Era arrivato il fatidico giorno: dovevo partecipare all'incontro con i miei medici. Per la prima volta, oltre mio padre, avevo anche la compagnia di mia madre, che si era offerta di accompagnarmi. In quei giorni tutti mi guardavano con compassione, mi sorridevano tristemente e mi viziavano anche un po'. Cosa che tecnicamente aspettavo da molto.
Li vedevo preoccupati; lo ero anch'io. Non me ne ero accorta finché prima di partire da casa, Adam mi aveva stretto un po' di più, e mi aveva baciato più a lungo.
In macchina non facevo altro che pensare a quale fosse stato il verdetto finale, se così si poteva realmente chiamare. Immaginavo sorrisi falsi, incoraggiamenti e voci che mi ripetevano che avrei potuto pensarci prima a salvarmi, che arrivati a questo punto, l'unica cosa che si può sperare è in un miracolo.
Non ho mai creduto nella scienza, nella medicina moderna e avanzata. Non ho mai creduto in persone che hanno una laurea e si credono i padroni del mondo, quando poi ti mandano a morte. Puoi imparare le parti del corpo, i sintomi di una qualsiasi malattia, puoi essere bravo quanto vuoi. Ma quando ti va bene, è solo culo. O è Dio che ti ha dato un'altra possibilità. Ovviamente è una mia teoria, questa. Poi uno la pensa come vuole.
La mia malattia non è mai stata toccata, è sempre rimasta lì intatta. E non mi dispiace neanche un po', sinceramente. Non mi lascerò uccidere da mani che si definiscono esperte. Sono sempre stata dell'idea che già sia scritta la nostra storia, è inutile cercare di rattoppare i buchi che la vita ci riserva. E quindi sto qui, ad aspettare l'ultima pagina dell'ultimo capitolo del libro della mia storia. Anni brevi di indifferenza a ciò che realmente mi accadeva, anni strani, che una ragazzina come me non avrebbe dovuto vivere. Una ragazzina che è dovuta crescere in fretta, rispetto agli altri suoi coetanei. Ma della mia storia non cambierei niente, se non il finale, magari. Ma nell'ultimo capitolo c'è Adam. E il mio lui, lo lascerei lì dov'è. Perché è l'unica parte della mia vita che non vorrò mai dimenticare.
E non so se ci sia un paradiso diverso per quelli come me. Per quelli che soffrono tutta una vita, per quelli che sanno già che non conta più niente se non gli ultimi attimi che uno si riserva. Ma so per certo che Dio mi riserverà un posto speciale, ed è l'unica cosa che mi rincuora, forse.
I miei pensieri vengono interrotti da mia madre che mi dice di scendere dall'auto. Di fronte a me ho quell'edificio che oramai conosco a memoria e che i miei piedi percorrerebbero anche se io avessi gli occhi chiusi. Quando varco la porta dell'entrata, e cammino nel largo e lungo corridoio della clinica, mi ritorna in mente quella bambina bionda che aveva il terrore, e che ogni volta portava con sé la sua bambolina preferita. Chiusi gli occhi per ricordare ogni attimo, prima di entrare nella grande sala del mio medico. Quello stronzo maledetto.
«Signorina Tessa, prego venga...si sieda.» mi disse dandomi del lei. Ma ti sembro una donna di mezz'età? I miei genitori mi seguono e salutano cordialmente, ovviamente. Io lo snobbo come al solito, quell'uomo lì.
«Allora, abbiamo qui la sua cartella clinica.» ci guardò seriamente, come se da quella fosse dipeso tutto, poi continuò, senza darci il tempo di assimilare, di rispondere, di ragionarci su... «Ecco, l'attacco di una settimana fa possiamo definirlo l'ultimo e il solo. Riguardando le vecchie cartelle, ho notato che con gli ultimi esami c'è un'abissale differenza. Purtroppo il suo cancro, si sta espandendo sempre di più, data la mancanza di cure da lei più volte rifiutate. Non si può fare più nulla, non si può salvare il non salvabile. Questo dovrebbe farla riflettere, signorina Tessa. E mi dispiace, dirglielo così su due piedi, ma non le manca molto.»
