NOVE

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<Tesoro, sei sicura di aver preso tutto?>
<Sì, mamma. Ho ricontrollato per l'ennesima volta.>
<Ricordati i documenti, senza di quelli non vai da nessuna parte.>
<Sono già nella borsa tranquilla.>
<Ah, hai messo nella valigia il cappotto pesante?>
<Quale? Quello bianco? Ma é il cappotto elegante.>
<Lo so, ma guarda che in Francia fa freddo in inverno, e piove come qui in Inghilterra. Vai a Parigi, non in Costa Azzurra.>
Michael era arrivato a casa della sua fidanzata da soli dieci minuti, ma la situazione all'interno era la stessa di quando aveva varcato la soglia poco prima.
Taylor avrebbe dovuto partire per inseguire il suo sogno tra poco meno di due ore, considerando che dovevano partire quasi un'ora prima per raggiungere l'aeroporto Gatwick in orario, ed era tutta un fervore e un'agitazione. Per di più, a ciò si aggiungeva anche sua mamma con la sua paranoia.
Michael si era timidamente accomodato sul divano del salotto, come gli aveva suggerito  Taylor, e intanto vedeva la sua futura moglie andare avanti e indietro da una stanza all'altra a passo veloce, sulle scarpe da ginnastica Hogan e dentro ai jeans stretti che le fasciavano perfettamente i fianchi, cercando di sistemare le ultime cose prima della partenza.
Non appena la ragazza faceva per avvicinarsi al suo fidanzato, ecco che compariva sua mamma, Mrs Smith, nel suo tailleur da lavoro immacolato e sui tacchi vertiginosi che indossava con disinvoltura nonostante l'età un po' avanzata, e le ricordava se aveva preso lo spray anti zanzare - perché, secondo lei, in Francia ce n'erano un sacco -, oppure se aveva messo in valigia il dopo sole - perché, non si poteva mai sapere, se qualche potenziale amico della Sorbona avrebbe organizzato magari un weekend a St.Tropez, e non fosse mai che ci si scottasse la pelle esponendosi troppo al sole, che figura! -, o aggiungendo persino di fare attenzione ai borseggiatori e di evitare gli artisti bohémiens, quelli che dipingono ritratti a Montmartre e fumano appoggiati al balcone delle finestre ascoltando musica jazz.
<Quelli hanno proprio l'aria di essere persone che vivono alla giornata, maledette. Non escludo che fumino anche qualcos'altro oltre al tabacco delle sigarette> aveva espresso così il suo pensiero Mrs Smith, storcendo il naso disgustata.
Michael, sinceramente, non era d'accordo con la sua futura suocera, anzi, gli era parsa quasi come un'offesa indiretta verso di lui. Non era un pittore, però la musica era parte della sua vita, e la madre di Taylor sapeva che lui fumava sigarette in quantità moderata.
Il ventiduenne guardò per un istante la donna quando questa gli passò davanti nel suo completo color panna, e non poté fare a meno di confrontarla con sua mamma.
Karen era sempre stata una donna semplice e modesta. Non amava gli sfarzi e le eccessività, si vestiva sempre con abiti sobri e non firmati, si truccava appena e lasciava i capelli un po' ingrigiti sciolti, ricadenti sulle spalle, liberi di ondeggiare ogni volta che camminava i rideva. Mrs Smith, invece, volava su un altro livello: una casa in centro con la donna per le pulizie, abiti eleganti e firmati, capelli perfettamente ordinati e tinti, trucco impeccabile, un lavoro stimato e un marito avvocato con un soddisfacente conto in banca.
Era in occasioni come queste che Michael si domandava come avesse fatto ad innamorarsi di una ragazza così diversa da lui, e per di più come avesse fatto la sua famiglia benestante ad accoglierlo e ad acconsentire al loro matrimonio.
Allo stesso modo si domandava come avesse fatto a diventare "amico" di Tom e gli altri. Forse quattro anni prima si erano impietositi di fronte a quel diciottenne pallido e spaesato, orfano di padre, che non aveva nemmeno un'idea certa su quale materia laurearsi. Erano stati loro quattro a presentargli Taylor, come se sapessero già che era la donna perfetta per lui, e come se addirittura sospettassero che lui fosse una frana con le ragazze.
Sempre loro quattro lo avevano convinto a laurearsi in filosofia, la materia che secondo lui era più difficile in assoluto da comprendere, eppure l'aveva studiata per ben quattro anni, con impegno e costanza, ottenendo dopo tutto ottimi risultati.
