Pazzie e Delusioni.

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Avete presente quel brivido di adrenalina che si presenta puntualmente nel vostro corpo
quando state per fare una gran cazzata? Quando state per fare una cosa che non avete mai fatto, o una cosa illegale? Ecco, quel giorno avevo provato quel brivido.
Quando la mattina mi svegliai, non sapevo di certo cosa sarebbe successo. Non sono mai stata una persona che programmava la giornata, preferivo sempre godermi il momento. Fu così che Zoey ebbe l'idea di andare al centro commerciale, ma l'idea ancor più folle fu quella di fare una che non avrei mai pensato di poter fare: rubare.
Girammo un po' per i grandi magazzini, finché non vedemmo un uomo in giacca e cravatta al bancomat del centro, con una carta di credito a portata di mano.
«Io lo distraggo, tu agisci. Mi raccomando: sii veloce e non dare nell'occhio.» disse velocemente la mia amica. Annuii e mi piazzai più in là, per far sì che Zoey potesse distrarre l'uomo.
Come ho già detto, sapeva essere molto pericolosa, ed anche una seduttrice di uomini di mezz'età, a quanto parve. Sì, era molto bella, anche più bella di me. Era sexy, vestiva in modo provocante e piaceva agli uomini, ma si vedeva benissimo che fosse una diciassettenne.
Ero ferma in un posto in cui riuscivo a sentire tutto, e dovevo stare attenta a muovermi velocemente, per compiere questo folle piano.
Quando Zoey riuscì a distrarre del tutto l'uomo, io presi velocemente la carta di credito dal bancomat e a passo svelto fuggii.
Lo stesso fece Zoey, ma passò poco tempo, che l'uomo si accorse di ciò che avevamo fatto ed iniziò a seguirci. Io e Zoey ridemmo tantissimo, e corremmo a perdifiato, davvero non ce la facevo più. Ed in quel momento sì, che sentii il brivido d'adrenalina. Un mix di emozioni che se volessi non riuscirei neanche a spiegare.
«Hai visto la password della carta?» chiese Zoey.
«Certo che no, non me lo hai detto!» dissi senza fiato.
«E cosa ce ne facciamo adesso di questa? Ci sta raggiungendo.» disse lei guardandosi indietro.
In effetti, ci stava sul serio raggiungendo, ed io non ce la facevo neanche più a correre. Presi allora la decisione più giusta: restituirgliela.
Lo feci in modo quasi sgarbato però, che mi fece quasi ridere. Purtroppo sarebbe stato pericoloso avvicinarsi, avrebbe potuto prenderci e chiamare la polizia, quindi decisi bene di lanciargli la sua carta e continuare a scappare insieme alla mia amica.
Fu così che l'uomo decise di fermarsi, fortunatamente.
Ma le pazzie non finirono lì, date le grandiosi idee di Zoey.
«Dai, andiamo in quel negozio. Prendi qualcosa, mettilo in tasca ed esci senza farti vedere. Farò lo stesso anch'io.» disse indicando un negozio poco distante da noi.
«Bene, andiamo.» dissi io sorridente.
Questa cosa di compiere atti illegali mi eccitava sempre di più.
«No.» disse lei, e poi continuò «non possiamo entrare insieme, se ne accorgerebbero. Entra prima tu, poi entrerò anch'io.» concluse.
Annuii, e mi avviai con un pizzico di paura sulla pelle. Da sola era tutta un'altra storia.
Entrai nel negozio, e senza dare nell'occhio mi imbucai in un reparto di smalti e cosmetici vari. Iniziai a prendere cose inutili, che probabilmente non avrei mai usato, ma le misi in tasca, senza farmi vedere. Continuai a girare nel negozio, finché non mi sentii chiamare. Stavo morendo di paura, ma sospirai di sollievo quando girandomi vidi due mie vecchie compagne di scuola, delle elementari.
«Tessa Scott?» chiese una di lei.
«Proprio così.» mi girai con un falso sorriso.
«Da quanto tempo! Da quando non frequenti la scuola? Fai ancora quelle cure?» chiese facendo finta di essere interessata, con la sua amica accanto che annuiva.
Non sapevo cosa risponderle, cosa dirle. Non volevo dirle nulla, sinceramente. Non era nel suo principale interesse, sapere della mia vita. O di quel che ne restava.
