10.Il racconto di Uncino

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Ormai era da giorni che non s'imbatteva nella sua immagine riflessa nello specchio. Nella cabina dove l'avevano rinchiusa ce n'era uno in tipico stile pirata, fatto in legno lavorato, come tutto il resto, che stava accanto ad una piccola cassettiera. Guardando la sua immagine faceva fatica a riconoscersi. Sotto gli occhi aveva due profonde occhiaie nere ed il viso era emaciato quasi fantasmagotico. Sono orrenda pensò. Era stata costretta a togliersi i vestiti che le aveva dato Pan, per sostituirli con un abito di un verde intenso che le scendeva fino ai piedi avvolgendole tutto il corpo. Nella parte del bustino erano ricamati dei fiori d'orati che s'intrecciavano tra loro. Sui fianchi aveva una possente cintura in cuoio, dove vi era cucito un fodero per una spada. Era sempre stata affascinata dagli abiti lunghi, medievali quasi da fiaba, ma essere costretta ad indossarlo per una cena a lume di candela con capitano Uncino aveva reso tutto poco piacevole, persino indossare quello splendido abito.
La tavola imbadidata era stata allestita all'interno della cabina del capitano, nel centro esatto della stanza. Su di essa poggiava il più vario cibo che Parker avesse mai potuto immaginare; si andava dalla semplice carne arrosto, fino alle pietanze più raffinate.
Il capitano non era molto loquace quella sera, si limitava a mangiare, bere rum e lanciarle penetranti occhiate di tanto in tanto.
Regnava un silenzio carico di tensione. Parker decise che quel clima stava diventando troppo pesante.
"Come ha perso la mano?". Se lo chiedeva in continuazione. Aveva ipotizzato varie teorie, e la più realistica era stata quella di averla persa durante un duello.
Uncino rise e con la mano buona si portò il calice alla bocca.
"Da queste parti non si da del lei, ma del voi." Sembrava aver voluto sviare la domanda. Parker si rassegnò al pensiero che non avrebbe mai scoperto la verità e riprese a mangiare le sue patate.
Teneva lo sguardo sul piatto sentendosi osservata.
"Pan." La voce del capitano eccheggiò nella stanza rimbalzando sulle pareti.
Parker prestò attenzione all'uomo seduto davanti a lei.
"Ero nel bel mezzo di un combattimento con quel piccolo demonio, quando senza che me ne rendessi conto mi ritrovai sopra al ragazzo, con la mia spada che gli puntava dritta sulla gola." sorseggiò un altro po' di rum strizzando gli occhi.
"Stavo per vincere. Stavo per uccidere Peter Pan. Ma esitai. Per qualche assurda ragione non riuscii ad ucciderlo. Vedevo solo un bambino indifeso, che stava per accogliere la morte come una vecchia amica. In quel momento mi rividi in Pan. Anch'io ero come lui. Un ragazzo abbandonato e solo."
Parker era completamente ipnotizzata dal racconto, tant'è che smise di mangiare.
"Mentre io ero li in piedi su di lui, Pan raggiunse con la mano il suo pugnale che teneva nello stivale e con una mossa rapida mi tagliò la mano e la gettò in mare."
sogghignò per poi continuare il suo racconto.
"Un coccodrillo che passava di li si fece uno spuntino con la mia mano e da quel giorno non fa che inseguirmi sperando di porter mettermi sotto i denti." Cercò di ironizzare ma si vedeva che la considerava una tortura dover vivere con la paura costante di essere sbranato da un coccodrillo.
"Non ho visto nessun coccodrillo sull'isola." disse Parker appoggiandosi allo schienale della sedia.
"Già. Questo perché Pan lo tiene prigioniero per usarlo al momento giusto come arma contro di me."

Una volta conclusa la cena, Parker venne ricondotta nel suo alloggio. Continuava a ripensare alla storia di Uncino. Era stato Peter a privarlo della mano, ma nonostante tutto non riusciva a biasimarlo. Si era solo difeso. Uncino, anche se aveva indugiato per un momento, di sicuro l'avrebbe ucciso se lui non fosse riuscito a prendere il suo pugnale.
Si slacciò il fiocco che le teneva tirato il corsetto. Finalmente poteva respire. Tolse il vestito e rimase in sottoveste. Versò dell'acqua nella ciotola in ceramica che aveva nell'angolo toiletta e si sciacquò il viso.
Pensava a suo fratello. Probabilmente era disperato, in pena per lei. Avrebbe tanto voluto portergli dire di non preoccuparsi e che tutto sommato stava bene, non la stavano torturando o molestando. Senza volerlo pensò anche a Peter. Ai suoi occhi che la fissavano, alle sue labbra che per un istante erano state così vicine alle sue. Scosse la testa per scacciar via quei pensieri e si buttò a peso morto sul letto.
Si addormentò non appena toccò il cuscino.

Venne svegliata da un ticchettio leggero ma estremamente fastidioso che proveniva dalla piccola finestrella della cabina.
Assonnata uscì dalle lenzuola e a passi lenti raggiunse la finestra. Il rumore era cessato e guardando oltre il vetro vedeva solo una fitta nebbia che aleggiava sul bordo del mare. Prese una candela appoggiandola sul davanzale. La maniglia era arrugginita. Probabilmente quella finestra non veniva aperta da anni. Con tutta la forza che aveva nelle braccia tirò e infine la sentì scattare. Fuori faceva freddissimo. Prese la candela in mano e sporse la testolina rossa oltre la finestra. Vedeva qualcosa in lontananza diventare sempre più grande, come se si stesse avvicinando a lei. Si stropicciò gli occhi credendo di sognare. Quell'ombra era sempre più visibile e senza aver nemmeno il tempo di capire di cosa si trattasse se la ritrovò sopra. La candela si era spenta per la corrente ed era volata vicino alla porta d'ingresso della cabina. La ragazza ora si ritrovava a terra, sdraiata sul pavimento. Alzò lo sguardo ed incontrò quegli occhi che tanto l'assillavano in quelle notti. Erano talmente vicini ai suoi che poteva vederci attraverso.
"Ti sono mancato, ragazzina?!"

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