Restava solo un piccolo problema: quelle scelte non erano dipese dalla pura volontà di Michael.
Aveva una laurea in filosofia solo perché agli occhi di Tom e gli altri voleva apparire alla loro altezza, ricordando come lo avevano guardato quando aveva espresso la vaga intenzione di iscriversi al conservatorio. Era fidanzato con Taylor solo perché era stata la prima ragazza che aveva incontrato, che lo aveva colpito da subito e che a sua volta lo trovava attraente, dolce e sensibile.
Michael sentiva che la sua vita non stesse andando secondo il suo volere, ma che lui stesse facendo quello che gli altri si aspettavano da lui. Una laurea, un buon lavoro, una bella fidanzata da sposare tra otto mesi. Eppure lui non era felice al cento per cento. Forse sarebbe bastato sapersi imporre di più, avere le idee un po più chiare, non diventare una persona diversa da quella che era solo per piacere e soddisfare gli altri. Ma si poteva orinare indietro, ora?
<Ho definitivamente finito tutto, per fortuna.> Taylor si accomodò accanto a lui sul divano in pelle del salotto di casa Smith, sfoderando il suo sorriso smagliante. Gli lasciò un bel bacio sulla guancia, e Michael ricambiò il sorriso meglio che poté.
<Ora ho proprio voglia di stare ferma qui, godermi la mia ultima ora in Inghilterra insieme a te e non fare altro.>
<Amore, ma é quasi ora di partire> la informò Michael.
<Di già? Vuoi scherzare?> Poi, vedendo il suo fidanzato scrollare la testa, prese il cellulare dalla tasca dei jeans e controllò l'ora sullo schermo. <Accidenti, hai ragione! Se non partiamo tra dieci minuti non arriveremo in tempo all'aeroporto.>
Con un balzo si alzò dal divano e corse su per le scale, ad informare sua mamma. Michael, invece, restò nuovamente da solo nel salotto antico della casa della sua futura sposa, guardando per l'ennesima volta il mobilio intorno a lui, e nel frattempo cercando di capire si cosa stavano discutendo Taylor e sua madre al piano di sopra. Alla fine decise di raggiungerli per offrire un aiuto maschile magari con le valigie, anche perché il padre di Taylor quel pomeriggio non si era ancora fatto vedere da quando Michael era arrivato in quella casa.
Circa un'ora dopo, Michael, Taylor e i genitori di lei raggiunsero finalmente l'aeroporto Gatwick, persino in perfetto orario, spaccando il secondo, dopo un lunghissimo viaggio Canterbury-Londra in cui il ventiduenne aveva dovuto sorbirsi alla guida della sua jeep gli innumerevoli discorsi di Mr Smith sulla Francia e le migliaia di raccomandazioni di sua moglie rivolte alla figlia. Fortuna che non avevano incontrato traffico.
Dopo aver parcheggiato vicino all'entrata e dopo aver lasciato per qualche minuto i coniugi Smith allo sportello per cambiare le sterline in euro, Michael si era infine buttato a peso morto su una poltroncina libera che aveva adocchiato, tirando un sospiro di sollievo. Mai come quel pomeriggio i suoi futuri suoceri gli erano parsi così insopportabili.
Taylor si sedette nella poltroncina accanto, e gli sorrise di nuovo come aveva fatto un'ora prima. <Finalmente soli.>
Michael ridacchiò. <Già, é il primo momento in questo pomeriggio in cui forse possiamo restare in tranquillità per qualche minuto.>
Subito dopo però restarono per qualche istante in completo silenzio, piuttosto imbarazzante, Michael a fissarsi le unghie mangiucchiate e Taylor a guardare fuori dall'enorme vetrata che dava sul parcheggio, finché quest'ultima non prese la parola per prima.
<Mi mancherà il paesaggio inglese, Canterbury, con le sue case e le sue strade, i verdi prati vicino a Sturry, e persino il classico clima uggioso. Forse non sono ancora pronta per lasciare tutto questo per un così lungo periodo di tempo.>
<Non sei obbligata a partire. Questa decisione l'hai presa tu, di tua sana pianta> le disse Michael spontaneamente. Forse un po' troppo spontaneamente, visto anche il tono di voce con cui le aveva parlato, e il modo in cui lei lo stava guardando in quel momento. <Cioè... Scusami, non volevo essere così avventato.>
Taylor scosse la testa. <Non ti devi scusare, amore.>
<Non pensare alle mie parole, fai come se non avessi aperto bocca.>
<Michael, guardami> gli ordinò lei a quel punto, e lui allora si voltò verso di lei. <Dimmi la verità, ti prego. Tu sei arrabbiato con me perché me ne vado per sei mesi prima del nostro matrimonio.>
"Arrabbiato... Be', non proprio. Di sicuro non me l'aspettavo. Oh, Santo Cielo, perché non riesco a confidarmi con te, Taylor? Perché non riesco a dirti la verità?"