A salvarmi da quel momento imbarazzante, fu proprio la mia amica Zoey.
«No, ma adesso scusate. Noi dobbiamo proprio andare.» sorrise falsamente, ed io feci altrettanto.
«Oh, ciao Zoey. Allora, tu stai con il biondino? Quello che l'altra sera baciava un'altra..» la istigò la ragazza di fronte, della quale non ricordavo neanche il nome. Era così invisibile per me, e avrei tanto voluto essere stata lo stesso per lei. Ma non fu così, a quanto parve.
Zoey stava perdendo la pazienza, anche perché non sapeva nulla del tradimento del suo ragazzo, sicché la presi e la portai fuori, ignorando le due civette che ci avevano fermato poco prima.
Ma purtroppo, non eravamo passate tanto inosservate come avremmo voluto. Qualcuno si accorse del furto.
«Fermate quelle due. Hanno derubato.» urlò una donna.
Io e Zoey iniziammo a correre nuovamente, con la sicurezza che cercava in tutti i modi di prenderci. Per un momento avevo pensato che l'avremmo scampata, ma così non fu, quando ci presero entrambe e ci portarono in uno stanzino addetto proprio alla questione dei furti in quel centro. La stanza in cui ci condussero era buia, con un tavolo enorme al centro e due sedie. Ci fecero sedere, ed attendemmo il giudizio delle persone che avevamo di fronte.
«Allora, si può sapere perché stavate rubando? Rimettete subito qui sopra la roba.» disse una donna con dei corti capelli castani. Una donna di mezz'età dall'aria seria e severa.
Io misi tutto ciò che avevo preso sul tavolo, cosa che però non fece Zoey. Non parlava, era immobile. Guardava la donna con le braccia conserte, e non accennava neanche una parola. Nei suoi occhi non traspariva neanche un'emozione.
«Bene, scrivete su questa cartella i vostri dati, con i numeri dei vostri genitori.» disse seria la donna.
«La prego, non chiami i nostri genitori.» chiesi disperata io. Questa volta mio padre mi avrebbe uccisa, ne ero certa. Ne stavo combinando troppe, e questa sarebbe stata la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso: mio padre mi avrebbe probabilmente ammazzata prima del tempo.
La donna, non voleva saperne. Allora mi venne un'idea.
Tolsi parte della mia maglia color panna, e feci vedere il mio segno sul petto. Segno che avevo da molto, segno che non sarebbe mai andato via e sarebbe rimasto lì, fino alla fine dei miei giorni, e anche di più.
«Lo vede questo?» indicai il segno, e vidi la donna sgranare gli occhi.
«Ecco, io ho una leucemia. Sa cosa significa?» dissi io.
«No, non credo di saperlo.» mentii lei, distogliendo lo sguardo. Poi continuò «Ora alzati la maglia.»
Capii quindi che non potevamo far nulla. Avrei voluto persuaderla, ma avrebbe chiamato i nostri genitori in qualsiasi circostanza. Pensavo inizialmente che Zoey non avesse rubato niente, che fossi solo io la stupida ad aver attuato quel "piano". Ma dovetti ricredermi quando la donna parlò, insieme ad un uomo, accennando sul fatto che la mia amica avesse rubato un test di gravidanza. Un test di gravidanza? A cosa poteva mai servirle? E allora ricollegai tutto. La guardai, stranita. E lei distolse lo sguardo, come se non fosse la mia migliore amica. Lei mi aveva nascosto tutto, e aveva fatto sì che facessimo qualcosa di illegale, per non dirmi che ciò di cui aveva bisogno era uno stupido test di gravidanza. Era incinta? Di chi? Del biondo? L'avrei tempestata di domande. Ma evidentemente non era né il luogo, né il momento, dato che dopo una ventina di minuti, dopo aver compilato il modulo con i nostri dati, la figura di mio padre si presentò furiosa in quello stanzino.
Dopo aver posto le sue più sentite scuse a tutti, e solo dopo che io avessi fatto altrettanto, mi scortò fino alla macchina, facendomi una ramanzina dopo un'altra. Ma aveva ragione. In che guaio mi ero andata a cacciare. Mi ero imposta di vivere ogni giorno come se fosse l'ultimo, di vivermi ogni attimo di ogni singolo momento. Ma non mi ero imposta di rendere la vita difficile ai miei genitori, soprattutto a mio padre. Gli stavo facendo del male: lo stavo lacerando man mano, e lo stavo facendo soffrire a tal punto che si fosse quasi stancato. Ma lo capivo. Ero diventata un peso. Anche se lui non lo dava a vedere, ogni suo sospiro nei miei riguardi, era per me un motivo in più per sentimi la cosa più sbagliata nell'universo.
