LENA & DeDe (SECONDA PARTE)

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L'indomani, venerdì mattina, iniziava l'andata di un torneo di pallavolo tra le classi della scuola. Elena era stata scelta dal suo professore di educazione fisica per giocare nella squadra della 3F linguistico, visto che era abbastanza brava a pallavolo (a differenza di Lorenza che, in quelle poche volte che aveva provato a fare un bagher, aveva lanciato la palla o fuori dalla porta o le era finita direttamente incastrata nella spalliera).
<Contro chi giochiamo?> chiese Elena ad Emanuela, quando arrivarono in palestra.
<Contro la 3E professionale.>
Panico. Possibile che con tutte le classi presenti nella scuola, proprio con la classe di Denise dovevano giocare?
"Bé, magari non giocherà lei. Sarà più brava nel calcio" cercò di ipotizzare la ragazza.
Nel mentre, però, entrarono in palestra i loro avversari e, sfortunatamente per Elena, tra loro c'era anche Denise.
Quest'ultima, non appena vide la ragazza dai capelli mossi, le rivolse subito quel suo sorriso malizioso, e le fece l'occhiolino. Elena arrossì.
Quel giorno Denise indossava sempre i soliti jeans, abbinati ad una felpa grigia con cerniera, sbottonata, delle Nike nere e un cappellino con visiera indossato alla rovescia. Vestita in quel modo, alla diciassettenne apparve così terribilmente perfetta.
Elena arrossì ancora di più, mentre nel frattempo le arrivò un messaggio.

DENISE: "Che bella sorpresa incontrarti qui, bimba. Non sapevo che sapessi giocare a     pallavolo. Mi sembri così fragile e delicata anche per sfiorare un pallone."
               "Cosa ne dici se ci becchiamo noi due da sole negli spogliatoi, prima che inizi la partita?"

Oh no. Eccola di nuovo in azione. Perché doveva essere sempre così provocante, quasi volgare... E allo stesso tempo così dannatamente intrigante?
Si preannunciava una lunga ora.
Elena cercò di concentrarsi solo sulla partita, facendo finta che Denise non fosse lì a giocare per la squadra avversaria. Batté almeno una decina di volte, ricevette in bagher, fece addirittura un paio di schiacciate e segnò quattro punti. Dopo circa mezz'ora si sentiva già sfinita per tutte le volte che la diciannovenne aveva lanciato la palla nella sua direzione e lei aveva dovuto ricevere.
Ad un certo punto si ritrovarono entrambe come alzatrici, con solo la rete a separarle.
Elena cercava di concentrarsi sui passaggi dei suoi compagni di squadra, quando si sentì sfiorare leggermente il palmo della mano destra, provocandole quasi solletico, e si accorse di essere un po' troppo addossata alla rete. E a Denise.
<In questo momento vorrei tantissimo essere quella palla, per poter essere tenuta tra le tue mani delicate, bimba> le sussurrò la più grande, così piano che riuscì a sentirlo solo lei.
Elena sentì un lunghissimo brivido di eccitazione, arrossì violentemente e non capì più niente, tutto in un secondo. D'istinto ritrasse immediatamente la mano, scosse la testa come per scacciare via tutti quei pensieri che stava facendo su di lei, e si voltò verso la sua squadra.
Peccato che Emanuela avesse preso un tantino male le misure al momento di battere, così la palla non era finita al di là della rete, nel campo avversario.
La ragazza dagli occhi color nocciola riuscì ad accorgersi in ritardo che la palla stava arrivando proprio verso di lei. In un attimo sentì un dolore lancinante alla guancia sinistra, e si ritrovò mezza intontita sdraiata a pancia in su sul pavimento impolverato della palestra.