<Non ce l'ho con te> le rispose alla fine, provando ad essere il più sincero possibile. <É solo che forse non ho ancora accettato del tutto questa faccenda del tuo soggiorno francese, ma non tu preoccupare, ci farò l'abitudine.>
<Michael, ti concordo. Tu stai dicendo questo per tranquillizzarmi, ma le cose non stanno esattamente in questo modo. Non appena arriverò un Francia e inizieranno altri preparativi per il matrimonio, tu ti ritroverai da solo con tutto il carico sulle spalle, e allora sì che ce l'avrai con me e maledirai il giorno in cui ho preso questa decisione incoscientemente, e da sola per di più. Sono una pessima fidanzata. Come posso aver pensato di allontanarmi da te proprio pochi mesi prima delle nostre nozze?>
Michael a quelle parole le stinse forte la mano, guardandola dolcemente. <Amore, non dire così. Forse in qualche momento di frustrazione potrò anche pensarlo, ma non potrò mai odiarti per la tua scelta.>
La ragazza accennò un sorrisetto, ma non sembrava molto convinta delle parole del suo fidanzato. <Tutto sommato, Parigi può aspettare. Ci andrò per un'altra ragione, e magari alla studio potrebbero prendermi anche più avanti, chi lo sa. Sono ancora in tempo per non partire, Michael.>
<Taylor, non pensarlo nemmeno per scherzo> quasi urlò Michael, parecchio turbato. <É una grandissima opportunità quella che ti é stata presentata, e io non voglio per nessuna ragione al mondo che tu rinunci al tuo sogno solo perché io sono un idiota perennemente incerto e insicuro che teme di non potercela fare tutto da solo per sei mesi.> Taylor fece per aprire bocca ma lui la fermò con un cenno della mano. <Taylor, veramente. Sali su quell'aereo, vola a Parigi e diventa la dottoressa che hai sempre sognato di essere. Io me la caverò qui a Canterbury. Realizza ciò che vuoi, almeno tu che hai le idee chiare.>
<Michael, anche tu hai le idee chiare, altrimenti non mi avresti chiesto di sposarti. Solo perché non svolgi un lavoro per cui hai studiato, non vuol dire che non sai cosa volere dalla vita.>
"Invece é proprio il contrario, Taylor" pensò Michael. "Anche questo nostro matrimonio é una mia incertezza, lo é anche non riuscire a dirti quello che sento dentro di me."
In quel momento il ragazzo si vergognò un bel po'. Taylor credeva nella loro relazione quel tanto da poter quasi mettere da parte il suo sogno per vederlo felice, come gli aveva dimostrato poco prima. Be', oddio, effettivamente non sembrava che si fosse fatta molti problemi nel pensare prima a sé stessa e nel prendere la decisione di partire prima del loro matrimonio, però... Perché Michael credeva nella loro storia un giorno si è un giorno no?
Anche se non sapeva bene cosa rispondere, il ventiduenne stava per dire qualcosa alla sua ragazza, ma nel mentre vennero raggiunti dai coniugi Smith, con tanto di valigie al seguito.
<Oh, Santi Numi, che coda! Non finiva più> sbuffò Mrs Smith, aggiustandosi per bene la mezza in piega.
<Be', non ci avete impiegato poi così tanto tempo> notò Taylor, leggermente innervosita perché avevano interrotto la conversazione tra lei e Michael.
<Sì, ma io non mi sognerò mai più di fare una fila del genere. Per cosa, poi? Cambiare delle sterline in euro.>
A Michael scappava quasi da ridere per quelle parole. Sapeva quanto la sua futura suocera fosse nazionalista, e anche lui amava la sua nazione, però gli sarebbe anche piaciuto assomigliare un po' di più in certi aspetti agli altri paesi europei. In Inghilterra avevano la guida a destra, le sterline come moneta, le unità di misura differenti dal sistema metrico internazionale, e persino le prese per la corrente erano diverse. Però il loro territorio era un'isola, avevano una religione cristiana anglicana grazie ad Enrico VIII e i suoi divorzi, e guai a parlare male della regina. Viva il loro splendido isolamento!