Ma nel tragitto in macchina, dal centro a casa, ci sorpassò una moto nera, intenta a cogliere la nostra attenzione. E devo dire che la colse tutta, sapevo di chi fosse quella fantastica moto: Adam.
Mio padre gli borbottò qualcosa contro, anche quando quel bel ragazzo si fermò per strada, scese dalla moto e si tolse il casco. Mi guardò e mi sorrise, ed io feci altrettanto. Poi mi fece segno di andare da lui, e mi sentii rinascere. Con lui, ogni volta era una nuova esperienza. E questa non ero pronta a perdermela, anzi tutt'altro: volevo vivermela. Tutto il pentimento di poco prima scomparve, quando tolsi la cintura e senza degnare di uno sguardo mio padre scesi dalla macchina e andai verso Adam.
«Metti il caso e sali.» mi sorrise lui.
Feci come disse, e salii dietro, stringendomi forte abbracciando i suoi fianchi.
Mio padre mi richiamò più volte, ma io non gli diedi ascolto. Stavo andando dove mi portava il mio cuore, lo stesso cuore che avrebbe smesso di battere prima o poi. Ma volevo che in quel preciso momento, battesse solo ed esclusivamente per il ragazzo che stringevo dinanzi a me. Stava diventando il mio respiro ed anche il mio affanno. La mia voglia di vivere e di sentirmi viva. Strano no? Com'è che va il mondo. Il giorno prima si ha paura di volare e il giorno dopo si è già pronti a spiccare il volo. Ed era proprio così. Con lui era così. Ed io ero pronta a tutto.
Viaggiavamo ad una media velocità, senza avere una destinazione ben precisa. Sentivo il vento sul viso e tra i capelli, che svolazzavano senza sosta. Ad ogni curva, mi stringevo di più a lui, per paura di poter cadere; era la sensazione più bella che avessi mai provato.
Un sorriso mi comparve sulle labbra, quando vidi la spiaggia quasi vuota e il mare, con le onde che si infrangevano sugli scogli. Un posto particolare e paradisiaco: amavo di sicuro il mare e ancor di più l'atmosfera che riusciva a creare. Generava in me un senso di pace e di completezza, riuscivo davvero a sentirmi bene. Era oramai al calar del sole, quasi sera. E quando fu del tutto buio, solo dopo che Adam accese il fuoco, decisi di voler fare una pazzia.
Iniziai a spogliarmi, e a levare i pochi vestiti che indossavo.
«Non vorrai fare il bagno, vero?» chiese Adam divertito.
«Perché no?!» dissi io sorridente.
Per un momento sperai che anche lui venisse, ma quando mi incamminai verso la riva, ero quasi sicura del contrario.
Poi però me lo trovai vicino, con solo i boxer indosso, intento a bagnarsi con me.
Gli sorrisi, e lui sorrise a me. Era così bello, con la luce della luna che gli rifletteva sul viso, dandogli un effetto fantastico.
«Al mio tre.» dissi io e continuai «uno...due...tre!» esclamai.
Vidi allora Adam correre in mare, tutto eccitato della situazione, senza accorgersi che io non mi ero neanche lontanamente mossa. Quando se ne accorse, nonostante il buio, lessi sul suo viso un velo di delusione, mentre io ridevo tantissimo.
Nonostante lo scherzo, mi immersi anch'io ed iniziammo a giocare insieme, finché decidemmo di uscire per asciugarci.
«Non mi ero mai asciugato con un calzino.» disse ridendo lui, sedendosi affianco a me sulla sabbia.
Risi con lui, finché non calò un silenzio che mi fece pensare a noi. Avevo una voglia matta baciarlo. Ci guardammo per qualche istante, e stavamo per baciarci, ci sfiorammo quasi, ma lui si tirò indietro.
«Scusa, pensavo...pensavo.» continuai a dire senza parole.
«Non possiamo» disse lui guardando dritto a sé.

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