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Mezz'ora dopo Elena era seduta sul lettino dell'infermeria, con un sacchetto di ghiaccio freddo pressato sulla guancia. Fortunatamente non aveva niente di rotto, era stato solo il colpo a provocarle un bel po' di dolore.
Emanuela si era scusata in tutte le lingue possibili ed immaginabili, ed Elena l'aveva tranquillizzata dicendole che non era stata sua la colpa, ma era stata lei quella che si era distratta. A dire la verità era stata tutta colpa di Denise, perché l'aveva distratta con le sue parole, ma non poteva certo dire ai suoi compagni di classe che la ragazza per la quale aveva una mezza cotta le aveva sussurrato una frase delle sue.
<Allora, va un po' meglio adesso, cara?> le chiese il prof di ginnastica. Lui si rivolgeva sempre così alle sue alunne. Faceva il casca morto con tutte, bidelle incluse, e praticamente tutta la scuola sosteneva che lui avesse una relazione extraconiugale con la prof di francese di Lorenza, che era anche la vice delle vice preside. Almeno, erano sempre insieme, e facevano gli stupidi di continuo.
Elena annuì. <Tutto a posto, prof. Non si preoccupi.>
<Bene. Allora vado un secondo in palestra a vedere che quei casinisti del triennale non abbiano rotto un vetro giocando a calcio.>
La ragazza rimase così da sola, visto che anche la bidella che era al piano era dovuta scappare a rispondere al telefono. Vagò distrattamente lo sguardo per tutta la stanza, e si soffermò a fissare attraverso la finestra il palazzo al di là della strada. Intanto non poté fare a meno di ripensare a quello spiacevole incidente ma, soprattutto, a tutte le sensazioni ed emozioni che le aveva fatto provare Denise sin da quando era entrata in palestra insieme ai suoi compagni di classe.
Quello che le aveva scritto. L'occhiolino che le aveva rivolto quando l'aveva vista. Quando le aveva sfiorato la mano.
Perché le piaceva così tanto?
Nel mentre la porta si aprì all'improvviso, facendo apparire Denise, che, una volta entrata nell'infermeria, se la chiuse alle spalle con la stessa velocità con cui l'aveva aperta.
La mora tirò un sospiro di sollievo. < Bimba, per fortuna stai bene.>
<Cosa ci fai qui? Vattene!> ringhiò subito Elena.
Denise al contrario, le si avvicinò lentamente, guardandola fisso negli occhi. <Non mi trattare così, dolcezza. Ti prego.>
<Sono io quella che ti prega di andartene. Te lo ripeto: vattene, Denise!>
<No, io non mi muovo da qui> si impuntò la diciannovenne. <Non me ne frega un cazzo di stare in palestra a giocare a pallavolo. Voglio stare qui con te.>
A quel punto si sedette accanto ad Elena sul lettino. Il cuore della più piccola iniziò a fare le capriole nel petto, vista tutta quella vicinanza. Poi, delicatamente, Denise le prese il sacchetto del ghiaccio dalle mani e glielo appoggiò lievemente sulla guancia dolorante, alternandolo di tanto in tanto con dolci carezze. Ad un tratto le lasciò anche un paio di piccoli baci, provocandole dei brividi lungo tutto il corpo.
Fu allora che Elena si alzò di scatto dal lettino, così velocemente da fare scivolare il ghiaccio dalle mani dell'altra ragazza.
<Basta, Denise! Ti prego, smettila!> le ordinò, furiosa. <Se per tutto questo tempo hai pensato bene di prenderti gioco di me con quelle tue maniere maliziose e provocanti, sappi che fa veramente schifo, prendere in giro le persone in questo modo. Se é così, ti chiedo di smetterla immediatamente.>
<Non tu sto prendendo in giro, credimi> le rispose prontamente la mora.
Cavolo, dal tono di voce sembrava più che sincera.
<Allora non so quali siano le tue vere intenzioni. In qualunque caso vale comunque la stessa condizione: finiscila!>