Nel frattempo Mr Smith finì di controllare i contanti nel portafoglio. <Ho cambiato circa 500 sterline, penso che bastino per due giorni.>
"Dipende se la signora vuole svaligiare le boutique di Louis Vuitton, Chanel e via dicendo" pensò scherzosamente Michael, riferendosi a Mrs Smith. I genitori di Taylor avevano deciso di accompagnare la figlia fino a Parigi, restando nella capitale francese almeno per un giorno per vedere come era l'ambiente, anche se poi avevano optato per restarci anche un giorno in più, perché d'altronde Parigi era Parigi, e necessitava di essere visitata.
<Tu, invece, bambina, dovresti avere soldi a sufficienza per i primi due mesi. Poi, alla carta di credito con te. Comunque, se ci dovessero essere qualche necessità, non esitare a chiamarmi> informò allora la figlia.
<Grazie, papà, ma magari riuscirò a cavarmela anche da sola. Potrei trovarmi un lavoretto> gli rispose Taylor guardandosi intorno, un po' in imbarazzo per il nomignolo. <Comunque smettila di parlare di denaro. Sei in un aeroporto, Santo Cielo, ed é pieno di persone di tutti i generi, che non ci penserebbero due volte a soffiarti le banconote che ti porti dietro.>
Lui ridacchiò, convinto che sua figlia dovesse rilassarsi di più certe volte, poi guardò l'ora sul suo Rolex costoso. <Credo che sia giunto il momento di mettersi in coda per l'imbarco, visto che tua mamma vuole fare anche un giro per il duty free, principessa> annunciò a quel punto.
Taylor arrossì per l'ennesimo nomignolo, invece suo padre si avvicinò a Michael. <Arrivederci, giovanotto. Ci vediamo> lo salutò, dandogli una pacca virile sulla spalla.
<Sicuro, signore> gli rispose il ragazzo. <Fate buon viaggio.>
Poi fu il turno di Mrs Smith, la quale lo salutò dandogli due baci sulle guance, lasciandogli una zaffata di Chanel n'5 nelle narici che per poco non lo fece starnutire.
Infine, quando i due coniugi si allontanarono per prendere posto nella fila per lo sportello dell'imbarco, Michael e Taylor restarono nuovamente soli, liberi di salutarsi decentemente.
Si guardarono per qualche secondo, e si sorrisero.
Taylor gli si avvicinò un po' di più, gli aggiustò il colletto della camicia e poi gli accarezzò dolcemente le spalle.
<Stai tranquilla, amore. Andrà tutto bene> le disse a quel punto Michael, sembrando di ripetersi. <Inoltre, spero che tu abbia uno stupendo soggiorno lì a Parigi.>
Lei sorrise. <Lo spero anche io. Comunque, io farò del mio meglio per seguire i preparativi, e se qualcosa non va non esitare a telefonarmi. Anzi, ci sentiremo via Skype, ogni sera. Che ne dici?>
<Va bene, é perfetto.>
<Ah, Michael, mi raccomando, non distruggerti il sopracciglio con quel maledetto piercing che devi farti, e poi non seguire proprio alla lettera quello che ti diranno di fare Tom e gli altri. Sono degli incoscienti certe volte. Oddio, me lo sento: ti costringeranno a tingerti di nuovo i capelli di verde.>
Michael ridacchiò, anche perché si immaginò se stesso con i capelli verde fluo, e ad essere sinceri non gli sarebbe dispiaciuto ritornare a vedersi i capelli di quel colore, come ai tempi della scuola superiore. <Mi piace come idea. Posso tenerla presente nel caso non sapessi come travestirmi ad Halloween.>
Taylor sorrise alla sua battuta, quindi tornò a guardarlo negli occhi con un'espressione seria.
<Michael, promettimi che starai bene> gli chiese poi, con la voce quasi rotta dall'emozione.
Lui le accozzerò dolcemente una guancia. <Te lo prometto, Taylor.>
A quel punto lei si alzò leggermente sulle punte per raggiungere l'altezza di Michael e fece congiungere le loro labbra, in un bacio breve ma intenso. Michael ricambiò il bacio e la strinse forte a sé, facendo del suo meglio per non farle percepire che in quel momento non riusciva a sentire quella sensazione che aveva provato di solito tutte le volte che l'aveva baciata.
