Capitolo 5
Feci lo sforzo di indossare un paio di jeans scuri e un cardigan abbinato sopra ad una camicetta azzurra. Guardai l'orologio, erano le quattro e in mezz'ora avrei rivisto Marco.
Indossai il piumino ed uscii di casa controllando di avere telefono e portafoglio. Per un istante presi anche in considerazione di infilare in borsa la lacca, giusto in caso avessi sentito il bisogno di fuggire da lui dopo avergliela spruzzata in volto, ma non era il caso di fare la tragica.
"16:30-Arco della Pace" me lo aveva rimandato per la terza volta. Sul tram sapevo che stavo andando incontro alla mia morte, perché Marco mi avrebbe fatta sentire malissimo, ma l'idea di vederlo mi emozionava, in un certo senso. Avevo passato il tragitto sforzandomi di non piangere, mentre chiunque mi ignorava passandomi accanto e mi venne da pensare a quando a Torino, ad Aprile su un tram molto simile lo stavo andando ad incontrare per riavere il mio telefono. Erano successe troppe, troppe cose e troppo in fretta, ma se c'era una cosa che non era mai cambiata in quei mesi era il fatto che lo amavo purtroppo ancora troppo per dire un 'no' secco alla sua superba richiesta di vederci.
Scesi dal tram, l'Arco della Pace che mi capeggiava di fronte e a pochi metri da me un Marco che sembrava essere in incognito.
Ero in ritardo e lui mi osservava senza farmi strani saluti a braccia conserte, il peso su una gamba sola mentre mi scrutava attraverso le lenti degli occhiali da sole.
Le strisce pedonali furono troppo brevi e solo quando lo ebbi di fronte mi salutò con un abbraccio e un bacio sulla guancia. Era una persona assurda, perché al telefono sapeva apparire davvero un enorme stronzo, ma sicuramente i suoi metodi dolci non glieli avrebbe mai tolti nessuno.
-Allora...?- chiesi guardandolo. Era snervante non riuscire a vedere i suoi occhi; odiavo i suoi occhiali da sole e odiavo quando li indossava.
-Andiamo al coperto- suggerì avvicinandosi alle strisce pedonali sulle quali ero appena passata. Stavo per attraversare, ma mi fermò da un braccio quando notò che un'auto stava arrivando a tutta velocità. Lasciò il mio braccio solo qualche istante dopo essersi reso conto di avermi afferrata ed abbassò la testa.
Attraversammo la strada rapidamente e dopo qualche minuto di camminata silenziosa entrammo in un locale.
Ci sedemmo al piano superiore, dove non c'era nessun altro ad esclusione nostra e notai come continuasse a fissarmi ora che mi ero tolta giacca e sciarpa. Si era tolto gli occhiali e continuava a mordersi un labbro forse spinto dall'ansia.
-Prendi qualcosa o stai portando avanti un qualche piano per diventare invisibile?- evidentemente doveva riferirsi al mio essere dimagrita, ma alzai le spalle guardandolo con la fronte corrugata.
-Una spremuta d'arancia- gli dissi e lui nuovamente abbassò lo sguardo.
Mi rendevo conto di star apparendo un'enorme antipatica, ma fino a quando non mi avesse detto quello per cui avevo attraversato mezza Milano non mi sarei sentita soddisfatta.
-Prima che tu possa sentire il desiderio di linciarmi, voglio subito dirti di Elisa. Almeno forse dopo smetterai di guardarmi male- disse questa volta guardandomi negli occhi e fui io ora a non riuscire a reggere il suo sguardo. Cominciai a guardarmi attorno giocherellando con una bustina di zucchero mentre il silenzio aveva cominciato a torturarmi dentro.
-Va bene. Dimmi di Elisa- incrociai le braccia pronta ad affrontare l'onda emotiva che mi avrebbe travolta insieme alla sua spiegazione.
-Mi rendo conto che tutti pensino che sia una mia compagna o qualcosa di simile, ma non è così- commentò lanciandomi occhiate furtive rapidamente.
-Ah, ma davvero?- dissi in tono sarcastico appoggiandomi allo schienale per aumentare la mia distanza da lui. Di riflesso lui si protese in avanti, cercando di recuperare quello spazio ed io ringraziai che fossimo divisi da un tavolino.
-Non fare la stronza con me- commentò a bassa voce, mentre la barista con i nostri ordini si avvicinava.
-Grazie- sorridemmo entrambi alla ragazza che si allontanò con la stessa rapidità con cui si era avvicinata.
-E allora muoviti a dirmi quello che devi- sussurrai per paura che potesse mandarmi a stendere.
-Elisa- e mi lanciò uno sguardo lampante –è la mia personal trainer- la cosa mi investì in pieno, ma era ancora troppo presto per gioire.
Alzai un sopracciglio e attesi che continuasse.
-Siamo stati visti spesso assieme perché insieme ci spostiamo dalla palestra al campo da Tennis. Mi controlla mentre gioco per evitare di mandare a farmi fottere le mie ginocchia- continuò.
-E suppongo che di smentire quelle voci manco a parlarne. Forse perché qualcosa tra voi c'è?- gli chiesi afferrando il bicchiere con la spremuta e lui... lui mi guardò malissimo.
-Perché fai così? Ti sto dicendo che tutta quella faccenda è una scemenza e tu continui imperterrita. Cosa vuoi sentirmi dire? Che stiamo assieme? Non è così, perché penso sia chiaro che a me interessi qualcun altro... che mi interessi tu- disse con tono esasperato. Mi sentivo come se stessi svolazzando in aria con due ali.
-Perché allora non ti fai mai vivo quando siamo divisi?- abbassai lo sguardo sulle sue mani che circondavano la sua tazza di tè. I nostri sguardi si incrociarono nuovamente, ma nessuno dei due sembrava voler distogliere il proprio.
-Non dirmi che la nostra storia sia mai stata normale- disse.
Forse era vero, in fondo l'unica cosa che realmente importava era che eravamo troppo diversi e non ordinari per avere un rapporto normale.
-Spiegami solo perché sono state più le volte in cui ci siamo visti per chiarirci rispetto a quelle in cui abbiamo pensato solo a noi, ad essere felici- dissi e le lacrime che avevo tanto cercato di trattenere sembrarono uscire tutte assieme.
Si alzò dalla sua sedia e mi venne accanto. Mi diede un abbraccio ed io sprofondai nel suo petto, senza la certezza di cosa sarebbe significato.
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A UN PASSO DA TE - UNO DEI TANTI SEQUEL || MARCO MENGONI FF
FanfictionSequel di "Uno dei Tanti"- vnuance