Thank y- oh, no!

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Harry passò tutta la domenica con la testa immersa nei libri. Si era arretrato con il programma a furia di lavare i bagni e allenarsi ogni santo pomeriggio in vista del campionato. Il coach l'aveva avvisato di aver scoperto la squadra avversaria, chiamata New Spaces, e quindi gli allenamenti sarebbero stati molto più frequenti e pesanti. Così decise di passare tutto il giorno e mettersi al passo delle lezioni e, perché no?, anche anticipare qualcosa per non avere problemi alla fine dell'anno. Il sole tramontava al di fuori della finestra della sua stanza, il cielo che si dipengeva dei colori del crepuscolo ed Harry si perse ad ammirare il prato che costeggiava la campagna alle spalle della sua abitazione. Era un terreno abbastanza largo che la sua famiglia aveva ricevuto in eredità ma di cui non sapevano, o meglio, non avevano il tempo materiale per preoccuparsene, per questo il terreno era coperto da un soffice manto d'erba, con i fili che danzavano cullati dal vento.
Alzò gli occhi al cielo, un sorriso che si apriva sul suo volto pallido, mentre dalla stanza accanto sentiva le urla di Gemma che parlava a telefono con qualcuno di cui non gli importava niente. Si perse nei suoi pensieri, focalizzandosi su quanto avvenuto la sera precedente.
Ivy e Louis passarono la maggior parte del tempo a battibeccare su qualsiasi cosa possibile per un dibattito, mentre lui e Rachel avevano intavolato una conversazione fatta di sguardi e battute alternati, lei troppo timida per sollevare spesso gli occhi su di lui. Avevano parlato di un bel po' di cose, di quanto a lei piacesse allenarsi con le altre amiche, di quanto adorasse il cinema e i fiori bianchi, di quanto le piacesse l'idea di poter, un giorno, diventare famosa. Cose di cui Harry non se ne importava più di tanto, ma solo sentirla parlare senza alcun emozione evidente era già sufficiente.
Era una ragazza speciale nel senso particolare del termine. Non era schietta - a differenza di Ivy che aveva continuato a liquidare Louis come se vivesse solo di quello -, soppesava le parole con la paura costante di sbagliare, non si buttava a capofitto nelle situazioni. Era un bene che si fossero incontrati per strada, almeno Harry aveva avuto l'opportunità di "conoscerla" un po' di più, sempre meglio di crogiolarsi di fronte alle pochissime foto che Rachel aveva su Facebook. Si era ripromesso di farla cadere nella sua trappola, incantata dal suo fascino, ma forse la situazione con lei si era ribaltata, Harry non ne era tanto sicuro. Rachel lo interessava molto, e non avrebbe perso occasione per conoscerla ancora di più. Prima o poi sarebbe caduta ai suoi piedi come avevano fatto tutte le altre, perché lei non avrebbe dovuto?
Harry riabbassò lo sguardo sul suo libro di economia aperto e lo chiuse con uno scatto del braccio. Aveva perso qualsiasi tipo di attenzione a cui si era aggrappato per cercare di non distrarsi, e nonostante fosse riuscito a spingersi un po' più avanti con lo studio, ormai non aveva più la testa sulle spalle per continuare. Scese al piano di sotto, controllando intanto il telefono. Louis non gli aveva scritto per tutta la giornata, però trovò altri messaggi provenienti dai suoi compagni di squadra.
Domani andrai a casa di Liam per la festa? gli aveva scritto Michael, ma passò oltre.
Amico, la festa di venerdì mi ha fatto conoscere una ragazza splendida :-), gli aveva inviato Niall, ed Harry non potè che sbuffare di fronte a quella faccina sorridente, immaginandosi quella del biondo. Scorse la casella dei messaggi, ma solo per perdere tempo prima che la madre lo chiamasse per la cena.
Aveva perso un'altra giornata senza fare niente, eppure preferì così, invece di uscire e non incontrarsi con nessuno in particolare.

Louis stava al computer a scrivere il saggio di sociologia, quando Johannah, sua madre, bussò alla porta della sua stanza già spalancata. Odiava stare con la porta chiusa, forse perché era un po' claustrofobico, ma gli andava bene così.
Si girò verso la madre che si stava mordendo il labbro tra i denti. «So che sei impegnato, ma ho necessariamente bisogno che tu corra al supermercato prima che chiuda. Ho dimenticato di comprare le uova» disse appoggiandosi allo stipite con le braccia piegate sotto al seno. Louis girò il computer nella sua direzione.
«Non vedi che sto facendo altro, mamma?» puntualizzò sollevando le sopracciglia in un cenno ovvio.