Quando si allontanarono, il ventiduenne aprì gli occhi e vide che Taylor lo stava guardando con lo stesso sguardo di prima.
"Ci siamo" pensò. Nel mentre i genitori della ragazza le intimarono di sbrigarsi, e lei li liquidò con un "solo un secondo", prima di rivolgersi di nuovo verso il suo fidanzato.
Passo ancora un secondo, però, e lei non aveva ancora aperto bocca.
"Ti prego, Taylor, dillo!" la incitò lui mentalmente. "In questo momento ho un assoluto bisogno che tu dica quelle parole. Forse solo così riuscirò a capire qualcosa..."
Fu a quel punto che Taylor gli sorrise dolcemente e pronunciò: <Ti amo, Michael.>
Eccole, le due parole tanto attese. Due parole semplici, brevi. Un insieme di tre vocali e due consonanti, ma allo stesso tempo due parole da pronunciare non a vanvera, pienamente sicuri dei propri sentimenti.
In quel preciso istante Michael sapeva che Taylor provava esattamente ciò che aveva tradotto in parole, tuttavia si rese conto che quel "ti amo" aveva avuto uno strano effetto su di lui. Non riusciva nemmeno a spiegarlo con precisione quella sensazione, però almeno di una cosa era sicuro: non sarebbe mai riuscito a ricambiarle quelle due parole - già dette un'infinità di volte, senza alcun minimo dubbio -, guardandola negli occhi e senza provare un senso di vergogna, perché ormai sentiva di non provare più quel suo stesso sentimento.
Ora sì che bisognava iniziare a preoccuparsi sul serio. Se prima aveva preferito giustificare il più delle volte la sua incertezza sul loro rapporto dando la colpa allo stress causato dai preparativi per il matrimonio, adesso non esisteva alcuna copertura per dare un motivo al fatto di non riuscire più persino a dire "ti amo" alla propria futura moglie.
Comunque, doveva lo stesso darle una risposta, nonostante quello che gli stava passando per la mente.
<Anche io> le disse alla fine, facendo del suo meglio per ricambiarle il sorriso.
Se avesse pronunciato un "ti amo anche io" di sicuro gli avrebbe tremato la voce, avrebbe dovuto abbassare lo sguardo dal viso di Taylor, lei a sua volta si sarebbe accorta che qualcosa non andava, così sarebbero iniziate le domande, e Michael voleva semplicemente evitare tutto questo.
<É arrivato il momento> disse a quel punto Taylor, indugiando ancora un attimo sul separarsi dal suo fidanzato o no.
Michael annuì, teneramente. <Fai buon viaggio, tesoro.>
Santo Cielo, si sentiva una merda a chiamarla tesoro, veramente.
<Ciao, amore> lo salutò lei. Quindi prese le sue due trolley, rigorosamente di Louis Vuitton ed intonate alla borsa, e si avvicinò ai suoi genitori. All'ultimo si voltò ancora un secondo verso di lui e gli rivolse un saluto con la mano, poi si unì finalmente alla coda per gli sportelli dell'imbarco e scomparì tra la folla di persone.
Michael pensò che quella era l'ultima volta da lì a sei mesi in cui vedeva gli occhi chiari di Taylor dal vivo. Tuttavia la sua mente sembrava già impaziente di ricordare un altro paio di occhi, ancora più azzurri ed incantevoli.

                                                                          ~~~

Era passata circa un'ora da quando Michael aveva lasciato Taylor. Aveva aspettato in aeroporto fino a quando non aveva sentito annunciare che il gate dell'imbarco per Parigi stava per chiudere e avvisava di affrettarsi. Aveva atteso di vedere il decollo dell'aereo fino a quando finalmente non lo aveva visto prendere la rincorsa e librarsi in cielo, come un enorme gabbiano dalle ali spiegate. L'aereo su cui viaggiava Taylor, la sua fidanzata.
Eppure, era incredibile da dire, però Michael, in quei minuti d'attesa, non aveva percepito quasi per niente la mancanza della sua futura sposa. Anzi, aveva sentito il decisorio sempre più crescente di incontrare una certa persona. Una persona un po' più giovane di lui, con dei perfetti capelli biondi che gli ricadevano teneramente sulla fronte, e degli indimenticabili occhi chiari che non erano altro se non due immense pozze azzurre ipnotizzanti. E poi quella fragilità, quella innocenza e quell'ingenuità che trasparivano da una semplice espressione del viso, per non parlare di quel senso di tenerezza e protezione che gli aveva provocato. Una persona di cui ancora non sapeva il nome, e che si accontentava per il momento di chiamare "Occhi di Ghiaccio".