Quelle parole bastarono per farmi crollare il mondo addosso. Non ci avrei creduto finché non le avessi sentite, ed ora ero stata accontentata, in un certo senso.
«Voglio solo sapere una cosa: la mia amica partorirà a marzo. Potrò vedere il suo bambino?» chiesi. Volevo sentire solo quest'ultima cosa, da quell'uomo. Non avrei mai più voluto vederlo, poi. Alla mia domanda, lui mi guardò negli occhi, e scosse la testa con uno sguardo alquanto dispiaciuto. Annuii, e mi alzai. Uscii da quella stanza e ripercorsi il lungo corridoio, fino ad arrivare al parcheggio. Non sentivo nessun rumore, neanche le grida dei miei genitori che mi chiamavano disperatamente pregando che mi fermassi. Volevo andare via da lì, non sarei rimasta un momento in più.
Quando arrivammo a casa, dopo aver lasciato mia madre al suo appartamento, salii velocemente le scale, quasi ancor prima che mio padre parcheggiasse la macchina nel vialetto.
Corsi nella mia stanza, e la guardai: il colore azzurro tendente al blu che avevo scelto da piccola mi faceva perdere nell'immensità. Ma uno scatto di ira mi percosse il corpo e mi rese violenta, tanto ché iniziai a scagliare tutto atterra. Tutte le mie cose, erano praticamente sparse sul pavimento. Persino il materasso del letto era ribaltato. Poi guardai la parete in cui era appeso un grande poster: era lì che avevo la mia lista di cose da fare prima di morire.
Mi avvicinai alla parete e staccai il grande cartellone, gettandolo atterra. Stremata, sfiancata, senza fiato e con il volto rigato dalle lacrime, mi sedetti appoggiata al muro portandomi le gambe al petto e abbracciandole. Al contempo salì mio padre, che guardò sconcertato il disastro da me combinato. Poi guardò la parete e iniziò a parlarmi.
«Cosa hai combinato? Allora è lì che è la famosa lista...» poi si sedette sul letto, dove mancava il materasso e iniziò a singhiozzare. In poco tempo il suo volto fu rigato di lacrime ed io mi alzai e mi sedetti accanto a lui, che posizionò la testa sulla mia spalla, ed io l'abbracciai per quel che potevo.
«Non voglio che te ne vai, Tessa. Io non ci riesco a pensare ad una vita senza di te, senza la mia bambina. Rimani con me, bambina mia. Non andartene.» disse, e mi si mozzò il fiato.
Chiusi gli occhi e ascoltai il dolce rumore dei nostri singhiozzi. Vorrei rimanere con te, papà, avrei voluto dirgli. Ma preferii non dire niente. Quello era il nostro momento, non lo avrei rovinato per nulla al mondo. Eravamo stati così vicini, ma anche così lontani in questi anni. La mia ribellione e la mia testardaggine si erano fusi insieme e avevano fatto perdere la testa a quell'uomo che aveva dato anche l'anima per me. E solo in quel momento me ne accorsi. E' proprio vero che si apprezzano le cose, quando è troppo tardi. Non cogliamo mai il momento, non lo assaporiamo. Lo mettiamo in disparte e capiamo il valore solo quando da capire non c'è più niente. E fa male al cuore, ricordare di non aver apprezzato quel momento, quell'unico istante che nessuno mai ti ridarà.
Io l'amavo mio padre, l'amavo così tanto che mi pentivo di tutte le volte che l'avevo fatto disperare. E quel giorno capii che probabilmente lui era l'unico da ringraziare. L'unico che aveva dedicato la sua intera vita a me, e che lo avrebbe fatto altre mille volte: lui mi aveva chiesto di restare, anche se sapeva che non fosse possibile. Ed io sarei rimasta volentieri, se avessi potuto.
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Now is good.
RomanceL'innocente bellezza e la spensieratezza di una ragazza che nonostante mille difficoltà continua a sorridere. Forte, solare e piena di vitalità: così è Theresa, per tutti Tessa. Una diciassettenne che si trova a lottare contro un cancro, contro il...