Johannah gli sorrise e alzò un indice per aria, «Non era una richiesta» affermò, controllando l'orologio al polso. «Hai un'ora di tempo, quindi ti conviene fermarti adesso, altrimenti stasera ti toccherà digiunare» disse girandosi per scendere le scale.
«Forse non ho così fame..»
«Louis!» urlò la madre mentre i piedi battevano pesantemente sui gradini.
«Okay, okay!» sbottò il ragazzo, raccapezzò il paio di Vans nere e uscì fuori di casa cinque minuti dopo. Prese la macchina che teneva parcheggiata sotto il portone e mise in moto, raggiungendo il supermercato dopo circa dieci minuti di stallo nel traffico londinese delle 19.30. Dovette parcheggiare anche distante dal negozio per via della mancanza di posti disponibili nelle vicinanze, e alzò il passo. Il supermercato era gremito di gente, sembrava che tutti si fossero dimenticati di comprare qualcosa nell'arco della giornata, e Louis sorrise di fronte le espressioni seccate dei cassieri a cui toccava lavorare anche di domenica. Camminò a passo spedito verso il reparto delle uova, quando vide una chioma blu sulle punte che cercava di prendere un pacco di farina dallo scaffale più in alto. Silenziosamente le si mise alle spalle e le prese il pacco sollevando di poco il braccio. Anche lui non era alto, ma almeno superava la ragazza di un bel po' di centimetri. Ivy gli dava ancora le spalle. «La ringraz-» e si bloccò quando si rese conto di chi avesse di fronte. «Tu» disse solamente, e al ragazzo sembrò fosse annoiata.
Louis sollevò le spalle, il pacco di uova stretto in mano. «Non c'è di che» le rispose per niente turbato dall'espressione infastidita della ragazza.
«Ma è possibile che ti abbia sempre tra i piedi?» puntualizzò Ivy iniziando a seguirlo, non potendo mai pensare che Louis stesse facendo dei giri in più per ogni settore del supermercato per farsi seguire e per parlare un po' di più con quella ragazza stravagante. «Non ti è bastato ieri sera?»
«Sono insaziabile» le rispose lui dandole le spalle, Ivy sbuffò infastidita e gli si mise accanto.
«Perchè sei qui?» domandò mentre riprendeva a guardarsi intorno sbirciando la lista che teneva stretta nell'altra mano.
«Perché mia madre rompe le palle» affermò Louis girando per il corridoio delle bevande. Poi spostò lo sguardo sul cestino che la ragazza reggeva nell'incavo del braccio destro. «Cosa hai comprato?» le chiese con un sorriso ad incorniciargli le labbra sottili. Stava mettendo in mostra tutte le sue doti di seduttore incallito, ma Ivy sembrava non si accorgesse di niente. La gente le passava accanto, squadrandola per i suoi capelli blu, ma il ragazzo non se ne fregava alcunchè. Louis notò anche un accenno di ricrescita scura alla radice, poi spostò lo sguardo sulle sue labbra piene che si stavano muovendo, ma lui non aveva sentito niente di quello che Ivy gli aveva detto.
«..compleanno di mia cugina» terminò mentre prendeva un pacco di candeline alla sua destra.
«Quanti anni compie?» domandò Louis mentre, questa volta, la seguiva lui.
Ivy lo guardò sorridendo. «Cinque» disse felice, e Louis sorrise di rimando. Quanto era bella quando sorrideva, peccato per il carattere di merda che si ritrovava. Eppure in quel momento stavano sostenendo entrambi una conversazione civile senza prendersi a parole pesanti.
«Oh, è piccolina allora! Ha i capelli rosa?» chiese allora, e il sorriso sul volto di Ivy si spense così rapidamente che Louis rimase allibito, ponendo fine alla magia.
«Ti sembra divertente?»
«Non ne avevo l'intenzione» si difese lui, poi Ivy gli diede le spalle e iniziò a correre verso le casse, il cestino che le dondolava rapido sul fianco. «E dai Ivy, stavo scherzando.»
«Sei bravo solo in quello, infatti» disse e poi si girò di scatto. «La smetti di seguirmi, per favore?» disse con il sarcasmo che traboccava in ogni sua richiesta.
Louis si mise in fila alla cassa alla sua destra, mentre lei si metteva a quella sulla sinistra, lo sguardo puntato dritto avanti a sè, mentre quello di lui le stava ancora addosso come se costituisse un secondo strato di vestiti.
La cassiera pagò subito la sua confezione di uova, e Louis ne approfittò per vedere Ivy che aveva già finito di pagare e metteva tutto nelle buste. Si affrettò a superare la gente che si era fermata in prossimità dell'uscita del supermercato e cercò di raggiungerla mentre, piano, Ivy superava le porte scorrevoli. «Aspetta Ivy!» urlò, raggiungendola e bloccandole il braccio.