C'era veramente da preoccuparsi se in quei momenti non si pensava alla propria fidanzata ma ad un ragazzo per buona parte sconosciuto, e bisognava sottolineare bene la parola "ragazzo".
Michael non aveva alcuna preferenza verso gli uomini, non era mai stato attratto da un ragazzo come lui prima d'ora, aveva sempre e solo prestato attenzione a figure femminili.
Quindi, cosa voleva dire tutto questo?
Subito dopo aver visto decollare l'aereo, Michael era uscito dall'aeroporto Gatwick, e dopo aver incrociato diversi turisti muniti di trolley e comitive alla ricerca del pullman su cui salire, aveva raggiunto la sua jeep e vi si era rifugiato dentro.
Aveva guardato fuori dal finestrino, aveva stretto forte il volante come per voler liberarsi dalla rabbia che lo assaliva, aveva gettato indietro la testa sul poggiatesta sconfitto dalla frustrazione. Così era passata un'altra ora, pensando sempre e solo ad "Occhi di Ghiaccio", seppur Michael avesse fatto del suo meglio per scacciare via la sua immagine dalla mente.
Lo stesso aveva fatto durante il viaggio di ritorno verso Canterbury.
A cena, sua mamma non c'era perché era andata a trovare sua sorella, quindi lui era rimasto da solo senza alcuna distrazione, a pensare ancora al suo giovane vicino di casa, e così anche per tutto il resto della serata.
Non c'era proprio nessun verso di allontanare i suoi pensieri da quel ragazzo, qualsiasi cosa Michael facesse la sua figura restava sempre ferma lì nella sua memoria, testarda come un mulo.
Aveva guardato la tv, poi Taylor lo aveva chiamato da Parigi per informarlo che erano arrivati a destinazione senza problemi. Dopo era ritornata sua mamma e gli aveva raccontato come era andata la cena a casa di zia Lydia e altre cose, ma niente.
Nemmeno il pensiero che l'indomani avrebbe potuto guardarsi allo specchio ammirando il piercing tanto desiderato era servito a fargli dimenticare "Occhi di Ghiaccio".
Verso le 23.00 era salito al piano di sopra e si era chiuso in camera sua. Si era messo sotto le coperte e, fissando il soffitto, aveva iniziato a riflettere e a porsi un sacco di domande, come mai aveva fatto.
Era trascorsa un'ora. La mezzanotte era già passata da un po', ormai non c'era più nessuna luce accesa nelle case di Oakwood Road a Sturry Canterbury, tutte le persone erano andate a dormire.
Michael, tuttavia, era ancora sveglio, e stava fissando il soffitto della sua camera, decorato con quegli adesivi dei supereroi che aveva attaccato suo padre quando aveva otto anni e che ora erano impossibili da staccare.
Stare sveglio e farsi un sacco di domande però gli era servito, e per una volta nella sua vita aveva sentito di essere giunto ad una conclusione abbastanza certa.
Lui, Michael Gordon Clifford, quasi ventitré anni, fidanzato con una ragazza bellissima, era attratto da un ragazzo più giovane di lui di cui nemmeno sapeva il nome.
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SPAZIO AUTRICE
Ciao, people! Come state? Spero bene lol ecco finalmente il capitolo nove!!! Con un piccolo ritardo, scusatemi :)  Allora, in questo capitolo vediamo il nostro Michael e la sua cara fidanzatina (per la gioia di Federica e  Luana ahaha), ma udite udite lei parte per Parigi e chissà quando la rivedremo (ma ma più mi dice una voce fuori campo ahahah) E poi, Michael che capisce di avere una cotta per Luke!!!! Evvai, anche lui!!!! Bene, ora incontratevi, baciatevi e fiori d'arancio ahahah no scherzo, ci vorrà ancora un po'. Con calma e un po' per volta succederà tutto. Venerdì era il compleanno di Michael!!! Non ci credo ancora che abbia già venti anni!!! E domani mancherà un mese al mio compleanno!! Ahahaha vabbé smetto di delirare, e scappo ora però devo fare un sacco di cose. Se la storia vipiace mettete   votini  e commentate!  (Sono già arrivata a 100 voti, nemmeno al decimo capitolo! Vi amo, people!) ahahah ciao ❤️



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