Dove era finito Killian Jones? Quello che avevo conosciuto io?
Cosa gli stava accadendo?
Era davvero stato lui quello che vedevo ora? Con me aveva solo finto?
Quell'uomo non meritava quel trattamento, temevo per lui.
E una rabbia mi montò in corpo collegando i fatti.
La donna, quella donna che lui stava cercando era la stessa che beata avevo visto abbracciata a Killian, senza il minimo rimorso per non solo stare lasciando il marito, ma per lasciare il figlio.
Che donna ignobile doveva essere? Presi ad odiarla ancora più forte.
Come si poteva essere così.
Il marito era lì, stava implorando per lei perché l'amava, perché le voleva bene non solo per il figlio che condividevano, e lei era impassibile a tutto questo.
La rabbia si mischiò all'invidia, alla gelosia di quel momento.
Per me non era venuto nessuno, nessuno aveva l'amore negli occhi che aveva quell'uomo per sua moglie.
A nessuno era importato di me quando mi avevano rapita, e lei, invece, stava scappando di sua spontanea volontà di fronte a quella vita, a quell'amore, a quel figlio?
Quanto era egoista?
'Presumo non abbiate preso mai parte ad un duello. Beh è semplice, la parte appuntita deve arrivare dentro l'avversario'. Come poteva pretendere che quell'uomo combattesse? Perché, di fronte al suo sguardo non gliela ridava e basta? Nemmeno a sapere del bambino si ridestò qualcosa dentro di lui. Quel minimo di bontà?
Mi misi a piangere, di nuovo, ma stavolta era un misto di tutto, e vedere quell'uomo a me sconosciuto soffrire e morire di fronte ai miei occhi era il culmine.
Gli sfiorò la guancia con la spada.
'Un uomo che non è disposto a combattere per quello che vuole si deve accontentare di quello che ha'.
Ma come faceva a non vederlo? Non era forse un lottare quello, ci doveva essere per forza una spada di mezzo per definirlo così?
'Vi prego signore', implorò quello. 'Cosa dirò a mio figlio?
'Provate a dirgli la verità: che suo padre è un codardo'.  

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NOTE AUTRICE:

Ho faticato un po' per sviluppare questo capitolo, non per la storia in sé ma perché volevo in qualche modo farlo giungere al termine, ma servirà un altro capitolo prima di tornare definitivamente al presente e vedere cosa succederà ora in quel di Storybrooke.
Spero che questo capitolo vi piaccia ugualmente, fatemi sapere.

Alla prossima. 

- Elle.


I thought I'd lost you foreverDove le storie prendono vita. Scoprilo ora