È un addio?

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Quel letto d'ospedale mi sembrava troppo scomodo per i miei gusti, non sarei voluta rimanere per niente al mondo. Era uno dei motivi per cui non volevo curarmi: l'ospedale sarebbe diventato praticamente la mia casa, e non potevo permetterlo. Era da poco arrivato mio padre, e si era complimentato con la mamma per avermi soccorso. Si erano guardati con occhi diversi, non più con odio, e questo faceva già sentirmi meglio. Certo, non credo sarebbero tornati insieme. Era decisamente impossibile, mia madre ne aveva combinate troppe, ma decisi di non pensarci più di tanto. Non so quanto ci fecero aspettare; il dottore di sempre, quell'uomo odioso che veniva in mio soccorso ogni volta, mi disse che erano le conseguenze della leucemia. "Ma non mi dire", avrei voluto rispondergli sarcasticamente. L'avevo sempre un po' snobbato quell'uomo lì. Quell'uomo che quello stesso giorno mi chiese per la millesima volta, in cinque anni, se volessi curarmi. La mia risposta fu semplicemente un "NO" secco e conciso. Curandomi quanto avrei potuto vivere in più? Un anno? Due? Se il mio corpo avesse ceduto prima, anche di meno. E allora perché fare questa pagliacciata? Non avrei voluto offendere nessuno che avesse preso una decisione diversa dalla mia, per carità; ma io la pensavo così, e non avrei cambiato idea.

Mi avevano tenuto sotto controllo per due giorni, e quando finalmente mi dimisero, avrei quasi voluto saltare di gioia, anche se il mio corpo non me lo permetteva. Sarei dovuta ritornare, la settimana dopo, per parlare con i dottori, ma poco importava. Per il momento una settimana di libertà mi bastava. Eravamo in macchina, al ritorno dall'ospedale, ed io ero stesa nel sedile posteriore con le gambe su mia madre.

«Adam ha chiamato?» chiesi io, speranzosa di ricevere sue notizie. Non si era fatto né vedere, né sentire, e la cosa mi fece incupire parecchio.

«No.» rispose secco mio padre. Come pensavo, il mio broncio aumentò al suono di quella sola sillaba.

Era arrabbiato con il mio Adam, lo vedevo. Ma io non lo ero, quindi lui non ne aveva motivo. Adam era debole, ed era anche la prima volta che assisteva ad un mio crollo. Potevo capirlo, e lo avrei perdonato. Lo avrei perdonato, ma non sapevo se lui volesse stare ancora con me. Sapevamo che avrebbe fatto male, e se gli avesse fatto paura tutto quello, a questo punto non sapevo cosa fare. Mi avrebbe lasciata sola? Mi avrebbe abbandonata? Fino alla fine, mi avrebbe ignorata? Non lo sapevo. Ma ne avrei avuto subito la risposta, anzi, ancor prima che me l'aspettassi.

«Tessa, guarda!» esclamò mia madre quasi urlando eccitata, indicando le strade affollate che ci circondavano.

Nel traffico della città, mio padre rallentò. Mi appoggiai lentamente al finestrino ed iniziai a guardarmi intorno. Quello che vidi bastò a farmi capire che non sarei rimasta da sola. Adam mi aveva aspettato, e non se ne sarebbe andato. Quando ci conoscemmo gli confessai che non avrei voluto essere dimenticata, e che volevo che il mio nome fosse scritto da qualche parte, per far sì che chiunque lo avesse letto, mi avrebbe ricordata. E lui ha ricordato le mie parole.

Il mio nome era tappezzato ovunque, nella nostra città: Sui muri, sulle vetrine, sui cartelloni pubblicitari. Sorridevo, guardandomi intorno. Non ci potevo credere che qualcuno avesse fatto una cosa del genere per me. Ma lui era Adam, me lo sarei dovuto aspettare. Era diverso da chiunque altro, ed era capace di farmi sentire viva con poco. Inoltre, era tutto ciò che avevo sempre desiderato, tutto ciò che in quel momento avevo, e non avrei voluto perdere. Purtroppo però, un giorno lo avrei perso. Anzi, lui avrebbe perso me. E non sarebbe bastato uno "Scusa", per perdonarsi. Non sarebbe bastato niente, perché è questo che la vita ti fa: prende i tuoi sogni e le tue debolezze e te le mette davanti, e i sogni colmano le debolezze. Poi, però, stesso la vita ti toglie tutto. E allora tu lì non puoi far più niente se non accettare la realtà: un giorno non ci sarei stata più e lui lo sapeva già. Ma aveva accettato di starmi accanto. Aveva accettato la mia malattia, ma nonostante questo la ignorava e mi voleva. Mi voleva come nessuno mi aveva mai voluta, ed io volevo lui.

Quando tornai a casa, lo andai immediatamente a cercare. Mi ero riposata abbastanza, in quei due giorni. Non volevo perdere tempo. Entrai nel suo giardino dal retro, ma incontrai la madre di Adam.

«Salve, signora.» dissi io timidamente.

«Ciao cara, come stai?» chiese lei con un sorriso dolce. Mi bastò quello per farmi sciogliere.

«Meglio, grazie.» le sorrisi.

«Cercavi Adam?» chiese lei sorridendomi.

«In realtà sì...Non è in casa?» chiesi io mentre torturavo le mie dita snelle.

«No, è al campus dell'università per le iscrizioni. Sai, ha deciso di iscriversi, finalmente.» disse lei felice.

Ma io no, non ero felice. Sarei rimasta da sola. Mi avrebbe lasciata da sola. Come dovevo interpretarlo il suo gesto, allora? Come un addio? Rimasi immobile, ed annuii concedendomi e chiedendo scusa per il disturbo. «Le dirò che sei passata.» mi disse lei mentre mi allontanavo, e con un falso sorriso tornai verso casa. Poi, però, cambiai direzione.

Il mio cuore sembrò spezzarsi all'istante, non sapevo cosa fare. Decisi allora di andare a prendere l'autobus senza dire nulla a nessuno. Non sapevo dove sarei andata, anche se un'idea ce l'avevo. Se dovevo rimanere da sola, tanto vale prenderla io stessa questa decisione. Ero felice che Adam avesse deciso d'iscriversi all'università, ma non volevo che mi lasciasse da sola. Non riuscivo ad accettarlo. Avevo bisogno di lui, avevo bisogno del mio Adam.

Tutto quello che mi feriva di più, tutto quello che mi faceva più male, era tutto quello che riuscivo a sentire sulla pelle in quel momento.
Avevo bisogno di lui. Lui, che in poco tempo era riuscito a tirar fuori la parte buona di me; lui, che mi aveva visto vulnerabile e distrutta, ma aveva deciso di restare. Ma se poi se ne fosse andato, non avrei mai saputo cosa fare e allora l'avrei cercato ovunque, pur di sentire almeno per un'ultima volta il suo profumo, o semplicemente per vedere il suo sorriso luminoso, che come sempre mi faceva battere il cuore.

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