Canto XXVI

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CANTO XXVI

E io: - Per filosofici argomenti

E per autorità che quinci scende

Cotale amor convien che in me s'imprenti;

che'l bene, in quanto ben come s'intende,

così accende amore e tanto maggio

quanto più di bontate in sé comprende.

(Paradiso XXVI 25 – 30)


Domenico guidò come un pazzo fino all'albergo, davanti al quale si fermò con una frenata così improvvisa che mi volarono via gli occhiali. Quando li ebbi ripescati da sotto il sedile e li ebbi inforcati di nuovo, Clarissa era già all'entrata e Beatrice m'intimava, per carità, di darmi una mossa.

Caricare i bagagli in macchina e ripartire a rotta di collo alla volta dell'aeroporto fu un tutt'uno. Due ore dopo, eravamo in un taxi a Verona, e venti minuti ci separavano da Mantova, trenta da casa a Argenti, e quaranta dall'ospedale. Ero frastornato. Stavamo compiendo in circa quattro ore un viaggio di due settimane.

Ogni tanto, Clarissa chiamava sua madre al cellulare. Alla terza telefonata, le doglie erano iniziate, e Manfredi, in mancanza di meglio, aveva invocato il soccorso di Filippo, l'amico di Virgilio, giunto con i suoi terribili fratelli, ma Mirra si rifiutava di andare in ospedale finché non fosse arrivata Clarissa.

-Ma almeno chiami la levatrice! – protestai.

-Non esistono più le levatrici! – mi urlò Clarissa.

-Allora devo accelerare, signorina? – chiese il taxista, e senza aspettare risposta, schiacciò l'acceleratore a tavoletta, facendo ruggire e scattare in avanti la macchina. Si mise a zigzagare paurosamente tra gli altri veicoli in una cacofonia di clacson. Quando entrammo in Mantova, sfrecciavamo a ottanta chilometri orari su strade in cui il limite era di cinquanta, e presto una sirena prese a ululare dietro di noi. Clarissa si mise a imprecare. Coprii le orecchie di Aglauro.

L'autista si accostò al marciapiede e Clarissa aprì la portiera.

-Clarissa, no! – protestò Beatrice, ma Clarissa era già scesa, e urlava al poliziotto per metà fuori dalla portiera: - Non abbiamo tempo per queste scemenze! Mia madre sta per avere i miei fratelli senza di me!

Il poliziotto la guardò, scrutando il vestito da damigella tutto sgualcito, il viso arrossato e i capelli appiccicati al collo, e disse: - Risali in macchina, vi scortiamo noi.

Cinque minuti dopo, eravamo in casa Argenti. 

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