Stylinson?

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Ivy? Ci sei?
Era tutta la mattina che Louis le inviava messaggi, eppure lei non gli dava segni di vita. Che fosse successo qualcosa?
Louis scosse la testa per allontanare la paranoia e afferrò la cinghia dello zaino avviandosi verso l'ultima classe della giornata, quella delle tre, che aveva in comune con Harry il martedì.
Quando varcò la soglia, vide alcune ragazze sedute nei primi banchi, alcuni pompom posati ai piedi delle loro sedie e le gambe accavallate, le loro bocche impegnate a masticare i chewing gum che il capitano - sicuramente - aveva elargito.
Si accomodò in seconda fila uscendo i libri di inglese, mentre Harry a sua volta entrava in classe sotto uno sguardo attento di tutte le donne presenti, alcune che si lasciavano andare a sospiri rumorosi. Louis le guardò e alzò gli occhi al cielo, appoggiandosi il cellulare accanto al braccio piegato sul banco. Una ragazza seduta nella fila accanto si passò una ciocca dietro l'orecchio leggermente a sventola e si morse il labbro a vedere Louis così intento ad ignorare le altre ragazze.
Si sporse e gli sfiorò il braccio con le dita affusolate. Il ragazzo si girò verso di lei proprio mentre Harry si sedeva accanto a lui trasportandosi addosso un forte odore di dopo barba. "Sì?" le disse abbozzando un sorriso con le sue labbra sottili.
La ragazza - che si chiamava Natalie - gli chiese se potesse prestarle un foglio per prendere appunti, ma Louis non badò più di tanto agli atteggiamenti della ragazza, troppo impegnato a liquidarla per poter parlare con Harry. Quando le diede il foglio le sorrise e le diede le spalle, appoggiando una mano sulla spalla muscolosa di Harry accanto a lui che stava tenendo in mano il telefono, sorridendo chissà a chi.
"Senti, per caso sai se Rachel si sta sentendo con Ivy?"
Il riccio si girò verso il migliore amico con le sopracciglia sollevate. "E perché mai dovrei sapere una cosa del genere?"
Louis sbuffò e ricontrollò il telefono, ma ancora nessun messaggio.
"Semplicemente perché non mi manda un cazzo di niente da ieri sera"
Harry fece spallucce e si alzò in piedi, insieme al resto della classe, mentre la professoressa Edwards si accomodava dietro la cattedra. Aveva una camicia bianca infilata in una gonna a vita alta nera aderente, i primi bottoni della camicietta fuori dalle asole e i suoi lunghi capelli biondo scuro lasciati cadere sul petto prorompente. Nella loro scuola, i 9/10 dei ragazzi avevano fatto sogni erotici che prevedevano la professoressa in ogni posizione immaginata e non, data la sua giovane età e la sua bellezza da modella, nonostante avesse le curve al punto giusto.
Il telefono di Harry gli vibrò in mano e gettò un occhio sul messaggio che gli era arrivato.
Il riccio lo girò mentre Louis prendeva nuovamente posto e il moro aguzzò gli occhi.
Non è venuta nemmeno a scuola.
"Che cazzo significa questa cosa?" sussurrò mentre la Edwards iniziava a parlare di un certo Milton e tutti le prestavano particolare attenzione, chissà perché.
Harry spalancò le grosse mani, "E che cazzo ne so io, genio?!" disse sarcasticamente. "Non è andata a scuola e non ha avvisato nemmeno Rachel."
Louis prese un grosso sospiro e picchietteva il piede, impaziente che la lezione finisse quanto prima, mentre Harry accanto a lui continuava a chattare con la sua cheerleader come una ragazza innamorata per la prima volta.
Quando suonò la campanella sollevò lo zaino e abbandonò l'edificio accennando solo una pacca sulla spalla di Harry insieme ad un "Ci sentiamo più tardi", e uscì sulla strada spalancando l'imponente portone. Quel giorno non ci sarebbero stati allenamenti, per questo si avviò immediatamente alla macchina, gettando lo zaino sul sedile del passeggero.
