Canto II

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S'io era corpo, e qui non si concepe

Com'una dimensione altra patìo,

ch'esser convien se corpo in corpo repe,

accender ne dovrìa più il disio

di veder quella essenza in che si vede

come nostra natura e Dio s'unìo.

Lì si vedrà ciò che tenem per fede,

non dimostrato, ma fia per sé noto

a guisa del ver primo che l'uom crede.

(Paradiso II 37-45)

O voi che siete in piccoletta barca, desiderosi d'ascoltar, seguiti dietro al mio legno che cantando varca!

Tornate a rivedere i vostri lidi: non vi mettete in pelago, ché, forse, perdendo me, rimarreste smarriti. L'acqua ch'io presi giammai non si corse: Minerva spira, mi conduce Apollo, e nove Muse mi mostrano l'Orsa.

Voi altri pochi che drizzaste il collo per tempo al pan degli angeli, del quale qui si vive ma non ci si sazia, potete ben mettere per l'alto sale il vostro navigio, servando il mio solco dinanzi all'acqua che torna eguale.

Quei gloriosi che passarono in Colchide non si stupirono come farete voi, quando videro Giasone fatto bifolco.

L'aereo ci riportò a terra veloci quasi come il cielo delle stelle fisse. Clarissa, che si era rilassata durante il volo, quando l'aereo cominciò a prendere quota mi afferrò di nuovo la mano. Piombammo a terra, scivolammo avanti per inerzia, e poi ci fermammo.

I passeggeri applaudirono.

-Perché applaudono? – chiesi perplesso.

-Perché ci ha riportato giù tutti interi.

-Ma è il suo lavoro. È come se io applaudissi alla fantesca ogni volta che pulisce le scale – dissi con sussiego.

-Penso che pilotare gli aerei sia un pochino più difficile – replicò Clarissa.

Faceva molto caldo, in Puglia. Vedevo l'aria tremare, quando scendemmo. Andammo a recuperare le valigie, che venivano messe su un nastro trasportatore e fatte girare. Il meccanismo, pure semplice, pareva gettare tutti nel panico. Fissavano le valigie con estrema concentrazione, come se dovessero prenderle al volo quando fossero saltate giù e scappate via. -MIA! – gridavano spintonandosi per gettarsi sul nastro e afferrare le valigie.

All'opposto, c'erano molti che parevano non essere in grado di riconoscere i loro bagagli. Per fortuna, noi non correvamo il rischio: la valigia di Taide era smaltata d'oro.

Fuori dall'aeroporto, ci attendeva una macchina gialla con una targhetta infissa sul tetto che diceva TAXI.

-Come un autobus, ma privato – mi rispose Clarissa laconica, quando la interpellai. Il caldo pareva farla soffrire oltremodo.

La portiera si aprì e ne scese un mezzo saraceno che aprì il baule.

-Salve! – disse Taide avvicinandosi. – Tu parli italiano? Noi mantovani! Noi – agitò le mani – noi no capire arabo!

Il saraceno la guardò perplesso, poi disse: - Signo', io so' de Roma.

Mi avvicinai a lui. – Molto bene, messer saraceno romano, poi ricordatevi di dirci il nome del vostro padrone, acciocché possiamo ringraziarlo di prestarci il suo "taxi".

Mi guardò a bocca aperta. – Il mio padrone? Di', ma sei vero?

-Penso di sì, benché io non capisca ancora come, essendo corpo, una dimensione ne abbia patita un'altra -. Mi accomodai nel taxi. Beatrice assicurò al saraceno che non ero pericoloso prima di seguirmi.

H)

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