Ci fu un minuto di silenzio, poi Denise appoggiò anche lei i piedi sul pavimento e guardò Elena dritta negli occhi. <Tu mi piaci, Elena. Mi piaci troppo. Così tanto che non riesco a smettere di pensare a te. Così tanto che ogni santo giorno muoio dalla voglia di inviarti miliardi di messaggi in cui ti dico che il tuo sorriso é il più bello che io abbia mai visto in questa mia fottutissima vita, che non riesco a trovare nessuna caratteristica in te che non mi attrae. Desidero conoscerti meglio, Elena, sapere tutto su di te, anche i più piccoli ed insignificanti particolari. Ogni volta che ti vedo, poi, non sai quanto io desideri prenderti tra le mie braccia e baciarti con passione davanti a tutti.>
Elena arrossì, e scosse la testa scioccata soprattutto da quelle ultime parole. <Denise, per favore, smettila. Non sai quello che stai dicendo.>
<Lo so eccome, invece. So perfettamente quali sono i miei orientamenti sessuali. Può capitare a volte, sai, bimba? É la vita. E poi le tue amichette non ti hanno detto che noi del professionale siamo tutte lesbiche o bisex?>
La più piccola arrossì ancora di più e provò a formulare qualche frase che avesse senso. Denise, però, la precedette, dopo alcuni secondi di silenzio. <Elena, ascoltami: so perfettamente che tu sei il mio esatto opposto, in tutto, non solo in quel senso. E io non sono nessuno per obbligarti ad innamorarti di me, anche se io quando voglio ottenere qualcosa di solito sono testarda e determinata ad ottenerla. Però, Elena, cazzo... Io noto che si confusa. Non pensi "Oddio, che cazzo sta dicendo questa. Che schifo, baciare una ragazza!" Non so se é per come mi comporto io, ma tu arrossisci, non sai cosa fare, miliardi di ormoni impazziscono dentro di te. Lo leggo nei tuoi occhi, bimba. Lo so riconoscere.> Fece una pausa. <So perfettamente riconoscere cosa si prova quando ti accorgi di guardare una ragazza come te come invece dovresti guardare un ragazzo. Ti sembra tutto così strano, ti chiedi "perché proprio io?", ma poi capisci che quella sei tu e non puoi cambiarti. Mandi al diavolo tutto e tutti, tutte le stronzate che pensano le persone, e vivi la tua vita. All'inizio potrà essere difficile, ma poi ti ci abituerai.>
<Denise... Io non sono...>
<Sì, bimba, lo so. Tu non lo sei. O forse credi di non esserlo. Non tocca a me capirlo, però. É compito tuo, piccola.> La diciannovenne si avvicinò un po' di più alla più piccola. <Se io ti piaccio anche solo tanto così, però, ti chiedo almeno di pensare bene a quello che senti, e di ascoltare ciò che ti dice il tuo cuore. Se non vuoi farlo per me, che sono una grandissima testa di cazzo, fallo per te, almeno.>
Elena le sorrise, rassicurante. <Non sei una testa di cazzo, Denise.> Le aveva dette a modo suo, però le erano piaciute le parole che le aveva detto. Le era sembrata così sincera, seria e quasi profonda, senza quella sua solita vena maliziosa e spavalda dietro a cui si nascondeva.
La diciannovenne ricambiò il sorriso, poi le prese il viso tra le mani e la guardò intensamente negli occhi. <Promettimi che ci penserai, Elena. Se dovessi mai capire che io non faccio per te, io rispetterò la tua scelta. Farà male, ma io non voglio obbligarti ad essere la mia ragazza, te l'ho già detto.> Le lasciò un casto bacio sulla fronte. A quel punto si allontanò da lei ed uscì dall'infermeria.
Elena restò lì immobile a fissare la porta, con il cuore che le batteva forte, un sorriso stampato sulle labbra e quelle due parole, "la mia ragazza", che le rimbombavano nella testa come il ritornello di un tormentone estivo.
"Te lo prometto, Denise. Ci penserò."

Solo Per Te (Muke)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora