Canto XXVIII

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CANTO XXVIII

-Voi siete nuovi, e forse perch'io rido –

Cominciò ella – in questo luogo eletto

A l'umana natura per suo nido,

maravigliando tienvi alcun sospetto;

ma luce rende il salmo Delectasti,

che puote disnebbiar vostro intelletto.

(Purgatorio XXVIII 76 – 81)

Vago già di cercar dentro e dintorno la divina foresta spessa e viva, ch'a li occhi temperava il giorno, sanza più aspettar, varcai il cancello, prendendo la campagna lento lento su per lo suol che d'ogne parte auliva.

Un'aura dolce, sanza mutamento avere in sé, mi feriva per la fronte non più di colpo che soave vento, per cui le fronde, tremolando, pronte tutte quante, piegavano verso ponente; non però dal loro esser dritto sparte, tanto che li uccelletti per le cime lasciassero d'operare ogni lor arte; ma con piena letizia la luce, cantando, ricevevano intra le foglie, che tenevano bordone alle lor rime, tal qual di ramo in ramo si raccoglie per la pineta in sul lito di Chiassi, quand'Eolo fuor discioglie lo Scirocco.

Già m'avean trasportato i lenti passi dentro alla selva, tanto ch'io non potevo riveder ond'io m'entrassi; ed ecco l'andar mi tolse un rio che inver sinistra con le sue piccole onde piegava l'erba che usciva in sua ripa. Vi navigavano placidamente due o tre paperelle, incuranti dell'acqua non proprio cristallina, a cui un gruppo di bambini lanciava pezzi di pane. Uno rischiò di stenderne una scagliandole una porzione un po' troppo compatta. Coi piè ristretti e con gli occhi passai di là dal fiumicello, per mirare la gran variazione dei freschi mai; poi seguii Clarissa che si giva canticchiando e scegliendo fior da fiore, onde era pinta tutta la via.

-Deh, bella Clarissa, ch'a raggi d'amore ti scaldi, s'io vo' credere a' sembianti che sogliono essere testimoni del core – diss'io a lei – fa' ch'io possa intender che tu canti. Tu mi fai rimembrar dove e qual era Proserpina nel tempo che perdette la madre lei, ed ella primavera.

Come si svolge con le piante strette a terra e intra sé donna che balli, e piede innanzi piede a pena mette, si volse in su i vermigli e in su i gialli fioretti verso me non altrimenti che vergine che gli onesti occhi avvalli; e fece le preghiere mie esser contente, sì appressando a sé, che'l dolce suono veniva a me co' suoi intendimenti.

Clarissa di levar li occhi suoi mi fece dono: non credo che splendesse tanto lume sotto le ciglia a Venere, trafitta dall'amore per Adone. Ella ride e cominciò: - Oh, niente, è solo la canzone dell'aquilone, di Mary Poppins.

-L'aquilone, il vento?

-No -. Me ne indicò uno. Davanti a noi, un ragazzino stava trattenendo per un filo un grande rombo di stoffa, ancorato al filo con due assicelle di legno. Il vento aveva gonfiato l'aquilone e l'aveva sollevato in aria.

-E poi sono felice per te che stai per ritrovare Beatrice – aggiunse Clarissa.

Mi sentii improvvisamente nervoso. Cambiai discorso. – Perché quel canale è così inquinato?

-Il Lete? Perché la gente ci butta dentro di tutto. Anche fuori, non è che sia molto pulito. Ci sono mozziconi di sigaretta ovunque. Ora non si vede perché ci sono i fiori.

Io mi rivolsi in giù allora tutto al suolo, e vidi sotto l'erba cartacce, residui di plastica e simili; poi alla bella Clarissa torna'il viso. 

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