Capitolo 37

970 53 6
                                    


Capitolo 37

In realtà Marco si cagava addosso all'idea che io fossi forse la prima persona ad ascoltare quel disco. Aveva spudoratamente confermato che qualcosa, magari anche solo un verso, era stato scritto per me e il fatto che io stessi per ascoltare il tutto lo terrorizzava. Ecco perché se ne era andato. Probabilmente avrebbe passato il resto della giornata sul suo divano in preda all'ansia, perché figuriamoci se si sarebbe attraversato Milano non una, ma due volte, solo per darmi il disco. In studio aveva concluso quanto doveva fare –almeno per quel giorno- ed ora si era andato a nascondere.

Io avevo ascoltato il disco già due volte e lo trovavo sensazionale, a parte una canzone che mi dava i nervi e a cui non trovavo alcun tipo di riferimento. Sospettavo che la traccia di cui parlava di me fosse proprio la prima, Ricorderai l'amore, perché tutto sommato era quanto mi aveva anche scritto per messaggio la notte in cui aveva scoperto che ero a Milano e non a Monaco di Baviera, in cui mi aveva chiesto se non mi fossi posta il dubbio che nella nostra relazione anche lui fosse rimasto male.

"E come te anche lui ci spera, come te anche lui rimane ferito" sì, era più o meno quello che mi aveva detto quella notte di due settimane e qualche giorno prima.

Ma la cosa non mi fece arrabbiare, perché aveva inciso il disco a Luglio e ad Agosto, in una fase che tra noi era abbastanza altalenante, con qualche arrangiamento dell'ultimo minuto a fine Settembre e lì si che eravamo in merda. Però fu interessante sentire quella canzone più e più volte, ma quella che mi rapì fu "Ad occhi chiusi", perché –in quanto dedicata ai suoi fan- racchiudeva tutte le cose che avevo sempre voluto dirgli prima di iniziare a frequentarlo, quando ancora ero solo sua seguace.

"Ti amo" scrissi a Marco e non mi aspettai una sua risposta. Capii che doveva essere davvero terrorizzato all'idea che sentissi quelle tracce solo quando lo riascoltai per la terza volta. Anche nell'ultima canzone qualcosa richiamava alla nostra storia, ma restavo dell'idea che la prima fosse per me. Avevo questa sensazione. In ogni caso, in tutta quella paura, scrivergli che lo amavo era l'unica cosa che potessi fare per alleviare il suo stato d'animo.

Qualche ora dopo, sempre ascoltando Le Cose Che Non Ho, tolsi le fasciature al polso. Non sembrava male, era solo di un colorito verdastro e fortunatamente non sembrava gonfio. Avevo avuto momenti migliori, quello era sicuro, ma l'idea di non andare più in giro con una mano fasciata –sentendomi chiedere se fossi stata picchiata- mi fece sentire bene. Indossare il tutore fu una sofferenza, perché in quanto elastico premeva sul polso che ora mi faceva perennemente male, ma almeno non sembravo più una mummia.

Marco quella sera non tornò a casa e non ne capivo il perché. Gli avevo scritto che lo amavo eppure non aveva risposto. Anche se mi stavo sforzando cercando di capirlo cercai di giustificare quel suo silenzio col suo lavoro. Magari non aveva nemmeno lui il suo cellulare; magari lo aveva sua cugina che era solita custodirglielo durante il lavoro, o magari si era semplicemente addormentato.

Fatto restava che io quella notte mi addormentai da sola, la voce di Marco che ancora suonava nelle mie orecchie.

La giornata successiva al Teatro fu molto più che noiosa. Solo quella mattina avevo incontrato il Grande Capo quattro volte accidentalmente mentre controllava in maniera pessima che frequentassi le lezioni da cui mi aveva sospeso la pratica e Rocchetti sembrava ostinato a fissarmi come un maniaco.

-Permette due parole?- mi aveva intimidito Rocchetti al termine delle due ore più lunghe della mia vita. Annuii, anche perché non ero certa che avrei potuto fare il contrario e subito mi fece accomodare al suo fianco.

-A che età ha iniziato a suonare il violino?- mi chiese estraendo i papiri che avevo composto per il polacco di Orchestra. Restai pensierosa; per me era una cosa che avevo sempre fatto.

-A tre, quattro anni credo- risposi con disinteresse. Quell'elemento mi stava impedendo di uscire dal Teatro per andare alla ricerca del Marco perduto, che non sentivo o vedevo da ventiquattro ore.

-Si vede che è figlia di suo padre. Avete lo stesso carattere. Sa, io e lui studiavamo nello stesso Conservatorio- in quell'istante mi sentii come se la mia mente si stesse risvegliando. Piero. Piero Rocchetti. Piero. Ma certo, mio padre ne aveva parlato spesso in passato.

Lo guardai con sguardo perso. Era un complimento o una critica?

-Cosa intende dire?- mi scappò una risata nervosa e lui alzò le sopracciglia.

-Io e suo padre siamo stati in disaccordo per tanti anni, perché entrambi ci giocavamo i titoli migliori del nostro anno. All'ultimo anno di Conservatorio qualcosa però è cambiato e siamo entrati in amicizia. Vede, se c'è una cosa che lei ha ereditato è quel carattere freddo, indeciso, permaloso e forse anche scorbutico- guardai altrove. Non capivo il senso di ciò e se il tutto voleva essere in una qualche maniera un complimento sicuramente non ci stava riuscendo.

-Però è determinata, quando vuole, e questo le fa onore. Proposi a suo padre la stessa cosa più di vent'anni fa, ora la ripropongo a lei. Le interesserebbe un provino per entrare nell'Orchestra Sinfonica della Rai?- quella domanda mi premette in testa come un martello pneumatico, perché non mi aspettavo una simile proposta proprio quel giorno, dove l'unica cosa che sembrava entrarmi in mente erano le nuove canzoni di Marco.

-In Rai?- chiesi. Lui alzò un sopracciglio annuendo ed io rimasi ad osservarlo incerta –posso avere del tempo per pensarci?- volevo consultarmi con mio padre, volevo sentire il suo parere. Sentirsi fare un'offerta del genere mi avrebbe sistemata magari per qualche anno, magari per un periodo che in quel momento per me era una tabula rasa perché proprio non sapevo cosa avrei voluto fare nella vita; e avevo ventitré anni.

-Però si dovrà dare una mossa. Massimo una settimana, perché posso farglielo avere ora, nell'arco di un mese, ma devo saperlo prima. Non le ricapiterà una cosa del genere, si fidi- forse Rocchetti si era dimenticato il mio polso. Anche se contavo di tornare in possesso del mio arto in meno di una settimana mi ci sarebbe voluta della riabilitazione per recuperare le facoltà in pieno e quell'ansia che mi stava rigettando addosso sicuramente non mi stava aiutando. Dovevo ragionarci su a mente lucida, alla luce dell'opinione di mio papà che da almeno trent'anni aveva a che fare con l'ambiente musicale.

Lasciai la lezione nell'indecisione più totale. Forse un po' la cosa mi terrorizzava, perché quello stesso mondo che anni prima avevo rifiutato ora mi stava proponendo diverse offerte a cui mi sarebbe piaciuto prendere parte, a partire dal tour di Marco. E poi, se avessi accettato e superato il provino per la Rai avrei dovuto ritirare la mia partecipazione al tour forse ferendo Marco, o forse lo avrebbe accettato. Sicuramente dovevo parlargliene, ma prima volevo sentire mio padre.

A UN PASSO DA TE - UNO DEI TANTI SEQUEL || MARCO MENGONI FFDove le storie prendono vita. Scoprilo ora