Il cielo era talmente vicino da poterlo toccare con un dito. Le stelle e la luna brillavano illuminando la notte. Guardò in basso e vide una distesa blu con leggere increspature di schiuma bianca: l'oceano.
Si sentiva libera. La leggera brezza le scompigliava i capelli che le facevano solleticare la fronte. Davanti a lei vide la figura di suo fratello, che come lei si stava librando dell'aria. Volare era una delle sensazioni più belle che una persona possa mai provare nella sua vita e che quasi nessuno avrà mai la possibilità di sperimentare. Era come nuotare da un lato; dall'altro però era una cosa del tutto nuova. Improvvisamente le stelle e la luna sparirono. Non vedeva più James, non vedeva più nulla. Il buio l'avvolse e la fece precipitare sempre più in basso. Tocco terra senza farsi un graffio. Appoggiò le mani e si rese conto che quella sotto di lei era sabbia. Sentiva ben scandita una perfida risata che le fece rizzare i peli delle braccia. Avrebbe voluto urlare, ma non le usciva la voce. Dei bambini stavano piangendo disperati. Si portò le mani alle orecchie e si strinse le gambe al petto raccogliendosi e facendosi piccola piccola, come un riccio spaventato.Parker si svegliò in un lago di sudore. Si toccò la fronte senza aprire ancora gli occhi. Scosse la testa. Era stato tutto un sogno, allora. Peter Pan era solo il prodotto di due pizze doppio formaggio mangiate alle dieci di sera. Come aveva fatto ad essere così stupida a credere fosse stato tutto reale. Rise di sé stessa.
Si stiracchiò per bene i muscoli e iniziò ad aprire lentamente gli occhi. Realizzò spaventata che quello non era il suo letto, ma una sorta di brandina in legno con un materasso fatto con paglia, e quella non era di certo la sua stanza. Non era stato un sogno pensò. Era tutto vero. Cercò di tirarsi a sedere senza successo. Aveva le mani bloccate ai lati del letto con delle corde che le stringevano i polsi. Anche le caviglie erano legate. Tirò le corde, cercò di portarsele alla bocca per tentare di morderle, ma erano troppo corte e non ci arrivava. Si dimenò sul materasso facendo cadere fili d'orati di paglia sul pavimento di legno.
In quel momento sentì bussare alla porta di quella stramaledetta camera delle torture. Anche se doveva ammetterlo era molto accogliente, anche se molto selvaggia con rami e foglie in ogni dove.
Fece il suo ingresso in stanza Peter Pan, con la stessa sicurezza e sfacciataggine con cui si era presentato la notte prima.
"Buon giorno ragazzina. Dormito bene?"
Si avvicinò al letto e la squadrò da capo a piedi.
"Scusa se ti ho legato ma sai, per qualche assurda ragione credevo che saresti scappata non appena sveglia." disse mettendosi una mano tra i capelli e sistemadoli dietro.
"Che cosa vuoi da me e da mio fratello?" domandò cercando di non sembrare spaventata.
"Io nulla. Siete voi che siete venuti da me." fece una pausa e si sedette sul bordo del letto. "O mi sbaglio?"
Parker riportò alla mente i ricordi della notte precedente. Era stato suo fratello a raggiungere Kensington Garden, ma non era in sé di questo era sicura.
"Hai drogato mio fratello e l'hai manipolato per farti raggiungere al parco. Lui non sarebbe mai venuto di sua spontanea volontà."
Il ragazzo la fissava sorridente.
"Questo non è del tutto vero." Estrasse dalla tasca quel bizzaro flauto che stava suonando nel parco.
"Vedi, questo strumento ha un potere speciale. Ha il potere di condurre a me tutti i bimbi sperduti. Io lo suono e loro arrivano da me."
Parker era confusa e spaventata, ma allo stesso tempo curiosa.
"I bimbi sperduti?" chiese agrottando le sopracciglia.
"Sono tutti quei ragazzi orfani o quelli che non si sentono all'interno di una vera famiglia. Solo loro possono sentire il suono del mio flauto e solo loro possono trovarmi." Ripose il flauto in tasca e si alzò per fare un giro della stanza.
"Non ha senso quello che dici. Per quale motivo mio fratello sentirebbe quella musica. Ha una famiglia, una splendida famiglia." le ultime parole le aveva pronunciate senza molta convinzione.
"Potrei farti la stessa domanda. Anche tu sentivi il mio flauto, dico bene?!" sogghignò. Le si avvicinò all'orecchio con una velocità sovraumana. Non si era nemmeno accorta che le si era avvicinato.
"Una famiglia composta da un padre che viaggia sempre per lavoro e non vede mai i suoi figli. Una madre che pensa solo a far uscire il suo prossimo libro. E dei nonni, cugini, zii che abitano dall'altra parte del mondo. Non si può certo definire una famiglia unita."
Parker in fondo l'aveva sempre pensato. A parte suo fratello non aveva nessuno. Per questo era così iperprotettiva nei suoi confronti. Faticò a ricacciare le lacrime indietro.
"Tu come fai a sapere tutte queste cose sulla mia famiglia?"
"Tuo fratello, James, mentre tu schiacciavi un pisolino. Lui ha avuto modo di incontrarmi e mi ha raccontato molte cose sulla vostra famiglia e su di te."
Suo fratello era lì. In quel posto chissà dove, insieme a lei. Almeno questo riuscì a risollevarle il morale.
"Dov'è James?" chise agitandosi nel letto.
"Sta bene non preoccuparti. Si sta ambientando. Sembra gli piaccia stare qui." Raggiunse l'unica finestra in quella stanza e guardò fuori. La luce del primo sole gli accarezzava il viso.
"Qui?" domandò di nuovo la rossa.
Il ragazzo estrasse un coltellino dagli stivali.
"Non spaventarti voglio solo liberarti dalle corde."
Tagliò delicatamente la corda con estrema attenzione a non prendere la pelle della ragazza. Parker si alzò disorientata e seguì Peter alla finestra.
"Benvenuta sull'isola che non c'è, ragazzina!"
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The real Pan
FanfictionOgni settimana a Londra spariscono misteriosamente dei ragazzi, senza lasciare tracce. Parker Cross ha sedici anni: pelle chiara, capelli rossi boccolosi e profondi occhi color cioccolato. Svolge una vita normalissima: scuola, amiche, fratello teppi...