Ingranò la marcia e partì, avviandosi verso quella via presso cui si era ritrovato più volte di quanto avrebbe mai potuto solo immaginare. Il cancello dei Johonson era chiuso e non c'era alcuna macchina nel parcheggio, segno che i suoi - tanto per cambiare - non erano in casa. Aveva già notato più volte che la recinzione metallica dell'abitazione fosse abbastanza bassa, per cui si sarebbe potuta scavalcare benissimo, ma sicuramente - ricchi com'erano - avevano un sistema di allarme all'avanguardia, per questo decise di appostarsi sotto al citofono e di pigiare il tasto come i comuni ragazzi. Attraverso l'interfono uscì una voce strascicata e da un accento marcato che non aveva niente a che vedere con quello inglese, per questo quando Louis rispose il suo nome si avviò verso il portone che era stato aperto da una donna bassa e con un grembiule stretto in vita, i capelli rossi raccolti in una retina e le guance paffute con due fossette in bella vista.
"Posso sapere io chi tu sei?" le rispose la donna con le mani strette intorno alla porta affinchè potesse chiudere e cacciarlo in qualsiasi momento.
Louis si grattò la nuca assottigliando gli occhi. "Ehm, sono Louis" era la prima volta che si presentava da Ivy e si ritrovava a parlare con la loro cameriera, ottimo.
"Lewis? Quello della farmacia?"
Al sentire quella frase colse la palla al balzo e le sorrise, incrociando le braccia al petto. "Esattamente, sono venuto a portare le medicine alla signorina Johonson" disse acquisendo un tono, diciamo, professionale.
La donna - che poi avrebbe scoperto chiamarsi Roza, ed era portoricana - gli sorrise e aprì di nuovo la porta. "Ma dov'è la borsa?"
"Oh, che sbadato. L'ho lasciata in macchina" e sbuffando tornò alla vettura e prese lo zaino, caricandoselo sulla spalla affinchè fosse ben visibile. "Ora posso raggiungere la signorina?" disse una volta ritornato, e Roza lo lasciò passare, chiudendo la porta e chiudendosi in quella che sicuramente sarebbe stata la cucina. Louis rimase fermo nell'ingresso per quelli che gli parvero cinque minuti, ammirando un tale palazzo. Sì, perché la casa di Ivy era quella che più si avvicinava ad una villa nobiliare.
Il salone alla sua sinistra era enorme, con un divano in pelle e un televisore al plasma addossato alla parete. Era la stanza più frequentata da Ivy in quanto i vari selfie che si scambiavano era stati scattati esattamente su quel divano.
Allungò la vista verso un imponente corridoio sul quale si affacciavano decine di porte chiuse non riuscendo a capire che stanze potessero esserci, la porta della cucina era alla sue destra e intravide Roza ai fornelli. Vi era un tavolo in mezzo con degli sgabelli alti, un lampadario stile americano e una specie di piano bar ad angolo, ma non perse ulteriore tempo e si avviò su per le scale che erano appena accanto alla porta della cucina. Erano enormi e sembravano non finire mai, ma poi arrivato al primo piano si rese conto di essere in un nuovo labirinto dalle porte tutte chiuse. In tutto quell'ambiente silenzioso - che Ivy non aveva mai voluto fargli conoscere - solo un mugolio lontano catturò l'attenzione di Louis, dei gemiti soffocati e dei piccoli urletti. Sentì improvvisamente una scossa nelle braccia e nelle gambe e serrò la mascella. Iniziò a camminare spedito nel corridoio alla sua destra appoggiando le orecchie su ogni porta per capire da dove provenisse quel suono ambiguo, fin quando non giunse alla penultima porta sulla sinistra che era leggermente scostata e dalla quale arrivavano adesso anche dei ruggiti.
Ma che cazzo?
Louis aprì la porta silenziosamente e vide Ivy contorcersi sulle lenzuole candide di un letto immenso a due piazze nel centro della stanza. La testiera del letto era addossata al muro dipinto di azzurro, uno specchio accanto alla scrivania sul cui muro vi erano tantissime fotografie che la ritraevano con le amiche. Ma Louis badò più alla ragazza dai capelli turchesi che al resto. Aveva le braccia intorno al busto, gli occhi stretti e i denti digrignati, la sua testa che si muoveva a scatti e si seppelliva in un ammasso di cuscini dalle più strane tonalità di blu. Le gambe erano strette al petto, ma a tratti si spalancavano e si ritraevano nuovamente. Louis aveva una mano appoggiata alla porta, l'altra lasciata penzolante al suo fianco. Ivy aveva addosso un paio di pantalocini bianchi e una canotta nera, ma il suo corpo era rannicchiato come un feto nel grembo materno, la sua bocca che lasciava uscire gemiti che prontamente soffocava tra i cuscini. Rimase a fissarla fin quando non decise di schiarirsi la gola, ma il suo rumore venne coperto da Ivy che urlava: "Roza chiama quel cazzone di farmacista e fallo affrettare".
