CANTO VIII

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E io mi volsi al mar di tutto 'l senno:

dissi: - Questo che dice? E che risponde

quell'altro foco? E chi son quei che 'l fenno?

Ed elli a me: - Su per le sucide onde

Già scorgere puoi quello che s'aspetta,

se 'l fummo del pantan nol ti nasconde.

(Inferno VIII 7-12)

Io dico seguitando che ripresi a scrivere dal mattino seguente. Mi dispiaceva solo non avere i miei libri a portata di mano; ma quando lo dissi a Clarissa, lei mi chiese: - Cosa ti serve? -, si segnò quello che le elencai, poi aprì una specie di grande dittico di metallo e premette un tasto. Guardai da sopra la sua testa, stupito. La metà superiore era uno schermo; la metà inferiore era occupata dai tasti con le lettere dell'alfabeto e i numeri arabi dall'1 al 9, zero compreso.

Clarissa toccò un pannello sotto i tasti, e, sullo schermo, una freccia bianca si mosse e andò a posarsi su una E blu. Un attimo dopo, lo schermo cambiò: divenne bianco, tranne per una lineetta nera che pulsava ritmicamente all'interno di una barra. Clarissa premette dei tasti, e sullo schermo lessi il primo dei testi che le avevo chiesto: VIRGILIO, GEORGICHE IV 313. Un attimo dopo, ed ecco il testo davanti ai miei occhi.

Clarissa si voltò verso di me con un sorriso.

- Internet – disse. – C'è dentro tutto quello che vuoi sapere. Be', quasi. Il problema è che ci possono scrivere tutti e quindi non bisogna fidarsi troppo, però questo dovrebbe essere il testo esatto.

La fissai a bocca aperta. Il pan degli angeli a portata di tutti.

Siccome era sabato, Clarissa non aveva scuola, perciò onorai la mia promessa di aiutarla a studiare. Lei era sveglia e curiosa e riusciva a seguire bene quasi tutte le spiegazioni che le proponevo. Faceva un sacco do domande. Le parlai della poesia provenzale, della scuola siciliana, dei rimatori siculo toscani, di Guittone d'Arezzo e Bonagiunta Orbicciani; le feci analizzare un Arnaut Daniel, e così facendo scoprii che alcune metafore che per me erano ovvie, come quella trita e ritrita del cuore mangiato, per lei – e quelli del suo tempo – non lo erano più. Se il mio amico Giotto fosse stato lì, avrebbe amato ritrarre l'espressione di Clarissa all'idea del cuore divorato e avrebbe intitolato il dipinto L'orrore. Avemmo quindi qualche problema anche con "alito di pantera" riferito a una donna. Non capii perché Clarissa ridesse tanto finché non disse che l'alito di una pantera non profuma affatto.

-Sì, invece!

-E' evidente che non hai mai avuto un faccia a faccia con una pantera.

-Perché, tu sì?

-No, ma...

-Per tua informazione, madamigella, c'è scritto nel Fisiologo!

Ebbe la gentilezza di non commentare, ma il suo sguardo disse: "Davvero ti sei bevuto tutte le scemenze che ci sono nel Fisiologo?".

Io in genere non mi fido di quelli che pensano di saperne di più del Fisiologo, ma a onore di Clarissa va detto che è l'unica persona di mia conoscenza oltre a me ad aver impiegato meno di tre giorni per capire come funzioni una retrogradazione incrociata.

Verso sera, passammo alla Comedìa. Clarissa seppe dirmi in modo più o meno appropriato cosa fosse un'anagogia, ma scoprii che qualcuno ( quell'arida scriteriata di Madonna Latini, forse) le aveva dato a intendere che Beatrice era l'allegoria della grazia divina.

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