Lei si girò, «Non toccarmi» disse piano, con le labbra strette, infastidita. Louis guardò il muro alla sua destra.
«Scusami, ok?» sputò fuori esasperato. «Spesso non mi rendo conto che quello che dico può dare fastidio, parlo senza pensare. Perdonami, non volevo offendere te o tua cugina facendo quella battuta sui capelli.»
Ivy, con le buste della spesa in mano, piegò le braccia sui fianchi. «Non ti scusi facilmente, vero?» disse senza alcuna malizia nascosta dietro quelle parole atone e melliflue.
Louis sollevò le spalle, «Non lo faccio quasi mai, sei tu che mi induci a comportarmi in un determinato modo.»
Ivy sollevò un angolo delle labbra, e Louis piantò i suoi occhi in quelli scuri della ragazza. «Se vuoi che accetti questo tuo tentativo di scusarti, portami le borse» disse lei sollevando le braccia e stendendole di fronte al ragazzo.
Louis gonfiò il petto e gliele prese, nonostante in mano reggesse la sua con le uova.
«Vieni, ho la macchina» disse, e quando imboccò la via non potè che sorridere.
Ivy rimase in silenzio, le mani nelle tasche posteriori del jeans e le labbra strette mentre fischiava leggermente. In prossimità della macchina, Louis sollevò le braccia in aria per liberare i fianchi. «Prendimi le chiavi dalla tasca, per favore.»
Ivy si bloccò di colpo e storse il naso, poi infilò due dita nella tasca destra del pantolone del ragazzo, tirando fuori il mazzetto di chiavi. Louis sentì una scarica elettrica attraversargli le gambe, ma si impose di non prestarci troppa attenzione e le fece schiacciare il pulsante di apertura. Lasciò le buste sui sedili posteriori e fece accomodare Ivy sul sedile del passeggero. «Però» disse lei una volta che si fu chiusa la portiera alle spalle, «Bella macchina.»
«Grazie, un regalo dei miei» rispose Louis infilando le chiavi e mettendo in moto.
«Una famiglia di ricconi, eh?» gli fece il verso la ragazza mettendosi la cintura, e Louis sollevò un sopracciglio.
«Per niente» appuntò, guardandola, «Solo perché ho una macchina mia non significa che abbiamo i soldi che ci escono dal culo.»
Ingranò la marcia e partì, mentre Ivy si stringeva le mani tra loro, l'abitacolo caduto improvvisamente nel silenzio. «Scusami, non volevo» ammise con un filo di voce, e Louis si fermò al semaforo rosso.
«Non ti scusi facilmente, vero?» le fece il verso rimanendo quanto più serio possibile.
Ivy sospirò. «Adesso copi anche.»
Louis ripartì quando il semaforo passò al verde, «Siamo più simili di quanto pensi, Ivy» ammise lui, e la ragazza si perse a guardare la strada sulla sinistra.
Fece finta di niente, poi disse. «Devi svoltare a destra al prossimo incrocio.»
Louis strinse il volante compiaciuto, poi mise un po' di musica, fischiettando al ritmo.
Superato l'incrocio, seguì l'indicazione di Ivy e costeggiò il marciapiede. Era una casa alta fatta esteriormente di mattonelle marroni, un imponente cancello a delimitarne la proprietà. «Però, famiglia di ricconi» appuntò Louis e Ivy, prima di scendere dalla macchina, gli alzò il medio e scoppiò a ridere. Recuperò le borse dal sedile posteriore e si avvicinò al cancello.
«Grazie per il passaggio. Scuse accettate.»
«Di certo non l'ho fatto perché tu mi perdonassi» ammise Louis, ingranò la marcia e partì, proprio mentre il cancello della ragazza si apriva e Ivy, spingendolo con le mani, entrava in casa con un sorriso ad incresparle il volto.
Quando tornò a casa, Louis vide sua madre attenderlo sull'uscio della cucina, le braccia piegate sotto al seno e il volto corrotto in un cipiglio.
«Tre quarti d'ora per un pacco di uova, Louis? Fai sul serio?»
Sua sorella Charlotte era dietro la madre e si stava facendo un selfie appoggiata al bancone della cucina, mentre Fèlicitè giocherellava con la collana al collo. «Ho fame, Louis» disse, ma il ragazzo porse la busta nella mano della madre e salì al piano di sopra.
«Pazienza, n'è valsa la pena» disse riaprendo il computer e continuando il suo saggio con il sorriso sul volto. Avrebbe parlato ad Harry immediatamente.  

The match || l.t.  h.sDove le storie prendono vita. Scoprilo ora