"Sono già qui" disse allora Louis e Ivy si immobilizzò, sollevando di pochissimo la testa sudata e con i capelli appiccati sul collo e le tempie lucide.
Appena si rese conto di chi fosse, urlò frustrata. "E adesso tu che cazzo ci fai qui"
Louis entrò scrollando le spalle, mentre Ivy iniziava a spostarsi su tutta la grandezza del materasso cercando un po' di frescura. "Scusami se mi sono preoccupato, ma sai" prese ad elencare sulla dita della mano, "uno, non mi rispondi ai messaggi; due, Rachel mi ha detto che non sei stata a scuola; e tre, quando la cameriera mi ha detto del farmacista, volevo conoscere cosa cazzo fosse successo"
Ivy liberò le braccia e si passò le dita tra i capelli resi umidi dal sudore, soffocando un altro gemito.
"E poi, pensavo stessi scopando" ammise Louis passandosi un braccio sulla fronte e lasciando lo zaino a terra accanto alla porta che si premurò di chiudere.
"Sì, da sola magari" rispose Ivy a bassa voce, portandosi le mani sul basso ventre. "Dio, credo di morire"
Louis aggrottò le sopracciglia e si avvicinò al baule alla base del letto, sedendosi sulla superficie dura in legno. "Ma che hai, si può sapere?"
Ivy ruggì e Louis sussultò un pochino, sopprimendo una risata alla vista di tale scena incredibile. La ragazza si sollevò sui gomiti e si tirò fin sui cuscini, buttando la testa nella gommapiuma. "La peggior cosa che sia mai esistita, la rovina del mondo, la fine di ogni gioia e libertà, una serie di continue sofferenze..."
"Hai il ciclo?"
Ivy alzò la testa stringendosi ancora una volta il basso ventre. "Sì, cazzo"
Louis si grattò il mento. "E quanto durano questi dolori?"
"A me solo il primo giorno" ammise Ivy mettendosi in pancia in su, le gambe larghe e la braccia spalancate sul materasso.
Louis sgranò gli occhi e si portò le mani sul cavallo del jeans. "Cambia posizione, per favore. Mi ispiri tutt'altro che compassione in questo momento" ammise in tono scherzoso, ma poi Ivy si sollevò sui gomiti incurante.
"Ricordi, Tommo? Mani a posto. Ma comunque" con un sbuffo sollevò il ciuffo azzurro dagli occhi. "Perché sei a casa mia? Ti avevo chiesto di non venire" disse mentre Louis si alzava dal baule e le si sedeva vicino sul letto, accarezzandole una guancia.
"Mi ero preoccupato" disse, e fece per alzarsi nuovamente ma Ivy lo bloccò con un braccio.
"Ora che sei qui non andartene, cazzone, e riprendi ad accarezzarmi"
Louis sorrise vittorioso e iniziò a passarle le mani tra i capelli mentre lei rimaneva con gli occhi chiusi.
"Chiamasi sfruttamento"
"Chiamasi intrattenimento. Pensa, mi stanno passando i dolori, o meglio, non ci sto più prestando attenzione" ammise abbozzando un sorriso. Louis si sporse e le diede un bacio sulla fronte.
"Quindi, poichè oggi non usciamo in quanto la tua imminente morte sta bussando alla porta" Ivy gli diede un pugno sul braccio con il quale il ragazzo continuava ad accarezzarla, "ti va domani di fare qualcosa di diverso?" terminò.
Ivy aprì gli occhi scuri e spinse le labbra in fuori. "Che genere di cosa?"
Louis fermò la sua mano tra i capelli azzurri della ragazza mentre quest'ultima stringeva le labbra.
"Potresti venire agli allenamenti?"
Ivy scattò seduta, per poi fare una smorfia stendendosi nuovamente e tenendosi la pancia con due mani. "Dici sul serio?"
Louis sollevò le spalle, "E poi magari usciamo in centro" terminò con un sorriso.
Incredibile quanto le donne fossero malleabili con qualche carezza e proposta allettante.
Ivy sorrise compiaciuta, annuendo. "Ci sto. E faresti bene a dare il meglio di te, Tommo. Non vorrei sprecare un pomeriggio"
Louis si sporse verso di lei e le diede un bacio sulle labbra carnose. "Se stai con me, non sprechi un bel niente" disse con un sorriso beffardo dipinto sul suo volto magro.




The match || l.t.  h.sDove le storie prendono vita. Scoprilo ora